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 La Lettera di Ponzio Pilato

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girolamo
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girolamo


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030110
MessaggioLa Lettera di Ponzio Pilato

La Lettera di Ponzio Pilato
Scritta in greco per l'Imperatore Tiberio Cesare, ma parla degli
ultimi tre anni di Gesù in Palestina. Il Rev. W.D. Mahan la trova nei
volumi del vaticano e la traduce in inglese, e poi a beneficio nostro
fu messa in lingua italiana dal fratello Girolamo Spallino. ----
Pilato scrive
A Tiberio Cesare Nobile Imperatore di Roma, Saluti.
Gli eventi che si sono svolti nella mia provincia in quest'ultimi
giorni, sono stati di un carattere tale, che darò dettagli
minutamente, di tutto quello che è avvenuto. - Non mi sorprenderà se
nel termine di qualche tempo tali eventi cambierebbero il destino
della nostra nazione, poiché pare che in questi ultimi tempi, tutti
gli dèi hanno cessato di esserci propizi.
Io sono quasi pronto a maledire il giorno in cui fui successore del
valoroso Tlacio, nel governo della Giudea, perché da quel giorno la
mia vita è stata continuamente in turbamento ed in disdetta. Nel mio
arrivo a Gerusalemme, pigliai possesso della pretura, ed ordinai una
festa speciale ed un banchetto, al quale invitai il tetrarca della
Galilea, ed il sommo sacerdote con i suoi ufficiali. Ma all'ora
designata, quando tutto era pronto, gl'invitati non sono comparsi.
Questo lo considerai un insulto alla mia dignità ed a tutto il governo
a cui ho fatto parte
Pochi giorni dopo, il sommo sacerdote si degnò di farmi una visita. Il
suo comportamento era grave ed un pò falsificato. Pretendeva che la
sua religione gli proibiva di attendere a tali banchetti, e di sedersi
a tavola coi Romani e d'offrire libagione, (spargere per terra vino ed
olio per sacrificio a qualche Deità), Ma questa fu soltanto
un'apparenza santuario, perché il suo contegno tradiva la sua
ipocrisia; però pensai bene di accettare le sue scuse. Dall'ora in poi
fui convinto che questi conquistati, si son dichiarati loro stessi,
essere nemici dei conquistatori, e che io dovrei avvisare i Romani di
guardarsi dai sommi sacerdoti di questa nazione.
Questi tradirebbero la lor propria madre pur d'avere un ufficio e
procurarsi una vita di lusso. Mi pare che di tutte le città
conquistate, Gerusalemme sia stata la più difficile da governare. Il
popolo era così turbolente che io viveva momenti di paura, pensando a
qualche insurrezione, e non avevo neanche soldati abbastanza per
poterli sopraffare. Avevo soltanto un centurione con cento soldati al
mio comando. Allora chiesi rinforzo al prefetto della Siria, il quale
m'informò che possedeva scarse truppe e che erano insufficienti a
difendere la propria provincia.
L'insanabile sete di conquiste per estendere il nostro impero,
senza nessun mezzo di difesa, mi fa aver paura che sarà la causa della
caduta finale del nostro governo. Io vissi nell'oscurità completa
della massa del popolo, perché non sapevo come questi sacerdoti, ed a
qual punto potevano arrivare a istigare la popolazione. Eppure ho
cercato di accertarmi con molto studio, di poter arrivare alla
conoscenza dei pensieri e alla mente di questo popolo. Fra i tanti
rumori che son pervenuti alle mie orecchie, ce n'è stato uno che
particolarmente attrasse la mia attenzione. Un giovane si diceva che
appariva in Galilea, predicando con nobile unzione, una legge nuova
nel nome di Dio dal quale era stato mandato. In primo mi contristai
pensando forse, che il suo disegno era di eccitare il popolo contro i
Romani ma di seguito questa paura si dileguò. Gesù di Nazaret parlava
più amichevolmente ai Romani, che ai Giudei.
