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 4. Quarta lettera — Come si può dis

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girolamo
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4. Quarta lettera — Come si può dis Empty
080813
Messaggio4. Quarta lettera — Come si può dis



4. Quarta lettera — Come si può discernere la direzione dello Spirito nell’Assemblea. Segni positivi.


4. Quarta lettera — Come si può dis Presen10


L’uomo che tentasse di definire le operazioni dello Spirito nel risveglio o nella conversione d’un’anima, non farebbe che tradire la propria ignoranza, e negherebbe, inoltre, quella sovranità dello Spirito dichiarata in queste parole ben conosciute: «Il vento soffia dove vuole, e tu ne odi il rumore, ma non sai né da dove viene né dove va; così è di chiunque è nato dallo Spirito». E tuttavia la Scrittura abbonda in segni che possono servire a riconoscere quelli che sono nati dallo Spirito e quelli che non lo sono. E così è del soggetto di questa lettera. Spero d’essere preservato dal pericolo d’usurpare il posto dello Spirito Santo, credendo di poter definire esattamente il modo delle sue operazioni sulle anime di coloro ch’Egli dirige per agire nell’Assemblea, sia nel culto, sia esercitando un ministerio fra i santi. La cosa può essere in certi casi, molto più chiara e molto più sensibile che in altri (voglio dire, sensibile a colui che è così chiamato ad agire). Ma la Scrittura ci offre ampie istruzioni sui segni del vero ministerio; e desidero ora attirare la vostra attenzione sopra alcuni di questi segni, fra i più semplici e i più evidenti.

Alcuni si applicano alla materia che è l’oggetto del ministerio; altri concernono i motivi che ci spingono ad agire nel ministerio, o a prendere una qualsiasi parte alla direzione delle assemblee dei santi.

Gli uni forniranno a coloro che agiscono così una pietra di paragone, per giudicar se stessi; e coll’aiuto degli altri segni, tutti i santi potranno discernere ciò che è dallo Spirito e ciò che procede da altra sorgente. Gli uni serviranno a mostrare quali sono i doni di Cristo alla sua Chiesa per il ministerio della parola; e gli altri aiuteranno quelli che hanno realmente questi doni, a decidere la questione importante di sapere quando essi devono parlare e quando devono tacere. L’anima mia trema quando penso alla mia responsabilità scrivendo sopra un tal soggetto; ma m’incoraggia il pensiero che «la nostra capacità viene da Dio» e che la Scrittura è «utile a insegnare, a riprendere, a correggere, a educare alla giustizia, perché l’uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona» (2 Timoteo 3:16-17). Provate tutto ciò che scriverò per mezzo di questa regola perfetta, e, se qualche cosa non sopportasse questa prova, vi accordi Dio la grazia, diletti fratelli, d’essere abbastanza savi per rigettarla.

