L' “ABBÀ” NELL’ANTICO TESTAMENTO
È una forma aramaica della parola ebraica “Ab”, padre, derivante dal linguaggio infantile e
significa “caro papà”. Questo termine era usato solo dai bambini che si rivolgevano ai
propri genitori e mai dall'umanità e, nella fattispecie, dal popolo d’Israele, che aveva
conosciuto il peccato ed avvertiva la distanza da Dio. Nessun adoratore poteva chiamare
Dio con il nome di Abbà.
Numerosi erano i popoli antichi che usavano chiamare Dio con il nome di “Padre”. Qualche
esempio: Zeus era denominato “padre degli dei e degli uomini”. Nel secondo millennio a.c.
troviamo un’invocazione sumerica al Dio Sin: “O Padre, misericordioso e clemente, che hai
nelle tue mani la vita del mondo intero, o Padre generatore degli dei e degli uomini...”.
Ma occorre fare attenzione: non tutti coloro che chiamano Dio col nome di Padre si
rivolgono allo stesso Dio; anche Assur il dio sanguinario di Ninive era chiamato Padre.
Quindi non basta fermarsi al titolo, ma occorre guardare la realtà che esso indica. Si
rimane meravigliati constatando che nell’Antico Testamento, l’appellativo Padre riferito a
Dio sia usato pochissime volte (15 in tutto).
Israele, infatti, ha imparato a chiamare JHWH “Padre” molto tardi. Quale il motivo?
Occorre pensare che nelle mitologie pagane la paternità di Dio era intesa in senso fisico-materiale. E questa era una visione incompatibile con l’altissima concezione spirituale che
Israele aveva di Dio.
L’uso del termine “padre” poteva suggerire ad Israele concezioni pagane ripudiate sin
dall’inizio. Infatti, quando Israele inizierà a chiamare Dio “Padre”, per la ricchissima
simbologia che l’attributo contiene, non lo farà come nei popoli pagani con le loro
mitologie che lo designano come progenitore “padre del mondo”.
La scrittura userà la simbolica del padre in un primo tempo per sottolineare il dovere
dell’obbedienza del figlio-Israele al proprio padre: “Voi siete figli per il Signore vostro Dio;
non vi fate incisioni addosso e non vi radete tra gli occhi per un morto, poiché tu sei un
popolo consacrato al Signore tuo Dio. Il Signore ti ha scelto, perché tu sia il suo popolo
prediletto fra tutti i popoli che sono sulla faccia della terra” (Deuteronomio 14:1).
Successivamente questo termine sarà usato per fondare una prospettiva universalistica
delle fede ebraica: “Non abbiamo forse tutti un solo padre? Non ci ha creati uno stesso
Dio? Perché dunque siamo perfidi l'uno verso l'altro così che profaniamo il patto dei nostri
padri?” (Malachia 2:10).
È interessante notare che la grande e tardiva religione monoteistica mussulmana tra i
novantanove nomi dati a Dio non contiene quello di “padre”. Troppo forte è per loro la
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concezione di una trascendenza assoluta di Dio per potergli applicare una simbolica che
troppo fa riferimento all’esperienza umana.
Solo nel secondo libro della Bibbia, Dio comincia a chiamare i suoi servitori con il nome di
figli: in quest’espressione è implicita la figura del padre: “Tu dirai al faraone: “Così dice il
Signore: Israele è mio figlio, il mio primogenito e io ti dico: «Lascia andare mio figlio,
perché mi serva»; se tu rifiuti di lasciarlo andare, ecco, io ucciderò tuo figlio, il tuo
primogenito”» (Esodo 4:22,23).
La paternità è usata solo in riferimento al popolo (mai al singolo) ed è rivelata da Lui: “É
questa la ricompensa che date al Signore, o popolo insensato e privo di saggezza? Non è
lui il padre che ti ha acquistato? Non è lui che ti ha fatto e stabilito?” (Deuteronomio 32:6).
Da questi ed altri versi, comprendiamo che Dio si qualifica Abbà quanto all'elezione, si lega
al Suo popolo con un patto, rivendica l'ubbidienza e lo prepara per la manifestazione del
Suo Figliuolo. Dio ha scelto Israele come Suo tesoro particolare: “Infatti tu sei un popolo
consacrato al Signore tuo Dio. Il Signore, il tuo Dio, ti ha scelto per essere il suo tesoro
particolare fra tutti i popoli che sono sulla faccia della terra. Il Signore si è affezionato a
voi e vi ha scelti, non perché foste più numerosi di tutti gli altri popoli, anzi siete meno
numerosi di ogni altro popolo, ma perché il Signore vi ama: il Signore vi ha fatti uscire con
mano potente e vi ha liberati dalla casa di schiavitù, dalla mano del faraone, re d'Egitto”
(Deuteronomio 7:6-
.