Un giorno mentre passavo per la contrada di Siloe, dove c'era un
gran concorso di popolo, vidi nel mezzo di quel gruppo un giovane,
appoggiato ad un albero, e che con molta grazia e calma , parlava alla
moltitudine. Mi fu detto che costui era Gesù
Facilmente potetti sospettare, perché così grande era la differenza
fra questo Gesù e coloro che l'ascoltavano. I suoi capelli biondi e
la sua barba gli davano un'apparenza di un viso celestiale. Pareva di
essere di circa trent'anni d'età. Mai in vita mia vidi una continenza
così dolce e così serena.
Era veramente un contrasto fra lui e i suoi ascoltanti con la loro
barba nera e una complessione piuttosto oscura. Non volendolo
interrompere con la mia presenza, continuai a camminare avanti, però
dissi al mio segretario di unirsi a quel gruppo ed ascoltare. Questo
mio segretario si chiamava Manlius, ed era nipote del capo della
cospirazione, il quale stava accampato in Etruria ed aspettava
Catilina. Manlius era un vecchio abitante della Giudea, meritevole
della mia fiducia. Quando entrai nella pretura, trovai Manlius che mi
raccontò tutte le parole che Gesù aveva pronunziato in Siloe.
Non mi ricordo d'aver mai letto nel lavoro dei filosofi, una cosa
tale da potersi uguagliare con la sapienza di questo Gesù. Uno dei
ribelli Giudeo, così numerosi in Gerusalemme, si accostò domandandogli
se era lecito di pagare il tributo a Cesare e Gesù gli rispose:
"Rendete a Cesare tutto ciò che appartiene a Cesare, ma a Dio ciò che
è di Dio. Fu appunto a cagione di questo suo parlare sapientemente
che io accordai a questo nazareno cotanta libertà, Anzi, tutto era in
mio potere arrestarlo ed esiliarlo a Pontus, però questo sarebbe stato
contrario alla giustizia che è sempre stata ugualmente a tutti gli
uomini in tutto l'impero Romano.
Questo Gesù non era ribelle e neanche sedizioso, cosicché gli estesi
la mia protezione a sua insaputa. Lui aveva la libertà di parlare,
riunire assemblee e predicare al popolo. Poteva ancora eleggere i suoi
discepoli, senza essere ristretto da nessun mandato pretoriale, se
così potesse succedere.
Vorrebbero gli dèi prevenire le cose future se così dovrà avvenire,
che la religione dei nostri padri dovrà essere supplementata dalla
religione di Gesù, sarà allora una tollerazione nobile per la quale
Roma sarà debitrice d'una premeditata reverenza. Mentre io misero e
deprecabile ho dovuto essere lo strumento del quale i Giudei chiamano
provvidenza, ma che noi chiamiamo destino.
Questa libertà accordata a Gesù ha provocato i Giudei, non i poveri,
ma i ricchi e potenti. E' però vero che Gesù ultimamente è stato
severo e questo è stato nella mia opinione una ragione politica onde
limitare la libertà che gli era stata accordata. Agli Scribi e Farisei
ha detto: Voi siete una progenie di vipere, mi sembrate tanti sepolcri
e comparite bene agli uomini, ma voi siete molto vicino alla morte.
Altre volte si beffava delle offerte dei ricchi, dicendo che il
quattrino della vedova era molto più prezioso nel cospetto di Dio.
