CERCANO IL LORO PROPRIO (Filippesi 2:2)
Le parole dell’Apostolo Paolo esprimono una situazione che non è esagerato definire drammatica: «tutti» cercano il loro proprio, non ciò che è di Cristo Gesù.
In quel «tutti» l’apostolo non include soltanto i credenti, ma anche, ed anzi con carattere di priorità, i ministri cioè gli operai cristiani. Egli traccia un doloroso parallelo, per dar risalto alla fedeltà di uno o, di pochi, in confronto all’infedeltà di tutti: l’evasione è la regola, la consacrazione è la eccezione!
Forse il triste fenomeno aveva un suo carattere locale ed una sua localizzazione storica, ma non per questo perde il suo allarmante aspetto o cessa dì esprimere una sua parola di ammonizione. L’infedeltà insidia ogni ministro e la fedeltà profonda è una meta dura, raggiunta da pochi.
I cristiani, abbiano o non abbiano una qualifica nel servizio del Signore, possono facilmente essere travolti dal sentimento di «cercare» quelle realtà che hanno relazione con la loro vita umana e che sono utili soltanto su un piano naturale o carnale. Attenzione!
Non ci riferiamo alle ansietà, alle sollecitudini, alle cupidigie che fanno naturalmente parte del triste patrimonio della società e che spesso continuano ad essere gelosamente conservate dai cristiani; no, ci riferiamo a quelle posizioni interiori che nascono nell’ambiente e nella vita religiosa e che perciò più difficilmente possono essere individuate e represse.
Prendiamo l’esempio di un ministro che ha abbracciato interamente il servizio; ha abbandonato il suo lavoro laico, non s’interessa più di attività umane, occupa il suo tempo nella chiesa e per la chiesa e quindi vive lontano da speculazioni, traffici, od impegni mondani. Sembra che la sua condizione sia ideale e che egli sia esente da qualsiasi rischio ed invece i pericoli sono tutti intorno a lui, vicini a lui.
Da questo punto e proprio da questo punto egli può cominciare a «cercare il suo proprio» e non soltanto facendo del salario o delle offerte centro del suo interesse o del suo desiderio, ma assumendo in tutto il lavoro cristiano una posizione che abbia, come scopo ultimo, di mettere il suoi io, la sua personalità, al centro dell’attenzione e dell’esaltazione.
La lusinga del successo, come fine a sé stesso; l’attrazione della vittoria, come soddisfazione contingente possono trionfare molto più facilmente di quanto non si supponga. Non a torto è stato detto che non tutte le relazioni periodiche che parlano di progresso delle missioni e delle chiese vengono pubblicate alla gloria di Cristo.
Le conclusioni sono scontate: esistono molti, troppi predicatori che desiderano ardentemente vedere i peccatori vinti e conquistati dal loro messaggio, ma soltanto perché questo conferisce lustro al loro ministero o perché, forse, consolida la posizione numerica ed economica della loro chiesa. La «passione» per le anime, lo «zelo» del servizio, la «collaborazione» offerta al Maestro sono sentimenti largamente soffocati dai sottili calcoli di una religiosità impregnata di carne, di mondo, di tenebre.
«Cercano il proprio»; il diavolo li ha vinti, perché respinto, sul terreno delle grossolane tentazioni è riuscito a guadagnare posizioni sicure con la strategia del falso ripiegamento e con la tattica dell’ accerchiamento sottile. Cristo non cresce nella loro esperienza e la personalità umana non diminuisce nel loro cristianesimo, anzi col passar dei giorni e col consolidarsi delle posizioni ecclesiastiche, il nome dell’uomo diventa più illustre e l’esaltazione dell’azione e del servizio più rumorosa.
Ma se il fenomeno ha un suo aspetto desolante nelle sfere del servizio e del ministero, ne ha uno altrettanto triste nel seno della chiesa e quindi nel mezzo dei credenti. Anche di questi, abbiamo già ricordato, può facilmente essere detto: «tutti cercano il proprio…»
La crisi, quando si manifesta, non risparmia nessuno; in alto o, in basso, nel servizio attivo o soltanto nella vita cristiana tutti, tutti possono essere travolti. Non è difficile conciliare l’appartenenza alla chiesa con la ricerca di elementi terreni: oppure la professione di fede con la conservazione delle caratteristiche negative della propria personalità.
