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 Verecondia e modestia

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MessaggioVerecondia e modestia

Verecondia e modestia 1 Tim. 2:9
Verecondia e modestia Presen10
di Roberto Bracco
Questo preciso insegnamento evangelico viene dato particolarmente alle donne cristiane; non dobbiamo pensare naturalmente che gli uomini non abbiano bisogno di questa lezione, ma dobbiamo semplicemente riconoscere che soprattutto le donne si trovano in una condizione che le espone a maggior tentazione per quanto riguarda l’esercizio della verecondia e della modestia.

Tutti sappiamo infatti che la tendenza naturale della donna è quella di rendersi attraente, piacevole e tutti sappiamo anche che spesso questa tendenza conduce la donna ad oltrepassare i limiti della verecondia e della modestia.

Nel mondo ormai la donna ha raggiunto il traguardo dello scandalo, e l’esposizione invereconda delle nudità femminili è cosa che si può incontrare e vedere non soltanto sulle spiagge, ma anche nelle pubbliche vie e nei locali mondani. La immodestia poi, è considerata la manifestazione più normale e più lecita, delle aspirazioni femminili e tutte trovano naturale adornarsi di gioielli o di abiti che rappresentano lo sperpero più peccaminoso o più vano del denaro che hanno, e qualche volta anche del denaro che non hanno.

Purtroppo però il “mondo” è anche entrato nella chiesa ed oggi son pochi quei credenti che danno ancora importanza a questa precisa norma della parola di Dio. Non vogliamo dire che nelle chiese si incontrano le medesime manifestazioni d’inverecondia e di immodestia che esistono nel mondo, però possiamo affermare che i cristiani hanno presa la strada larga che conduce a quella tragica condizione.

La chiesa di oggi non è più la chiesa di ieri, e le cristiane di oggi sono completamente diverse da quelle del passato; la differenza è costituita proprio dal fatto che ieri la chiesa viveva in mezzo al mondo, ma separata dal mondo, mentre oggi il mondo vive in mezzo alla chiesa e spesso confuso con la chiesa. Qualche volta, in parte si distingue ancora quello che è il mondo e quella che è chiesa, ma il cammino dei cristiani è avviato verso una condizione che annullerà ogni “distinzione” e fra non molto, (se prima non verrà un risveglio a far risorgere la chiesa) non si potrà più notare dove finisce il mondo ed incomincia la chiesa o dove finisce la chiesa ed incomincia il mondo.

Le gonne che si accorciano, le maniche che scompaiono, le scollature che si allargano e si allungano, le aderenze che si accentuano, gli articoli di moda che moltiplicano e diventano più preziosi…sono tutti piccoli passi verso una comunione col mondo e quindi verso una condizione d’inverecondia e immodestia.

Non è difficile infatti trovare nel seno delle chiese, cioè fra le donne cristiane, i primi audaci tagli delle chiome femminili, le prime ardite arricciature, le prime ciprie colorate, i primi cosmetici, i primi trucchi, i primi bracciali d’oro, le prime spille preziose, i primi anelli risplendenti…Sono i primi, ma non saranno gli ultimi!

Quando le nostre madri spirituali accettarono il messaggio della salvezza, accettarono anche la regola della verecondia e della modestia. Forse ebbero opportunità di udire un solo sermone su questo argomento, ma lo Spirito di Dio inondò la loro coscienza e fece chiaramente comprendere che ormai dovevano vivere per piacere a Colui che le aveva chiamate. Per loro non significava avvilirsi, rendersi ridicole, ma significava uniformarsi alla testimonianza cristiana delle serventi del Signore di ogni secolo.

Non si curarono più del mondo e della moda, e non sentirono più il bisogno di rendersi attraenti nel senso umano della parola: indossare degli abiti verecondi fino alla rigidezza, rinunciare all’ornamento dei monili e dei gioielli non apparve come un sacrificio pesante e insostenibile, ma come un atto cristiano, normale, logico e quindi come un atto cristiano che poteva essere compiuto gioiosamente.

Per comprendere bene questo comandamento evangelico è necessario considerarlo nei diversi particolari; esaminiamoli brevemente nelle righe che seguono.

Noi crediamo che una figliuola di Dio deve vivere come figliuola di Dio dentro la chiesa e fuori della chiesa; cioè deve vivere nella medesima maniera sia quando è occupata nelle sue attività lavorative e familiari, e sia quando si presenta davanti a Dio nelle riunioni di culto. Ebbene, se nella sua vita non deve esistere un duplice cristianesimo, ella deve avere una regola sola per tutte le azioni della sua vita e quindi anche per il vestire.