Non è affatto per mezzo di impulsi ciechi e di impressioni non intelligenti che lo Spirito dirige, bensì riempiendo la mente spirituale dei pensieri di Dio, come sono rivelati nella parola scritta, ed agendo sulle affezioni rinnovate. Nei primi tempi della Chiesa vi erano, è vero, dei doni di Dio, di cui l’uso poteva non essere legato all’intelligenza spirituale. Intendo parlare del dono delle lingue, quando non vi era interprete; e sembra che, essendo questo dono più meraviglioso degli altri agli occhi degli uomini, i Corinzi desiderassero molto di esercitarlo e di farne pompa. L’apostolo li riprende: «Io ringrazio Dio che parlo in altre lingue più di tutti voi; ma nella chiesa preferisco dire cinque parole intelligibili per istruire anche gli altri, che dirne diecimila in altra lingua. Fratelli, non siate bambini quanto al ragionare; siate pur bambini quanto a malizia, ma quanto al ragionare, siate uomini compiuti» (1 Corinzi 14:18-20). Il meno, adunque, che ci si possa aspettare da coloro che esercitano un ministerio, è che conoscano la Scrittura, che abbiano l’intelligenza del pensiero di Dio com’è rivelato nella Parola. E notate, questa conoscenza, quest’intelligenza possono trovarsi in un fratello e non essere accompagnate da alcun dono d’elocuzione, da alcuna capacità per comunicarle ad altri; ma senza di esse, che cosa avremmo noi da comunicare? Certamente i figli di Dio non si radunano nel nome di Gesù, perché si presentino loro dei pensieri puramente umani, o perché si ripeta loro ciò che altri han detto o scritto. Una conoscenza personale della Scrittura, l’intelligenza del suo contenuto, sono certamente delle cose essenziali al ministerio della Parola. «[Gesù disse loro:] Avete capito tutte queste cose? Essi risposero: Sì. Allora disse loro: Per questo, ogni scriba che diventa un discepolo del regno dei cieli è simile a un padrone di casa il quale tira fuori dal suo tesoro cose nuove e cose vecchie» (Matteo 13:51-52). Quando il nostro Signore stava per mandare i suoi discepoli come suoi testimoni, «aprì loro la mente per capire le Scritture» (Luca 24:45). E quante volte leggiamo che Paolo, quando predicava ai Giudei s’intratteneva con loro secondo le Scritture (Atti 18:2,4). Se l’apostolo si rivolge ai Romani come a dei cristiani capaci di ammonirsi gli uni gli altri, è perché può dire di loro: «Ora, fratelli miei, io pure sono persuaso, a vostro riguardo, che anche voi siete pieni di bontà, ricolmi di ogni conoscenza, capaci anche di ammonirvi a vicenda» (Romani 15:14). Nelle parti delle Scritture che trattano particolarmente dell’azione dello Spirito nell’Assemblea, in 1 Corinzi 12, per esempio, non è escludendo la Parola, che quest’azione ha luogo. «Infatti, a uno è data, mediante lo Spirito, parola di sapienza; a un altro parola di conoscenza, secondo il medesimo Spirito» (1 Corinzi 12:Cool. Quando l’apostolo enumera le cose per cui egli ed altri si rendono approvati come servitori di Dio, troviamo in quell’ammirabile lista ciò che segue: «con conoscenza... con un parlare veritiero (o meglio: con la Parola di verità)... con le armi della giustizia a destra e a sinistra» (2 Corinzi 6:6-7); e se ponete mente, a ciò che costituisce quest’armatura, troverete che la verità è una cintura per i lombi, e la spada dello Spirito è la Parola di Dio (Efesini 6:14,17). L’apostolo, alludendo a quanto aveva già scritto agli Efesini, dice: «leggendole, potrete capire la conoscenza che io ho del mistero di Cristo» (Efesini 3:4). Quando lo stesso apostolo sollecita i santi ad esortarsi gli uni gli altri, notate ciò che menziona innanzi tutto, come condizione essenziale e preliminare per far questo: «La parola di Cristo abiti in voi abbondantemente; istruitevi ed esortatevi gli uni gli altri con ogni sapienza; cantate di cuore a Dio, sotto l’impulso della grazia, salmi, inni e cantici spirituali» (Colossesi 3:16). E così dice a Timoteo: «Esponendo queste cose ai fratelli, tu sarai un buon servitore di Cristo Gesù, nutrito con le parole della fede e della buona dottrina che hai imparata». E l’esorta, dicendo: «Àpplicati, finché io venga, alla lettura, all’esortazione, all’insegnamento... Òccupati di queste cose e dèdicati interamente ad esse perché il tuo progresso sia manifesto a tutti. Bada a te stesso e all’insegnamento; persevera in queste cose perché, facendo così, salverai te stesso e quelli che ti ascoltano» (1 Timoteo 4:6,13,15,16). Nella seconda epistola, Timoteo è così esortato: «E le cose che hai udite da me in presenza di molti testimoni, affidale a uomini fedeli, che siano capaci di insegnarle anche ad altri» (2 Timoteo 2:2). E quanto a Timoteo stesso, leggiamo: «Sfòrzati di presentare te stesso davanti a Dio come un uomo approvato, un operaio che

non abbia di che vergognarsi, che dispensi rettamente la parola della verità» (vers. 15).

