Il Libro dei Proverbi
Jacques-André Monard
1. Scopo del libro dei Proverbi
Vorremmo incoraggiare i credenti a leggere, studiare e meditare il Libro dei Proverbi. I principi presentati in questo libro portano poco il carattere dell'economia che ha preceduto il Cristianesimo. Se, in qualche caso, è necessario tener conto dei caratteri che distinguono l'economia giudea da quella cristiana, si può dire che la maggior parte dei principi hanno un'applicazione letterale in ogni tempo.
L'espressione «figlio mio», così spesso ripetuta, ci fa capire a chi Dio si rivolge soprattutto: a colui che è in relazione con Lui e che possiede la sua vita, cioè al credente. Ma il credente vive in un mondo pieno di pericoli e di tranelli, un mondo i cui pensieri sono contrari a quelli di Dio. A queste difficoltà esteriori si aggiungono tutti i pericoli che hanno la loro sorgente nel suo proprio cuore. È dunque necessario che il credente sia messo in guardia verso tutto ciò che rischia di farlo cadere e che sia istruito sul cammino che deve avere chi occupa la posizione di figlio. Questo è lo scopo principale del libro; scopo essenzialmente pratico. Ma vi sono avvertimenti e istruzioni salutari non solo per i credenti ma per tutti gli uomini (vedere 8:4).
Dio ha cura di rivelarci il suo pensiero su argomenti che riguardano la vita di ogni giorno. Queste cose sono scritte «per farti conoscere cose certe, parole vere» (22:21). Nel mondo di oggi, in cui tutto è rimesso in discussione, abbiamo più che mai bisogno di norme di vita sicure, di origine divina. Il Libro dei Proverbi è particolarmente utile per fornircele, e per rimettere in sesto ciò che in noi è così facilmente deformato dall'influenza del mondo.
Vorrei ora soffermarmi, senza pretesa di completezza, su alcuni soggetti che sono sviluppati in questo libro. Al lettore sarà utile cercare tutti i passi citati, trovarne altri che completino i pensieri espressi e raccogliere egli stesso l'insegnamento del libro su altri argomenti.
2. La saggezza
La saggezza non è data all'uomo alla sua nascita. Al contrario, «la follia è legata al cuore del bambino» (22:15). La saggezza, quindi, è tutta da acquistare. «Il principio della saggezza è: Acquista la saggezza» (4:7). È Dio che la dà (2:6), ma non la dà se non a quelli che la cercano con impegno: «Se la cerchi come l'argento, e ti dai a scavarla come un tesoro... Acquista la saggezza; sì, a costo di quanto possiedi... » (2:4-5, 4:7). La saggezza non è data una volta per sempre, ma in modo progressivo: «Il saggio ascolterà e accrescerà il suo sapere» (1:5). E anche chi è già considerato saggio ha ancora bisogno di essere ripreso (9:
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Dà prova di saggezza chi ascolta l'insegnamento dei genitori (13:1), chi si lascia consigliare (13:10), colui che vedendo il male teme di cadere, lo evita e si nasconde (14:16, 22:3), chi è lento all'ira (19:11), chi dirige il suo cuore per la retta via invece di lasciarsi dirigere dal suo cuore (23:19), chi è padrone delle sue labbra (10:19). Si potrebbe continuare. Il saggio non si stima saggio da se stesso; c'è più da sperare da uno stolto che da chi si crede saggio (26:12). Poiché è Dio che li istruisce, i saggi sono in grado di comunicare ad altri la preziosa conoscenza ricevuta; la loro lingua è ricca di scienza (15:2). I saggi sanno anche tenere in serbo la saggezza (10:14) e spargerla al momento opportuno (15:7).
«Il principio della saggezza è il timore dell'Eterno» (9:10). Il più saggio uomo del mondo non può avere, quindi, nemmeno i primi rudimenti della vera saggezza, poiché il primo atto è temere l'Eterno, prendere il proprio posto davanti a Dio. Tutti quelli che rifiutano di prendere questo posto sono degli stolti (1:7).
In alcuni importanti brani del Libro dei Proverbi è la saggezza stessa che parla (1:20-33 e 8:1-32). In questi essa si identifica con Colui che è la Parola stessa di Dio, espressione perfetta di ciò che Dio è e di ciò che pensa. È una meravigliosa rivelazione dei Figlio, delizie eterne del Padre (8:30). È Lui che il Nuovo Testamento chiama «potenza di Dio e sapienza di Dio» (1 Corinzi 1:24) e che da Dio «è stato fatto per noi sapienza» (v. 30).