Essere vereconda in chiesa e invereconda fuori della chiesa, od essere modesta nelle riunioni di culto, ed immodesta nella sua vita privata significherebbe avere due regole di vita diverse e queste due regole diverse sarebbero semplicemente la manifestazione di un cristianesimo vissuto a metà oppure di un cristianesimo falso ed ipocrita.

Quindi se la donna cristiana vive il cristianesimo in maniera sincera, non segue due regole, ma vive fuori della chiesa esattamente nello stesso modo come vive nel seno della chiesa; anche per il vestire segue una norma sola, quella ispirata dal timore di Dio.

Non è neanche necessario soffermarsi a dire che nella chiesa, cioè nella presenza di Dio, durante le riunioni di culto, è doveroso seguire una regola di dignità e di ordine, ma è riprovevole qualsiasi manifestazione d’inverecondia e immodestia. La casa del Signore non può, non deve mai essere confusa con un luogo nel quale si acceda per dare spettacolo della propria eleganza o della propria ricchezza.

Così si esprimeva nell’antichità un grande servitore di Dio: “Tu vieni verso Dio per pregarlo e sei coperta di ornamenti d’oro! Vieni forse al ballo per danzarvi? Vieni per celebrare una festa nuziale e farti ammirare?… E poi continua: Vieni per pregare e supplicare per i tuoi peccati…Perché tanta bardatura? Non sono questi gli abiti d’una supplicante. Come puoi gemere?

E poi conclude severamente: “Non si burla Iddio!”.

Davanti a Dio non è lecita l’inverecondia e non è lecita l’immodestia e poiché una donna cristiana deve vivere “sempre davanti a Dio” e deve avere una medesima regola ovunque compia le sue azioni, non può di conseguenza procedere dentro la chiesa in un modo e in un altro modo quando si trova fuori e lontana dalla chiesa; non può seguire due norme e vestire santamente e cristianamente quando frequenta l’ambiente cristiano, e vestire in maniera sfarzosa ed invereconda quando si trova mescolata al mondo: cioè cristiana con i cristiani e mondana con i mondani.

Un grande evangelista americano ripeteva frequentemente, nelle riunioni riservate esclusivamente alle donne cristiane: – Voi potete far aprire o chiudere le porte dell’inferno.

C’è ancora un’altra ragione che afferma la necessità della verecondia ed è una ragione non meno importante della precedente che abbiamo già esposta: la donna cristiana non deve essere mai un motivo di tentazione se non vuol divenire collaboratrice dell’inferno.

Tutti sappiamo purtroppo che le mille arti della moda servono soprattutto a rendere la donna piacevole, attraente, cioè servono ad eccitare i desideri insani degli uomini; la gonna che termina ad un certo punto o quella che stringe in una certa maniera; la scollatura che apre indiscretamente le nudità, od il farsetto che accentua le forme, sono tutte cose che servono ad alimentare la concupiscenza…

Nel mondo è lecito seguire l’arte della moda, anzi non seguirla rappresenta rinunciare alla “lotta” della concorrenza che ha tanto valore per le fanciulle che aspirano al matrimonio, quanto per le coniugate che aspirano a rimanere belle ed attraenti per non perdere terreno nella battaglia della vita. Non dobbiamo meravigliarci che questa lotta si svolge con le armi del peccato perché nel mondo tutto, generalmente, incomincia e termina con il peccato.

La donna cristiana, invece, fanciulla o coniugata, non deve essere uno strumento dell’inferno e non deve provocare una concupiscenza peccaminosa, ma deve offrire il sano spettacolo del pudore, della verecondia, della modestia. La sua lotta non è e non deve essere carnale, ma spirituale e perciò ella non si deve unire alle donne che non conoscono Iddio per competere con loro e cercare unita a loro, di conquistare posizioni umane, di rendersi piacevole, interessante. No! deve soltanto desiderare di rendere una testimonianza luminosa della propria fede alla gloria di Dio.

La modestia poi, ha ancora un altro motivo cristiano che la sostiene: il motivo economico. Una figliuola di Dio non è libera di impiegare il proprio denaro come vuole, e quando vuole ma deve amministrarlo nel timore e nella volontà di Dio.