Fra le qualità richieste per essere vescovo ossia sorvegliante, troviamo menzionato in Tito, cap. 1, quanto segue: «attaccato alla parola sicura, così come è stata insegnata, per essere in grado di esortare secondo la sana dottrina e di convincere quelli che contraddicono». Tutto quel che precede prova con evidenza, fratelli miei, che la Chiesa può essere edificata non soltanto da piccoli frammenti di verità, presentati ogni qualvolta ci sentiamo spinti a farlo (*). No, i fratelli per cui lo Spirito Santo agisce allo scopo di pascere, nutrire e condurre i santi di Dio sono quelli la cui anima è abitualmente esercitata dalla meditazione della Parola; quelli «che per via dell’uso hanno le facoltà esercitate a discernere il bene e il male» (Ebrei 5:14). Come l’abbiam detto, il meno che ci si possa attendere da coloro che esercitano un ministerio nella Chiesa, è che abbiano una simile conoscenza della parola di Dio.

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(*) Dio non voglia che qualche fratello possa essere da queste righe scoraggiato per dire non fosse che poche parole, tendenti ad una reale edificazione! Ma quelli che il Signore adopera così, sarebbero gli ultimi a supporre che il loro ministerio sia, il solo ministerio, o quello per cui Dio sovviene principalmente ai bisogni dei santi.
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Tuttavia questa conoscenza non basta; occorre pure che la parola di Dio sia applicata alla coscienza dei santi, in tal modo che risponda ai loro bisogni attuali. Per questo occorre imparare a conoscere lo stato dei santi, avendo rapporti con loro, ecc. (e questa conoscenza sarebbe sempre molto imperfetta) ovvero essere diretti da Dio. E, questo è vero dei fratelli che, come evangelisti, pastori e dottori, sono, nel senso più completo della parola, i doni di Cristo alla sua Chiesa. Dio solo può far loro trovare le parti della verità che raggiungeranno la coscienza e risponderanno ai bisogni delle anime; Lui solo può renderli capaci di presentare questa verità in tal modo che abbia il suo effetto. Dio conosce i bisogni di tutti in generale e di ciascuno in particolare nell’assemblea, e può dare a quelli che parlano di far udire la verità stessa che conviene, che è necessaria, conoscano essi o no lo stato di coloro ai quali si rivolgono. Quanto è dunque importante d’essere completamente e sinceramente sottomessi allo Spirito!

Ciò che distingue sempre il ministerio dello Spirito, sono dei sentimenti d’effusione derivanti da un’affezione personale per Cristo. «Mi ami?» è la domanda ripetuta tre volte a Pietro, mentre gli era pure ordinato tre volte di pascere il gregge di Cristo. «Infatti l’amore di Cristo ci costringe», dice Paolo. Quanto ciò differisce da tanti motivi che potrebbero naturalmente influenzarci! Oh! se potessimo dire, in buona coscienza, ogni volta che esercitiamo qualche ministerio: «Ciò che mi ha condotto ad agire non è il desiderio di mettermi avanti, né la forza dell’abitudine, né l’impazienza, che non può sopportare che non si faccia nulla; bensì l’amore per Cristo, e per il suo gregge, a causa di Colui che l’ha acquistato a prezzo del suo proprio sangue». Certo, era questo il motivo che mancava al malvagio servitore, che aveva nascosto nella terra il talento del suo padrone (Matteo 25:24-30).

Inoltre, il ministerio dello Spirito, ed ogni altra azione fatta nell’assemblea, sotto l’impulso di questo stesso Spirito, si distinguono sempre per un sentimento profondo di responsabilità verso Cristo. Permettete ch’io rivolga a voi ed anche a me una domanda, fratelli miei. Supponete che alla fine di una riunione, mi si domandasse: «Perché avete indicato il tal inno, o letto il tal capitolo, o detto la tal parola, o pregato in questo modo?». Potremmo noi rispondere con una pura e buona coscienza: «Il mio solo motivo, facendolo, è stato la sincera convinzione che tale era la volontà del mio Maestro?» Potremmo noi dire: «Ho indicato quell’inno, perché avevo coscienza che rispondeva all’intenzione dello Spirito in quel momento? Ho letto quel capitolo, ho detto quella parola, perché sentivo chiaramente davanti a Dio che era quello il servizio che il mio Signore e Maestro m’assegnava? Ho pregato in quel modo, perché avevo coscienza che lo Spirito di Dio mi dirigeva a chiedere, come portavoce dell’assemblea, le benedizioni implorate in quella preghiera?». Fratelli miei, potremmo noi rispondere così? O piuttosto non agiamo noi forse sovente senza alcun sentimento della nostra responsabilità verso Cristo?

