Cristianità e chiesa
André Gibert
Nonostante la confusione attuale, una certezza ci conforta: Dio ha sulla terra, oggi come in altri tempi, un gran numero di suoi figli, di riscattati di Cristo, che costituiscono, tutti insieme, la Chiesa di Dio. Vi è un corpo di Cristo sulla terra, cioè l’insieme di coloro che, nati di nuovo, sono legati in modo vitale dallo Spirito Santo.
Nulla è cambiato, né nel modo con cui si diventa figli di Dio (coloro che «credono nel suo nome») né nel modo con cui Cristo nutre e ama teneramente la Chiesa che è il suo corpo. Non dimentichiamoci questo pensiero che, oggi come ai tempi degli apostoli, la Chiesa di Dio è solo formata da tutti i veri credenti, si chiamino essi cattolici, protestanti o in altro modo; e sono più numerosi di quanto possiamo credere e conoscere, e per Cristo e davanti a Dio la loro unità è altrettanto reale oggi quanto lo era ieri. Non li separiamo nei nostri cuori, e non usiamo il nome di «Chiesa» senza ricordare tutti i riscattati di Cristo.
Ma dove vedere quaggiù questa Chiesa di Dio? È evidente che se ne cerchiamo un’espressione globale non la troviamo. Essa è perduta da molto tempo. Molto rapidamente, fin dall’inizio, non sarebbe più stato possibile censire esattamente coloro che facevano realmente parte della Chiesa di Dio; è precisamente ciò che Paolo dice in 2 Timoteo 2: «Il Signore conosce quelli che sono suoi». Da una parte, milioni di persone che hanno ricevuto il battesimo non hanno mai manifestato la vita: dall’altra, i veri credenti sono divisi in un gran numero di gruppi diversi.
La pretesa di chiamarsi cristiani non manca, né quella di essere la Chiesa, o una Chiesa cristiana, pur considerando cristiani degli inconvertiti. Vi è in questo una profanazione odiosa per Dio, perché non si può portare abusivamente il Suo nome. E dal momento che uno dichiara di far parte della Chiesa di Cristo o di appartenergli, Dio attribuisce a questa professione tutta la responsabilità che essa comporta. Al mondo che si autodefinisce cristiano, alle sue organizzazioni che si dicono chiese cristiane, il Signore dice: «Io conosco le tue opere». Che cosa le ha ispirate? Dov’è la fede, l’amore, la speranza? Cosa ne hai fatto della mia Parola? Cosa ne hai fatto del mio nome con cui pretendi di essere chiamato? Cosa ne hai fatto del mio memoriale? Che cosa hai ricercato quaggiù?
La sua pazienza aspetta ancora. Come non essere toccati considerando con quale longanimità Egli parla a Sardi e a Laodicea? «Io ti consiglio... Tutti quelli che amo io li riprendo e li castigo». Il Signore continua a considerare questa cristianità come essa pretende (senza rendersi conto di quanto ciò sia solenne) e cioè portatrice della professione cristiana. Ma Egli è testimone fedele e verace. Ben presto la vomiterà dalla sua bocca. Del resto, Egli si è occupato di essa lungo tutto il corso della sua storia, castigando, riprendendo, lodando ciò che era bene, incoraggiando i fedeli, ma anche denunciando ciò che non poteva approvare. Il governo divino non è mai cessato: il giudizio comincia dalla casa di Dio. Ben presto questo giudizio sarà completo e definitivo. Il Signore cesserà di chiamare «Chiesa» colei che l’ha abbandonato e messo fuori. Quando avrà preso con sé i suoi, quando lo Sposo avrà rapito la Sposa nel cielo dove si celebreranno le nozze, sulla terra non rimarrà altro che la «grande prostituta», usurpatrice di questo bel nome di Sposa. Fino a quel momento Egli sopporterà anche le cose più riprovevoli; ma poiché questa grazia che attende ancora è disprezzata, ne risulterà un più severo giudizio. Il padrone della parabola dei talenti non contesta il titolo di servo al malvagio servitore, ma gli applica tutto il rigore del trattamento dovuto al «servo inutile».