Anche fra i semplici credenti è possibile trovare la difesa gelosa del proprio nome, la rivendicazione appassionata dei propri diritti umani. Tante manifestazioni ostentate di santità, come pure tanta esuberanza nel mostrare zelo e fervore non hanno altro fine che acquistare il plauso ed il rispetto dell’opinione pubblica.
Quante sono le azioni e quanti i pensieri e le parole che cercano soltanto di glorificare Gesù Cristo il Signore? E’una domanda grave ed imbarazzante che non soltanto solleva il dubbio sulla semplicità di molti cristiani, ma addirittura mette in forse l’onestà e la sincerità dei loro sentimenti.
Eppure dobbiamo avere il coraggio di formularla e di formularla per tutti. Forse c’indurrà a compiere finalmente un’indagine profonda della nostra vita, un’indagine cioè che non s’arresti alle manifestazioni più superficiali della nostra personalità, ma che penetri fino ai sentimenti, agli scopi, alle considerazioni, alle reazioni più intime del nostro essere.
Chissà se non dobbiamo scoprirci di nuovo e di nuovo non dobbiamo avere una completa rivelazione di noi stessi? Chissà se non dobbiamo puntare proprio verso il nostro io l’indice accusatore e recitare l’infuocata invettiva: Guai a te fariseo ipocrita? -.
Quando la luce ed il fuoco dello Spirito possono inondare interiormente una personalità i più eccelsi eroismi diventano possibili e noi possiamo essere resi capaci di dire anche a noi stessi le cose più dure e più severe. In quegli attimi eterni il rispetto umano viene frantumato e noi come davanti ad uno specchio possiamo accusare il nostro io e ripetere la sentenza antica:
«Tu vuoi far credere di essere veramente cristiano e onorare sinceramente Cristo? Perché allora nascondi il tuo Signore dietro il tuo io e cerchi, in ogni azione, il tuo interesse?
Tutto il tuo cristianesimo è intessuto di elementi terreni e il nome di Cristo ritorna soltanto come un elemento formale della tua religione. Tu non vivi” nella Sua presenza, non cammini con Lui, non cerchi la Sua gloria e non ti curi neanche di avere la Sua luce e la Sua guida per fare la Sua volontà.
Le tue azioni, anche se colorite di morale cristiana, sono la tua volontà ed in realtà tu le compi per te stesso. Se le reclamizzi lo fai non per testimoniare di Cristo, ma per mettere te al centro dell’attenzione di coloro che ti circondano; i frutti della tua vita non mostrano Cristo, ma soltanto il tuo io vestito di religiosità superficiale ed ipocrita.
Se tu fossi veramente cristiano ti sentiresti poco cristiano e soltanto bisognoso di nasconderti nel Signore. Il tuo io sarebbe per te non oggetto di cure delicate ed attenzioni ossequiose, ma di spontanee preoccupazioni spirituali; tu lo temeresti come un attentatore della tua vita spirituale.
Il tuo desiderio sarebbe solo di conoscere la volontà del Maestro per seguirla e per compierla soltanto alla Sua gloria. Ti sentiresti sempre debole ed indegno nei confronti di una fedeltà mai raggiunta appieno e non vorresti certamente che il tuo nome fosse posto sopra un trono da te o dagli uomini.
Insomma : «cercheresti soltanto quello che è alla gloria di Cristo!»
Parole dure, rimproveri aspri, ma in ultima analisi espressioni di amore suscitato dallo Spirito; amore che conduce a Dio, amore che vuol bruciare tutte le scorie che possono alterare l’opera della grazia.
Fratelli, ascoltiamo la voce che attraverso i secoli giunge a noi efficace, attuale in virtù di quell’immutabilità che è caratteristica fondamentale della Parola di Dio e che è attributo glorioso della personalità di Dio.