«Se uno parla, lo faccia come si annunziano gli oracoli di Dio (o come oracolo di Dio)», dice l’apostolo Pietro. Questo significa qualcosa di più che parlare secondo la Scrittura. Se non posso avere coscienza che Dio mi ha insegnato ciò che faccio udire all’assemblea, e che lo dico da parte di Dio al momento opportuno, debbo tacere. Naturalmente un uomo può ingannarsi, e sta ai santi di giudicare per mezzo della parola di Dio, tutto quel che odono; ma soltanto la convinzione sincera dinanzi a Dio, che Dio gli ha dato qualcosa da fare o da dire, dovrebbe condurre chicchessia a parlare o ad agire nelle riunioni. Se le nostre coscienze agissero abitualmente sotto questa responsabilità, sarebbe senza dubbio un ostacolo a molte cose; ma nello stesso tempo, Dio potrebbe liberamente manifestare la sua presenza, che sovente non realizziamo abbastanza.

Quanto è notevole nell’apostolo Paolo questo sentimento di responsabilità immediata verso Cristo. «Perché se evangelizzo, non debbo vantarmi, poiché necessità me n’è imposta; e guai a me, se non evangelizzo! Se lo faccio volenterosamente, ne ho ricompensa; ma se non lo faccio volenterosamente è sempre un’amministrazione che mi è affidata» (1 Corinzi 9:16-17). E quanto commoventi sono le parole che rivolge agli stessi credenti: «Io sono stato presso di voi con debolezza, con timore e con gran tremore» (1 Corinzi 2:3). Che rimprovero per la leggerezza di cuore e la presunzione con cui, ahimè! noi tutti, trattiamo sovente la santa parola del nostro Dio! «Noi non siamo infatti come quei molti che falsificano la parola di Dio», dice ancora lo stesso apostolo, «ma parliamo mossi da sincerità, da parte di Dio, in presenza di Dio, in Cristo » (2 Corinzi 2:17).

Vorrei esaminare un altro punto. «Dio infatti ci ha dato uno spirito non di timidezza, ma di forza, d’amore e di autocontrollo (oppure di sobrio buon senno)» (2 Timoteo 1:7). «Uno spirito di buon senno». Può darsi che un uomo possegga poca o punta scienza umana; è possibile che sia incapace di esprimersi in modo elegante, o anche corretto; possibile che manchi di tutto ciò, e che, tuttavia, sia «un buon servitore di Gesù Cristo». Ma bisogna ch’egli possegga uno spirito di buon senno. E, poiché siamo su questo soggetto, mi sia permesso di menzionare una cosa che m’ha talvolta attristato molto, sia fra noi, che altrove. Voglio alludere alla confusione fra le persone della Divinità, confusione che si fa sovente nelle preghiere. Quando un fratello, cominciando a pregare, si rivolge a Dio Padre e continua, parlando come se Lui fosse morto e risuscitato; ovvero quando, rivolgendosi a Gesù, gli rende grazie d’aver mandato il suo unigenito Figlio nel mondo, vi confesso che mi chiedo: «È forse lo Spirito di Dio che ispira simili preghiere?». Tutti coloro che agiscono nel culto hanno anche bisogno dello spirito di «buon senno», per evitare questa confusione. Nessuno di loro crede che il Padre sia morto sul Calvario, né che Cristo abbia mandato il suo Figlio nel mondo. Dove dunque si trova la mente matura, lo spirito intelligente che dovrebbero caratterizzare quelli che si espongono come i canali del culto dei santi, quando il linguaggio di cui si servono esprime realmente ciò che essi stessi non credono?

Riservando ancora alcuni punti per un’altra lettera, rimango il vostro affezionato in Cristo.

_____________________
William Trotter
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