In quanto Abbà, esige rispetto ed ubbidienza. Purtroppo, non sempre quel popolo Lo
onorerà e Lo servirà e i richiami di Dio si fanno spesso energici:
Malachia 1:6: «Un figlio onora suo padre e un servo il suo padrone; se dunque io sono
padre, dov'è l'onore che m'è dovuto? Se sono padrone, dov'è il timore che mi è dovuto? Il
Signore degli eserciti parla a voi, o sacerdoti, che disprezzate il mio nome! Ma voi dite: “In
che modo abbiamo disprezzato il tuo nome?”
Geremia 3:19,20: “Io avevo detto: “Quale posto ti darò tra i miei figli? Che paese delizioso
ti darò? La più bella eredità delle nazioni!” Avevo detto: “Tu mi chiamerai: «Padre mio!» E
non smetterai di seguirmi”. Ma proprio come una donna è infedele al suo amante, così voi
mi siete stati infedeli, casa d'Israele!» dice il Signore”.
Anche quando la situazione spirituale è degenerata, Dio, che rimane sempre fedele al
patto, manda i Suoi profeti a richiamare il popolo alla fedeltà ed a ricordarci che Gli è
debitore della propria esistenza:
Isaia 63:8,16: “Egli aveva detto: «Certo, essi sono il mio popolo, i figli che non
m'inganneranno». Fu il loro salvatore… Tuttavia, tu sei nostro padre; poiché Abraamo non
sa chi siamo e Israele non ci riconosce. Tu, Signore, sei nostro padre, il tuo nome, in ogni
tempo, è Salvatore nostro”.
Isaia 64:8,9: “Tuttavia, Signore, tu sei nostro padre; noi siamo l'argilla e tu colui che ci
formi; noi siamo tutti opera delle tue mani. Non adirarti fino all'estremo, o Signore! Non
ricordarti dell'iniquità per sempre; ecco, guarda, ti supplichiamo; noi siamo tutti tuo
popolo”.
Rispetto alla parola profetica, tale nome è collegato ad una conoscenza più intima di Dio;
Israele aspettava il tempo quando avrebbe potuto usare il nome Abbà per chiamare Dio.
L' “ABBÀ” DI CRISTO
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I rabbini al tempo di Gesù insegnavano: “Come il nostro padre è misericordioso nei cieli,
così anche voi dovete essere misericordiosi sulla terra”.
Nelle Diciotto Benedizioni, preghiera che certamente Gesù recitava quotidianamente
leggiamo:
“O Padre nostro, facci tornare alla tua legge” (V ben.)
“O Padre nostro perdonaci perché abbiamo peccato” (VI ben.)
Nella preghiera dello Shemà troviamo:
“O Padre nostro, tu hai pietà di noi...Padre nostro, padre di misericordia, il misericordioso,
abbi pietà di noi”.
Così nel Qaddish: “Che le preghiere e le suppliche di Israele siano accolte dal loro Padre
che è nei cieli. Amen!”
Gli Esseni pregavano: “Mio padre non mi conosce e, in confronto a te, mia madre mi ha
abbandonato. Eppure tu sei padre di tutti i tuoi fedeli e ti compiaci di essi come una madre
amorosa nel suo piccolo, e come un padre premuroso tu stringi al petto tutte le tue
creature”.
Commentando Esodo 14,19: “L’angelo del Signore che andava innanzi al campo d’Israele
si mosse e andò dietro a loro” i rabbini raccontavano questa storia: “Un uomo camminava
per la via insieme al suo bambino. Il bambino lo precedeva, ma ad un certo punto
giunsero i briganti a rapire il fanciullo. Il padre allora lo tolse davanti a sé e se lo pose
dietro. Ma un lupo apparve in quella direzione ed egli tolse il fanciullo di dietro e di nuovo
se lo pose dinanzi. E vennero poi i briganti dinanzi e lupi di dietro, sì che egli dovette
sollevare il bambino e portarselo in braccio. Il bambino cominciò a soffrire per l’ardore del
sole. Il padre lo coprì con la sua veste. Il bambino ebbe fame: il padre lo nutrì; ebbe sete
e il padre gli diede da bere. Così fece Dio con Israele quando fu liberato dall’Egitto” (Mech
30a)
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Ancora una parabola: “Il figlio di un re aveva preso una cattiva strada. Il re gli inviò il suo
precettore con questo messaggio: “Ritorna figlio mio!”. Ma il figlio gli fece rispondere:
“Con che faccia posso tornare? Mi vergogno a comparirti dinanzi”. Il padre allora gli
mandò a dire: “Può un figlio vergognarsi di tornare da suo padre? E se tu torni, non torni
da tuo padre?” (Dt R. 2,24).