Nuovi rapporti venivano fatti giornalmente alla pretura, contro
l'insolenza di Gesù. Fui avvisato che qualche disgrazia gli potrebbe
avvenire. Non era la prima volta che Gerusalemme ha lapidato coloro
che si chiamavano profeti, e se il Pretore si ricusava di condannarli,
veniva fatto un appello a Cesare. In ogni modo la mia condotta
parziale fu approvata dal senato e mi fu promesso un rinforzo alla
fine della guerra. Cosicché, essendo scarso di truppe ed inabile di
poter atterrare sedizioni, adottai un mezzo per stabilire la
tranquillità di questa città, senza bisogno di sottomettere la pretura
ad una concessione umiliante, io scrissi a Gesù chiedendogli un
colloquio nel palazzo della pretura. Lui è venuto. Tu sai che nelle
mie vene scorre quel sangue mescolato Spagnolo e Romano, incapace di
paura e di nessuna emozione. Quando questo Gesù apparve, io
passeggiavo nella mia basilica, (stanza reale) e i miei piedi li
sentii come inchiodati su quel pavimento di marmo e tremai in tutta la
mia persona come un colpevole di un delitto. Eppure Gesù era calmo,
ed apparve veramente in una calma innocente. Quando giunse a me si
fermò e con qualche segno pareva dirmi: Ecco, sono qui, sebbene non
spiegò nessuna parola.
Per un momento contemplai con ammirazione questo straordinario tipo di
persona, sconosciutissimo fra i numerosi artisti e pittori, i quali
hanno dato forma e figura a tutti gli dèi ed eroi. Nulla si vedeva in
Lui che poteva indietreggiare nel suo carattere; eppure sentivo paura
e tremavo nell'accostarmi a Lui. Poi con voce tremante gli dissi:
Gesù di Nazaret, per tre anni di continuo ti ho dato autorità e
libertà di parlare, e non ne sono pentito. Le tue parole sono di
sapienza e di uomini filosofi. Non so se hai udito parlare di Socrate
o di Platone. Ma questo io vedo che nei tuoi discorsi vi è una
eccellente semplicità che attira come una calamita, e che ti eleva
sopra tutti i filosofi.

terza parte della lettera di P. Pilato
L'Imperatore è stato informato di tutto ciò, ed io suo umile
rappresentante di questa provincia sono molto contento d'averti dato
codesta libertà, conoscendo i tuoi meriti. Nondimeno, non posso
celarti di dirti che i tuoi discorsi ti hanno creato potenti nemici.
Nemmeno questo mi sorprende; Socrate ebbe i suoi nemici ed è stato
vittima di loro. I tuoi nemici son doppiamente irritati contro di te,
perché tu hai parlato troppo severamente contro la loro condotta, e
son contro di me a cagione della libertà che io ti ho concesso. Mi
hanno accusato di essere stato in diretta alleanza con te, onde
privare gli Ebrei delle poche facoltà civile lasciate a loro da Roma.
La mia domanda (Non dico il mio comando) è che tu sia un pò più
prudente e moderato nei tuoi discorsi, per non destare l'ira e
l'arroganza dei tuoi nemici che possono eccitare la stupida
popolazione contro te, costringendomi poi ad usare gli strumenti della
legge.
Gesù rispose calmamente: Principe della terra, le tue parole non
procedono dalla verità, né da alcuna sapienza. Parla tu ai torrenti
di fermarsi in mezzo ai monti, e di non sradicare gli alberi della
valle, e vedi che i torrenti ti risponderanno che devono obbedire alla
legge della natura e del Creatore. Solo Dio sa dove scorrerà l'acqua
dei torrenti. In verità io ti dico, che prima che fioriscono le rose
di Saron sarà sparso il sangue del giusto.
Giammai il tuo sangue si spargerà, risposi io, con profonda
emozione, tu mi sei così caro e prezioso, per questa tua virtù e
sapienza, dove tutti i farisei si abusano della libertà che i Romani
hanno lor concesso. Hanno cospirato contro Cesare cambiando la sua
bontà in paura, impressionando gl'ignoranti dicendo che Cesare è un
tiranno e che cerca la loro rovina. Insolenti e miserabili, non si
avvedono che il lupo del Tevere qualche volta si vestirà con pelle
d'agnello per portare a compimento il suo fine, ma a te io ti
proteggerò contro di loro. Per te la mia pretura sarà un sacro rifugio
tanto di giorno che di notte.