Abiti sontuosi, pellicce costose, stoffe pregiate, guarnizioni ricercate rappresentano spese che non vanno soltanto contro la modestia, ma anche contro l’amore. Abiti per tutti i giorni, per tutte le occasioni, per tutti i gusti, vestiti che riempiono i guardaroba fino all’ultimo spazio, che si pigiano nei ripostigli, tutto questo è contro ogni norma dell’Evangelo; la donna cristiana, come l’uomo cristiano, è stata salvata perché viva per il cielo, e perciò è stata salvata per uniformare la propria vita a quella legge che insegna ad offrire la mente, il cuore, l’energia, il denaro per il lavoro di Dio che è poi il lavoro a favore degli uomini. Quando la donna cristiana invece di vivere “alla gloria di Dio” si preoccupa soltanto di “vestire porpora e bisso e godere splendidamente” come il ricco epulone descritto dall’evangelista Luca, diviene infedele di fronte a Colui che l’ha chiamata.

L’Evangelo c’insegna che le pie donne che seguivano Gesù lo sovvenivano con le loro sostanze (Luca 8:3); Maria versò sopra il Maestro l’anfora di olio odorifero che forse teneva in serbo per il giorno delle sue nozze (Giov. 12:3); le Marie comprarono degli aromi per onorare il Signore morto ed imbalsamare il suo corpo (Marco 16:1). Queste donne dimostrarono praticamente il loro sincero amore per Gesù e non soltanto offrirono “qualche cosa”, ma rinunciarono “a qualche cosa”.

Un’offerta non è mai una vera offerta se non costa una rinuncia e la legge divina insegna ad offrire e a rinunciare. Rinunciare alla moda, rinunciare all’eleganza, sfarzosa, rinunciare all’abbondanza, rinunciare…alla vanità vuol dire poter offrire alla chiesa, poter offrire alle missioni, poter offrire ai servitori di Dio, poter offrire ai poveri, cioè poter offrire a Dio stesso.

Oggi però sono poche le donne cristiane che prima di appagare il proprio capriccio si chiedono se la somma occorrente per un vestito superfluo “potrebbe servire al Signore”, (Matteo 21:3); sono poche coloro che sono disposte ad essere modeste anche se le altre non lo sono. Tutte o quasi tutte si sentono libere di spendere il denaro come vogliono e, naturalmente, cercano di spenderlo in maniera da fare la più splendida figura, in maniera da non “esser da meno delle altre”.

E’ una corsa sfrenata verso lo sperpero inutile, verso le spese disordinate; una corsa che serve soltanto ad appagare i sentimenti della vanità umana e a soffocare il dovere verso Iddio e verso l’opera di Dio.

La verecondia, la modestia non esistono più e quando qualche predicatore le ricorda con nostalgia si sente rispondere che forse quelle virtù erano eccellenti nel passato, ma sono divenute inutili al presente; volerle seguire significherebbe, affermano le fanciulle frivole d’oggi, dimostrare un fanatismo bigotto e ridicolo.

Non dobbiamo essere diverse dalle altre, non dobbiamo farci criticare dal mondo, non dobbiamo apparire brutte, quindi seguiamo la moda, vestiamoci bene e cerchiamo, anche con la nostra eleganza, di combattere la nostra battaglia fuori della chiesa e dentro la chiesa. Queste parole molte volte non vengono dette, ma vengono pensate, altre volte invece fanno proprio parte delle conversazioni delle donne cristiane d’oggi.

“Verecondia e modestia” quindi entra fra quegli argomenti dimenticati che non si predicano e non si praticano più; eppure le sante donne di Dio anche oggi, come ieri, sono chiamate a vestirsi come “donne che fanno professione di servire a Dio” (1 Pietro 3:5); lontane dalle seduzioni della moda e dalle tentazioni dell’inferno, devono indossare abiti che non siano mai una provocazione e devono essere modeste fino al punto di rifiutare ogni contributo alla vanità.

Sante interiormente ed esteriormente, illibate nei sentimenti e nella testimonianza cristiana, le fanciulle e le donne attempate devono sentire un solo desiderio: quello di rendersi piacevoli ed approvate davanti a Dio. Forse il mondo potrà giudicarle poco eleganti o poco interessanti, ma non potrà mai condannarle per trasgressione alla legge divina. Le pie donne che eleggeranno la regola dell’Evangelo riusciranno, oltre tutto, a strappare anche il loro denaro alle voglie dell’inferno, per consacrarlo devotamente alla causa di Dio e per la gloria di Dio.
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