3. Le parole
«La bocca dello stolto è la sua rovina» (18:7); egli prende piacere a manifestare ciò che ha nel cuore (18:2). Senza alcun ritegno, la sua bocca sgorga follia (15:2) e si compiace nelle cose basse (26:11). Se gli capita di dire una parola saggia, questa è senza forza e senza effetto alcuno (26:7 e 9).
Per contro, la bocca del giusto è una fonte di vita (10:11), la sua lingua è argento eletto (10:20), le sue labbra conoscono ciò che è grato (10:32) e pascono molti (10:21). «Le parole gentili sono un favo di miele; dolcezza all'anima, salute alle ossa» (16:24). «Le parole dette a tempo sono come frutti d'oro in vasi d'argento cesellato» (25:11).
Poiché la bocca può far uscire parole di valore diverso, in bene o in male, bisogna custodirla (13:3). «Chi sorveglia la sua bocca e la sua lingua preserva sé stesso dall'angoscia» (21:23). Bisogna evitare la precipitazione (29:20), meditare la risposta (15:28), moderare le proprie parole (17:27) e non pronunciarne troppe (10:19). Così esse sono fonte di gioia per chi le pronuncia e per chi le ascolta. «Le parole della bocca di un uomo sono acque profonde; la fonte di saggezza è un ruscello che scorre perenne» (18:4).
4. Le influenze
I contatti che abbiamo con l'uno e con l'altro, specie se sono frequenti, esercitano su noi un'influenza e lasciano un'impronta, sia nel bene che nel male. È dunque importante scegliere bene le persone che frequentiamo. «Chi va con i saggi diventa saggio, ma il compagno degli insensati diventa cattivo» (13:20). È un prezioso incoraggiamento a ricercare la compagnia di quelli che hanno acquisito saggezza alla scuola di Dio; molto utili e preziosi sono i contatti con credenti anche di età differenti.
«Non fare amicizia con l'uomo collerico, non andare con l'uomo violento, perché tu non impari le sue vie ed esponga te stesso a un'insidia» (22:24-25). Che si tratti degli empi e dei malvagi (4:14-15), dello stolto (14:7) o dell'uomo violento (16:29) o anche di chi apre troppo le labbra (20:19), è sempre grande il pericolo di lasciarsi trascinare; per questo siamo esortati a fuggire, a non immischiarci, ad andarcene lontano. Se temiamo il Signore e non confidiamo nel nostro proprio cuore (28:26) eviteremo il più possibile ogni rapporto d'amicizia con quelli che non hanno la vita di Dio o che disprezzano l'insegnamento divino. Che ci sia una testimonianza da rendere e un servizio da compiere verso quelli che Satana sta trascinando alla perdizione, è certo (24:11-12), ma ciò non significa che dobbiamo camminare con loro.
5. Il matrimonio
Le istruzioni concernenti il matrimonio sono presentate dal punto di vista dell'uomo, non della donna, sia perché è l'uomo il rappresentante dinanzi a Dio della razza umana, sia perché è lui responsabile della scelta della sua compagna (alcuni traducono Proverbi 30:19: «la traccia dell'uomo verso la giovane»).
A più riprese il giovane è messo in guardia verso le seduzioni della donna straniera. Come, colui che è chiamato figlio, potrebbe unirsi ad una donna che non appartiene al popolo di Dio? Quand'anche il suo aspetto esteriore fosse attraente, «la fine a cui conduce è amara come il veleno, è affilata come una spada a doppio taglio» (5:4), una fossa profonda, un pozzo stretto (23:27). «Non desiderare in cuor tuo la sua bellezza» (6:25) poiché «una donna bella, ma senza giudizio, è un anello d'oro nel grifo di un porco» (11:22) e «la grazia è ingannevole e la bellezza è cosa vana» (31:30).
Ma se la donna che fa vergogna è un tarlo nelle ossa di suo marito (12:4), una donna virtuosa è la sua corona. «La donna che teme l'Eterno è quella che sarà lodata» (31:30); il suo pregio «sorpassa di molto quello delle perle» (31:10). «Chi la troverà?» Domanda solenne! Che i nostri ragazzi si affidino a Dio perché sia Lui a farla trovar loro. «Una moglie giudiziosa è un dono dell'Eterno» (19:14); Dio non rifiuterà questo favore (18:22) a chi confida in Lui e gli è fedele.
Nell'attesa di aver messo in ordine gli affari di fuori e in buon stato i suoi campi (24:27), e nell'attesa del momento scelto da Dio, sappia il giovane custodire il suo cuore più d'ogni altra cosa «poiché da esso provengono le sorgenti della vita» (4:23).