Gesù noncurante, scosse la testa con un grave e divin sorriso, e
disse: "Quando quel giorno verrà, non vi sarà nessun rifugio per il
Figliuol dell'uomo". Poi guardando al cielo disse: "Ciò che è stato
scritto nel libro dei profeti dovrà venire a compimento".
Giovanetto, io gli risposi gentilmente, tu mi forzi a cambiar la
mia richiesta in un assoluto comando. La salvezza di questa provincia
che è stata affidata alla mia cura, richiede di far rispettare i miei
ordini e tu sai quali saranno le conseguenze.
Gesù rispose: "Principe della terra, io non son venuto a portare
la guerra in questo mondo, ma la pace, l'amore e la carità. Io nacqui
nello stesso giorno nel quale Cesare Augusto diede la pace al mondo
Romano. Da parte mia non vi sarà persecuzione, anzi l'aspetto dagli
altri e dovrò abbracciarla con ubbidienza per la volontà del Padre mio
il quale mi ha mostrato la via. Cosicché frena la tua prudenza
mondana, perché non è in tuo potere di portare la vittima ai piedi del
tabernacolo della penitenza. E così dicendo, sparì come un'ombra
luminosa, dietro le cortine della basilica, sentendo un gran sollievo
in me, perché mi pareva di portare un pesante carico del quale non
potevo liberarmi in sua presenza.
Erode regnava allora in Galilea, così i nemici di Gesù pensavano di
vendicarsi accusandolo. Se Erode si fosse attenuto alla sua
inclinazione, avrebbe posto Gesù immediatamente a morte, e nonostante
la sua dignità reale, pure ebbe paura di commettere un tale atto, che
poteva diminuire la sua influenza nel senato, e come me, lui pure
temeva di Gesù. Ma questo non dovrà essere mai che un ufficiale Romano
deve aver paura di un Giudeo
Prima di questo, Erode venne a farmi una visita, e nell'alzarsi per
partire dopo una conversazione piuttosto inutile, mi domandò qual sia
la mia opinione in riguardo a questo Gesù Nazareno. Io gli risposi che
Gesù secondo il mio parere era uno dei più grandi filosofi, che le
nazioni hanno qualche volta prodotto. Nessun sacrilegio nella sua
dottrina, e l'intenzione di Roma era di lasciargli la libertà di
predicare tale dottrina che giustificava le sue azioni. Erode sorrise
maliziosamente e salutandomi con rispetto piuttosto ironico, se ne
andò.
Si avvicinava la gran festa della dei Giudei, e pensarono di essere
utili all'esultazione del popolo, che sempre si manifestava alla
solennità della Pasqua. Tutta la città era in tumulto, e il popolo
gridava volendo Gesù a morte. I miei nemici mi hanno fatto sapere che
la moneta della tesoreria è stata usata per la corruzione del popolo,
e questa era la cagione per cui il popolo gridava. Il pericolo si
appressava. Un centurione Romano fu insultato, allora scrissi subito
al prefetto di Siria, che mi mandasse cento soldati a piedi e
altrettanti di cavalleria, ma non me li mandò. Mi vidi solo con una
manata di vecchi incapaci e senza forza per frenare quella ribellione,
e non avendo altro mezzo di scegliere, li lasciai fare. Allora
presero Gesù e sebbene non avevano nulla da temere dal Pretore per
come il loro capo aveva lor detto, chiusi gli occhi per un momento,
mentre il popolo gridava: crocifiggilo, crocifiggilo.


