Libertà e dipendenza
André Gibert
Insistiamo ancora su quanto già detto. L’assenza di clero e di ministerio ufficiale non significa una sorta di democrazia religiosa dove ognuno ha tutti i diritti. Nessuno ha dei diritti sui suoi fratelli, ma ognuno ha dei doveri che il Signore gli assegna. Basterà lasciare allo Spirito Santo la sua libera azione perché ogni elemento dell’organismo funzioni per il bene dell’insieme e secondo la volontà di Dio. I «sistemi» religiosi non concepiscono radunamenti senza una direzione designata, un ordine stabilito, una liturgia, in quanto la presenza effettiva dello Spirito Santo nell’assemblea non è compresa. Potrebbero forse alcuni uomini, anche se spinti dalle migliori intenzioni, essere più saggi e più potenti dello Spirito Santo?
Facciamo però attenzione che con il pretesto di essere liberati da una dominazione umana, non agiamo nell’indipendenza riguardo a Colui che prende ciò che è di Cristo per comunicarlo (Giovanni 16:14, 14:26) e mette i cuori e le coscienze alla presenza di Cristo stesso. Senza di Lui, la Chiesa non potrebbe esistere. Quando Egli è contristato o spento essa perde il suo carattere. L’assemblea deve forse diventare un luogo dove la carne si può manifestare liberamente senza essere repressa?
Un «dono» per essere esercitato non deve attendere di essere ratificato dalla Chiesa: essa deve riconoscerne l’esercizio, discernendo se è da Dio nella misura in cui concorre all’edificazione (1 Corinzi 14:29, 1 Tessalonicesi 5:19-21, 1 Giovanni 2:20, 4:1). Secondo i momenti e i luoghi può essere necessario un evangelista, un pastore, un dottore; Dio li susciterà secondo i bisogni che solo Lui conosce. Il dono è totalmente libero nei confronti degli uomini.
Purtroppo la carne è sempre portata ad usare la libertà per imporsi. Alcuni possono esercitare un ministerio pretendendo di avere un dono che non hanno; altri, forse, esercitano fuori tempo il dono che hanno o in misura più grande di quanto abbiano ricevuto. Quale danno infliggono all’assemblea le nostre frequenti mancanze a questo riguardo! Occupati di noi stessi più che di Cristo e dei suoi, a volte rifiutiamo di valorizzare il dono che abbiamo ricevuto, ed è così che molti fratelli che potrebbero edificare l’assemblea non aprono mai bocca; o, in qualche caso, nell’esercizio del ministerio della Parola, una serie di discorsi fuori luogo prendono il posto della vera parola in grado di edificare.
Notiamo con molta tristezza che a volte tutto si svolge come se il fatto di non avere nelle riunioni una presenza ufficiale desse a tutti il diritto di agire. Nulla è più contrario alla Parola di questo modo di vedere che denota la più completa misconoscenza dei caratteri della Chiesa, dei diritti di Cristo e del posto che deve occupare lo Spirito Santo. La conoscenza del sacro Libro, la capacità di comunicarla ad altri, un sobrio buon senso, sono indispensabili; essi sono per così dire la parte evidente del dono. Inoltre, colui che ha la responsabilità di un dono non può esercitarlo utilmente se non ha diligenza, amore per Cristo e per la Chiesa e umile dipendenza. Non sono la facilità di parola, l’istruzione o la sapienza umana che conferiscono un dono, e non chiunque sappia esprimersi chiaramente o eloquentemente è per questo qualificato dal Signore. È vero però che un credente che abbia tali facoltà deve domandarsi perché le ha ricevute e se fa bene ad impiegarle per il mondo e non per il Signore. Le facoltà dell’uomo non servono, se non nella misura in cui lo Spirito Santo può servirsi di esse e usarle tramite coloro che Egli chiama.
Se coloro che vogliono sempre mettersi in evidenza devono prestare attenzione a non oltrepassare «il muro» con il quale Dio ha limitato il loro dono (Ecclesiaste 10:
, è però necessario, d’altra parte, esortare i «timidi» a non lasciarsi fermare quando si sentono chiamati dal Signore ad un servizio. Vi si impegnino dunque con quella «franchezza nella fede che è in Cristo Gesù» (1 Timoteo 3:13), proveniente da Dio, di cui il libro degli Atti parla a più riprese.
Ricerchiamo la comunione dei santi, e non le approvazioni lusinghiere, a volte sospette e sempre da temere; la «critica sana» è sempre riconoscibile perché ispirata all’obbedienza, alla Parola e all’amore. Un fratello scrisse: «Ciò di cui abbiamo bisogno è di pazienza, fede nel Dio vivente, amore per Cristo, vera sottomissione allo Spirito, studio diligente della Parola e una sincera sottomìssione gli uni agli altri nel timore del Signore».