6. La correzione dei figli
La disciplina di un padre verso il suo figlio, figura di quella di Dio verso i suoi, è la prova di un vero amore (3:12). Questa disciplina non si limita a una riprensione a parole: c'è anche la verga: «La verga e la riprensione danno saggezza» (29:15). «Chi risparmia la verga odia suo figlio, ma chi lo ama, lo corregge per tempo» (13:24). È un lavoro paziente, da compiere con diligenza nel timore e nella fiducia in Dio, che porterà il suo frutto (22:15, 23:13-14, 29:17). «Insegna al ragazzo la condotta che deve tenere; anche quando sarà vecchio non se ne allontanerà» (22:6).
7. La riprensione
I figli non sono i soli ad aver bisogno di riprensione. Essa è necessaria ad ogni uomo, anche al saggio (9:
e all'intelligente (17:10, 19:25). Correzione e riprensione sono spesso legate, e sono una il completamento dell'altra (3:11, 5:12, 10:17, 12:1, 13:18, 15:5, 15:32). Beato chi ascolta la riprensione (15:31-32), chi dà retta (13:18 e 15:5) ! Diventerà saggio, acquisterà buon senso, sarà onorato, «abiterà tra i saggi» (15:31).
Per contro, «chi odia la riprensione è uno stupido» (12:1). «L'uomo che, dopo essere stato spesso ripreso, irrigidisce il collo, sarà abbattuto all'improvviso e senza rimedio» (29:1). Il modo con cui un uomo accoglie la riprensione è un test del suo stato naturale; «il beffardo non ama che altri lo riprenda» (15:12), mentre il saggio lo ama (9:
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Ma se vi sono esortazioni ad accettare la riprensione, vi sono anche incoraggiamenti a farla (24:24-25). «L'uomo che corregge sarà, alla fine, più accetto di chi lusinga con la sua lingua» (28:23). Bisogna, ovviamente, che siano parole dette a proposito e con saggezza (25:12). Il suo valore è grande se testimonia di un vero amore. «Chi ama ferisce, ma rimane fedele» (27:6). È in questo modo che l'amore può coprire moltitudine di peccati (10:12; Giacomo 5:19-20). L'amore cerca sempre di ricondurre quelli che si sviano.
8. La retribuzione
Il principio della retribuzione, o del governo di Dio, costituisce la trama del Libro dei Proverbi: «Ecco, il giusto riceve la sua retribuzione sulla terra, quanto più l'empio e il peccatore!» (11:31). Ci può essere differenza nel modo con cui questo governo di Dio viene esercitato, perché c'è differenza tra la condizione dei Giudei e quella dei Cristiani. Ma la grazia che è venuta per mezzo di Gesù Cristo e che è il solo fondamento della nostra salvezza non annulla il principio divino della retribuzione. Per questo nel Nuovo Testamento leggiamo: «Quello che l'uomo avrà seminato, quello pure mieterà» (Galati 6:7).
I Proverbi ci insegnano che la benedizione di Dio è su quelli che camminano secondo i suoi insegnamenti, mentre il suo giudizio è sospeso su quelli che fanno il male, ed è eseguito quando la pazienza divina giunge al termine (3:33, 11:8, 13:21, 16:7, 21:12).
Come chi semina grano o zizzania raccoglierà grano o zizzania, così la retribuzione sarà dello stesso tipo del male commesso. «Chi chiude l'orecchio al grido del povero, griderà anch'egli, e non gli sarà risposto» (21:13); «chi scava una fossa vi cadrà, e la pietra torna addosso a chi la rotola» (26:27). Chi rifiuta di ascoltare quando Dio chiama, griderà un giorno e Dio non gli darà risposta (1:24-28). Dio «schernisce gli schernitori» ma anche «fa grazia agli umili» (3:24). Dio eleva chi si abbassa (15:33, 29:23), e riempie di abbondanza i granai di chi lo onora coi suoi beni (3:9-10). «Chi ha pietà del povero presta all'Eterno, che gli contraccambierà l'opera buona» (19:17). E, materialmente come spiritualmente, «chi annaffia sarà egli pure annaffiato» (11:25).
9. La fiducia
«Chi confida nel proprio cuore è uno stolto» (28:26). Chi confida nelle ricchezze cadrà (11:28) benché, nella sua immaginazione, le consideri come una «roccaforte» (18:11). Ma colui che confida nell'Eterno è beato (16:20) e sarà saziato (28:25). È lui che, nel giorno cattivo, troverà un alto rifugio (18:10, 29:25).
«Confida nell'Eterno con tutto il cuore e non ti appoggiare sul tuo discernimento. Riconoscilo in tutte le tue vie ed egli appianerà i tuoi sentieri» (3:5-6).