La quarta parte della lettera di P. Pilato
I tre potenti partiti in quel momento si sono uniti insieme contro a
Gesù; prima gli Erodiani e i Sadducei, che la loro sediziosa condotta
procedeva da un doppio motivo. Costoro detestavano il Nazareno ed
avevano paura del potere Romano. Essi non vorranno perdonarmi giammai,
per essere entrato nella santa città, con la bandiera portando
l'immagine dell'imperatore Romano, e con tutto che in quel momento,
avevo commesso un grande errore, pure il sacrilegio non appariva meno
atroce agli occhi loro. Un'altra ingiustizia si era già sviluppata
nei loro cuori. Io avevo proposto di utilizzare una parte della moneta
del Tempio per fabbricare edifici a beneficio del pubblico. Ma questo
mio proponimento fu deriso; i Farisei si dichiararono apertamente,
essere nemici di Gesù. Essi si interessavano poco del governo,
nutrivano qualcosa di rimprovero ed amarezza, che il Nazareno per tre
anni continui aveva lanciato impunità contro loro, chiunque a Egli
andava. Or non potendo agire per se stessi secondo la loro disonesta
paura, si sono alleati agli Erodiani e Sadducei. Oltre a questi tre
partiti, ho dovuto anche lottare con la disonesta condotta del popolo
basso, pronto sempre ad unirsi alle sedizioni ed al profitto che
risultava da quel disordine e confusione. Gesù allora fu trascinato
dinanzi a Caiafà sommo sacerdote, come segno di sottomissione. Questi
mi mandò il prigioniere per pronunziare la sua condanna a morte. Io
gli risposi che siccome Gesù era un Galileo, conveniva che questo
affare fosse posto sotto la giurisdizione di Erode che lo mandò a
Cesare, e costui in fine ha rimesso il destino di quest'uomo nelle mie
mani . Subito il mio palazzo prese l'aspetto di una città fortificata,
ad ogni momento cresceva il numero dei sedizionisti. Gerusalemme era
inondata di una folla tumultuosa che veniva dalle montagne di Nazaret.
Tutta la Giudea parve scaturire dentro la città.
Mia moglie era una dei guali, la quale prevedeva il futuro, piangendo
si buttò ai miei piedi, dicendo: guardati, guardati di non toccare
quest'uomo, perché Egli è Santo, la notte scorso lo vidi in visione;
Lui camminava sopra le acque, e volava sopra le ali del vento. Parlò
alla tempesta ed ai pesci del mare e tutti l'ubbidivano. Vedi il fiume
Kedron una corrente di sangue. Vedevo gli statuti di Cesare pieni di
gemonidi (animali), le colonne del tempio in frantumi, ed il sole si
era velato di lutto come una veste di tomba. Attento Pilato, molto
male ti avverrà se tu non ascolti questa promessa solenne e le
preghiere di tua moglie. Fuggi la maledizione del senato di Roma, ed
all'ira di Cesare.
Intanto, i gradini della scala di marmo pareva di rompersi per la
moltitudine. Il Nazareno fu condotto di nuovo dinanzi a me. Andai
avanti nella gran sala di giustizia. Seguito dalla guardie, chiesi al
popolo in un tono severo, che cosa volevano; e tutti gridarono, la
morte del Nazareno, il Re dei Giudei. Oh giustizia Romana, dissi io,
non punire quest'offesa con la pena di morte. Crocifiggilo,
crocifiggilo, gridava senza tregua la moltitudine.
Per le grida incessanti di quel popolo infuriato, tremò il palazzo
dalle fontamenta. Soltanto uno appariva di essere calmo, dopo tanti
inutili sforzi fatti, per proteggerlo dalle furie dei suoi
persecutori, e costui era il Nazareno. In quel momento pensai che un
solo mezzo esisteva per salvargli la vita. Proposi per com'era stato
uso loro di liberargli un prigioniero in tale occasione, di liberare
Gesù e lasciarlo andare come il becco carico di peccati del popolo. Ma
loro sostennero che Gesù doveva essere crocifisso. Cercai di far loro
comprendere la loro inconsistenza e la loro compatibilità con la
legge. Mostrai ancor loro che nessun giudice criminale poteva dar
sentenza, senza aver digiunato tutto il giorno, e poi tale sentenza
doveva essere approvato dal concilio giudiziale composto di 71 membri
tra sacerdoti e Scribi e Farisei, presieduto da un sommo sacerdote. In
oltre occorreva la firma del presidente di quella corte cosicché
nessun criminale poteva essere messo a morte nello stesso giorno della
sua sentenza. L'indomani poi il concistoro doveva rivisare tutto il
processo. In questo modo pensai che potevano impaurirsi ad una
sottomissione, ma loro continuavano a gridare, crocifiggilo,
crocifiggilo. Allora ordinai che Gesù fosse frustato e battuto,
sperando così che potevano rimanere soddisfatti, però, non feci altro
che infuriarli. Allora ordinai che mi portassero un vaso con l'acqua
per lavarmi le mani in presenza di tutta quell'orribile moltitudine,
testificando così che nel mio giudizio, Gesù Nazareno non era degno di
morte.
Ma ogni tentativo fu vano, perché quei miserabili assetati di vendetta
volevano ad ogni costo la morte di Gesù. – Spesso nelle nostre
sommosse civile ci sono stato spettatore di furie animose della
moltitudine, ma nulla potrà uguagliarsi allo spettacolo di questa
occasione, Forse sarà stato vero in questo caso che tutti gli spiriti
indemoniati si sono radunati in Gerusalemme. Questa massa pareva che
non camminasse, ma che si girava come in un vortice, rotolando allungo
in onde viventi, dai portali della pretura, in fino al monte di Sion,
con gridi vociferosi e strilli tali che mai si erano uditi nella
sedizione della Pannonia, nei grandi tumulti del Forum, gran corta di
Roma.
A poco a poco il giorno si oscurò alla morte del gran Giulio Cesare.
Era perfettamente come nel giorno del 15 di Nisan. Io, governatore di
quella provincia ribelle, ero appoggiato ad una colonna della mia
basilica, contemplando quella malinconica oscurità. Questi
indemoniati hanno trascinato l'innocente Gesù al supplizio. Tutto
intorno a me era diventato deserto. Gerusalemme aveva già vomitato
fuori quel veleno sparso fra un funerale che si dirigeva a Gemonica.
Un'aria di desolazione si era avviluppata intorno a me. Le mie
guardie si erano aggiunte alla cavalleria, ed il centurione si
sforzava invano per mantenere un pò di ordine. Fui lasciato solo, ma
nel mio cuore sentivo che quello che passava in quel momento
apparteneva meglio alla storia di Dio che a quella degli uomini..
Un gran rumore di voci fu udito che veniva dal Golgota (Calvario) e
pareva di unirsi nell'aria come un suono che annunziava una così
terribile agonia, che mai fu udita da orecchie viventi. Nuvole oscure
si posavano sopra i pinnacoli del tempio, avviluppavano la città come
un velo. Così terribili erano i segni che gli uomini videro dal cielo
ed anche sulla terra che Dionisio esclamando disse: O che l'autore
della natura soffre, ovvero, l'universo sta per cascare a pezzi. Vi
fu anche un terremoto nella parte bassa d'Egitto, che tutti i
superstiziosi Giudei furono spaventati d'una paura mortale. Vi fu
detto che baltassar, uno degli scienziati Giudei di Antiochia fu
trovato morto appena dopo passato quell'eccitamento. Ora se era morto
di gran dispiacere non si sa, poiché era un intimo amico del
Nazzareno.
Durante le prime ore della sere indossai il mio mantello e scesi in
città, verso il cancello del Calvario. Il sacrificio era stato
consumato. La folla se n'era tornata a casa, e sebbene ancora agitata,
pure era meste e taciturna. Lo spettacolo che si mostrò ai loro occhi
, l'ha colpiti di rimorso e di spavento. Io vidi che la mia piccola
truppa Romana, quanto la decima di una legione, passare dolorosamente,
e colui che portava la bandiera aveva posto un velo nero sull'aquila
in segno di lutto. Udii ancora certi soldati Giudei che mormoravano
parole strane che io non compresi. Altri ancora raccontavano cose
quasi simile a quella che molte volte hanno recato tanto danno ai
Romani, guidati dai loro dèi.
La quinta e ultima parte della lettera di P. Pilato
Altre volte, gruppi di uomini e donne rimanevano come attoniti ed
inerti, riguardando dietro verso il Calvario, pensando che avvenisse
qualche altro disastro. Ritornai alla pretura pensoso e malinconico.
Nel salire le scale, i cui gradini erano ancora imbrattati di sangue
del Nazzareno, vidi un vecchio in atto supplichevole e dietro a lui un
certo numero di Romani che piangevano. Lo vidi subito buttarsi ai miei
piedi e piangere dirottamente. È veramente penoso vedere un vecchio
piangere in quel modo, e siccome il mio cuore era già pieno di
tristezza e dolore, lasciammo costoro piangere insieme ed in verità
parve che le lacrime formarono un piccolo rigagnolo, con molti di
quelli che avevo visti fra la moltitudine. Non avevo mai visto tale
sentimento diviso in due estremità. Vi erano quelli che vendettero e
tradirono Gesù, cui testimoniarono contro di Lui, altri ancora che
avevano gridato: crocifiggilo, crocifiggilo, vogliamo il suo sangue;
tutti slanciati crudelmente e vigliaccamente, avendo puliti i loro
denti nell'aceto. Si diceva che Gesù aveva parlato di una sua
risurrezione, e d'una sua separazione dopo la morte. Se così stanno le
cose, son sicuro che questo è incominciato in questa vasta
moltitudine. Padre, gli dissi io, dopo avermi rimesso un pò, chi sei?
E cosa chiedi? – Lui rispose: Io son Giuseppe di Arimatea, e son
venuto a pregarti in ginocchio, che tu mi dia il permesso di
sotterrare Gesù di Nazaret. La tua preghiera ti è stata esaudita, gli
risposi, e nello stesso tempo ordinai al mio segretario Manlius di
prendere certi soldati con lui ed attendere al funerale, acciocché non
venga profanata la sepoltura di Gesù.
Pochi giorni dopo, la tomba fu trovata vuota. I suoi discepoli già
predicavano dapper tutto, che Gesù era risuscitato dalla morte per
come aveva sempre detto. – Quest'ultimo rapporto creò più eccitamento
del primo, a dire il vero, non l'ho visto con gli occhi miei, però ho
fatto certe investigazioni che tu stesso puoi esaminare, e vedere se
io sono stato trascurato come rappresentante di Cesare. – Giuseppe ha
sepolto Gesù nella sua tomba dove ha contemplato la sua risurrezione,
o se, se ne dovrebbe scavare un'altra, non posso dirlo. Ma l'indomani
uno dei sacerdoti venne alla pretura dicendo che loro avevano
presentimenti che i discepoli rubassero il corpo di Gesù e
nasconderlo, e far poi comparire che sia risuscitato dalla morte come
lui aveva predetto, del quale tutti erano convinti. Allora io mandai
ordini al capitano delle guardie reale, Malco, dicendogli che
pigliasse dei soldati Giudei e metterli a guardare la sepoltura di
Gesù. Così se qualcosa succedeva, non potevano dare colpa ai Romani,
ma biasimare fra loro stessi.
Quando sentii una profonda sollecitudine che mai, mandai a chiamare
Malco (capitano delle guardie), mi disse che aveva mandato il tenente
giudeo con cento suoi soldati, il cui nome era Ben Isam, cui aveva
posto i suoi soldati intorno alla tomba. E mi disse pure che Isam ed
i suoi soldati, furono molto terrorizzati da quello che era successo
in quella mattina. Allora mandai a chiamare Ben Isam che mi raccontò
presso a poco quanto segue, dicendomi che verso la quarte vigilia
della notte hanno visto una meravigliosa luce sopra la sepoltura.
Dapprima diss'egli, credetti che forse erano le donne ad imbalsamare
il corpo di Gesù com'era loro usanza, ma non poteva comprendere come
avranno fatte a traversare le guardie. Mentre questa luce risplendeva
ancora, ecco, tutto quel posto fu tutto illuminato, e pareva esservi
una gran quantità di morti, vestiti nei loro abiti di sepolcro. Tutti
parevano gridare ed essere pieni di gioia, mentre lì attorno si udiva
una così dolce e melodiosa musica che mai sia stata udita, e tutta
quella contrada pareva piena di voci che davano gloria a Dio. A questo
punto, disse lui, parve che la terra girasse sotto i suoi piedi, in un
modo tale che si sentì essere vittima di uno svenimento. Disse ancora
che la terra pareva mancare sotto i suoi piedi. I suoi sensi mentali
l'abbandonarono, e non si ricordò più di quello che era successo. Gli
domandai in qual posizione si trovava quando rivenne , e mi rispose
che si trovava faccia a terra. Gli domandai anche se non poteva
essersi sbagliato intorno a quella luce, siccome il giorno stava per
spuntare. Egli disse che per prima credeva così anche lui, ma ad un
tiro di pietra era successivamente oscuro, e così rammentò che era
molto presto per essere la luce del giorno. Gli domandai se il suo
stato di svenimento non poteva essere causato dal sonno, ed essersi
svegliato e messosi subito in piedi come tante volte succede. E lui
disse che assolutamente non aveva dormito per niente, e specialmente
che vi era la pena di morte per colui che venisse trovato
addormentato. Disse però che aveva visto in quel momento altri soldati
che dormivano. – Certi dormivano allora? E la scena per quanto tempo
durò? Rispose di non saperlo, però credeva d'aver durata per circa
un'ora. Allora gli domandai se andò alla tomba dopo che fu rinvenuto,
e disse di no! Perché aveva paura, ed essendo arrivato il cambio,
diss'egli, tutti andammo al nostro quartiere. Gli domandai se fosse
stato interrogato dai sacerdoti, e rispose di sì. Essi, disse lui,
volevano farmi dire di essere stato un terremoto, e che loro stavano
tutti a dormire e mi fu offerto moneta se io dicevo che i discepoli
erano venuti e avevano rubato il corpo di Gesù, Continuò dicendo che
lui non vide nessuno dei discepoli e non sapeva neanche che il corpo
di Gesù non era più nel sepolcro. Altri glielo avevano detto. Gli
domandai se sapeva qual'era l'opinione privata dei sacerdoti, e lui
disse che qualche sacerdote diceva che Gesù non era un uomo e neanche
creatura umana; e nemmeno il figlio di Maria, e neanche colui che si
diceva essere nato da una vergine in Betlem. Ma che Costui fu in
questa terra già molto tempo fa insieme ad Abramo e Lot, come pure in
altri tempi e luoghi. Mi sembra che se la giudaica è vera, questa
conclusione dovrà essere corretta, poiché essa è precisamente in
accordo con la vita di quest'uomo che è stato accertato dagli amici e
dai nemici. Poiché gli elementi non erano nella sua mano niente più
di ciò che è l'argilla nella mano del vasellaio. Lui cambiava l'acqua
in vini, risuscitava i morti e curava gli ammalati, calmava la
tempesta e le acque del mare, chiamava il pesce e veniva con una
moneta in bocca. – Ed ora io dico: se Costui poteva fare tutte queste
cose, perché crearono una terribile inimità contro di Lui? Quest'uomo
non fu accusato di offesa criminale, né d'aver violato alcun punto
della legge, e neanche d'aver individualmente fatto del male a qualche
persona.
Io son quasi pronto a dire, come disse Manulas alla croce:
Veramente costui era il Figlio di Dio. Ora o nobile imperatore,
questo è il caso per cui ho preso cura di scrivertene chiaramente,
acciocché tu possa giudicare sopra la mia condotta al riguardo, perché
seppi che antipater ha detto molte cose contro di me in questo affare.
Con promessa di fede e buona fortuna al mio nubile regnante. Io sono
il tuo, più ubbidiente servo - - Ponzio Pilato
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