Ma chiamare Dio “Padre” non significa ancora chiamarlo “Abbà”: parola con cui i bambini
si rivolgevano al loro papà. Dicevano i rabbini: “Quando un bambino inizia ad assaporare il
frumento, impara a dire “Abbà e Immà”. Un termine troppo affettuoso e confidenziale per
essere applicato alla maestà infinita di Dio.
Eppure Gesù lo usa abitualmente: tutte le sue preghiere iniziano con quest’invocazione. Il
che sta ad indicare un tipo di rapporto con Dio fatto di assoluta confidenza e fiducia, un
rapporto profondamente filiale. Gesù Cristo è stato Colui che per primo ha mostrato che
Yahwèh è Padre: “Gesù disse queste cose; poi, alzati gli occhi al cielo, disse: «Padre, l'ora
è venuta; glorifica tuo Figlio, affinché il Figlio glorifichi te… Padre, io voglio che dove sono
io, siano con me anche quelli che tu mi hai dati, affinché vedano la mia gloria che tu mi
hai data; poiché mi hai amato prima della fondazione del mondo. Padre giusto, il mondo
non ti ha conosciuto, ma io ti ho conosciuto; e questi hanno conosciuto che tu mi hai
mandato; e io ho fatto loro conoscere il tuo nome, e lo farò conoscere, affinché l'amore
del quale tu mi hai amato sia in loro, e io in loro» (Giovanni 17:1,24-26).
Gesù, però, parlava di “Suo Padre”: “In quella stessa ora, Gesù, mosso dallo Spirito
Santo, esultò e disse: «Io ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai
nascosto queste cose ai sapienti e agli intelligenti, e le hai rivelate ai piccoli! Sì, Padre,
perché così ti è piaciuto! Ogni cosa mi è stata data in mano dal Padre mio; e nessuno sa
chi è il Figlio, se non il Padre; né chi è il Padre, se non il Figlio e colui al quale il Figlio
voglia rivelarlo» (Luca 10:21,22).
Distorcendo queste dichiarazioni di Gesù, Ario, vissuto nel IV secolo d.C., affermò che
c'era un tempo quando il Padre non era Padre ed il Figlio non esisteva. Per lui, quindi, il
Figlio fu un prodotto della creazione, subordinato, inferiore e non preesistente. Il Concilio
di Nicea chiarì il rapporto del Figlio con il Padre, inserendo nella formula del credo il
termine “homousios”, cioè della stessa essenza, ma basterebbe leggere attentamente i
primi versi del capitolo primo del Vangelo di Giovanni, per confutare questa e tutte le
eresie.
Ritornando al nostro argomento, chi ascoltava la preghiera di Gesù doveva rimanere
sconcertato, per il fatto che Egli usasse quel termine affettuoso, “Abbà”, ma privo di ogni
solennità per rivolgersi a Yahwèh: “Diceva: «Abbà, Padre! Ogni cosa ti è possibile;
allontana da me questo calice! Però, non quello che io voglio, ma quello che tu vuoi»
(Marco 14:36).
“Abbà” nella Sua preghiera è l'espressione di un rapporto irripetibile, unico, singolare che
c’è fra Gesù e il Padre.
Osiamo dire: Abbà
Psicologi e sociologi affermano che la nostra società ha rifiutato la presenza e il ruolo del
padre. Questa figura è stata sentita come presenza bloccante e frenante della spontaneità
della vita. Si è presentato come un avversario-padrone da combattere in quanto
rappresenta tutti i condizionamenti e le alienazioni. Si è rivendicato, in una società
improntata su un’ideologia radicale, il diritto di ognuno di costruire se stesso senza nessun
“padre”. Ciascuno è autonomo, indipendente, creatore di se stesso.
L’uomo si è ritrovato solo, sperduto. Incapace di darsi risposte. Ma questo invece di
spingerlo al ritorno alla casa del padre lo ha spesso spinto in un parossistico tentativo di
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spegnere la sua angoscia in direzione del raggiungimento di piccoli orizzonti individuali,
piccole altre cose che però non riscaldano mai a sufficienza il cuore. Il padre diventa una
realtà insignificante, un ornamento di cui si può fare benissimo a meno.
Gesù insegnava ai credenti a rivolgersi al Padre con quell'espressione di fiducia e di affetto
in vista del rapporto di intimità che si stava concretizzando: “Voi dunque pregate così:
“Padre nostro che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome” (Matteo 6:9).
Dopo la morte e la resurrezione di Gesù, Questi, incontrando la Maddalena, le diede un
messaggio: “Gesù le disse: «Non trattenermi, perché non sono ancora salito al Padre; ma
va' dai miei fratelli, e di' loro: “Io salgo al Padre mio e Padre vostro, al Dio mio e Dio
vostro”» (Giovanni 20:17).
Pur restando la diversità di posizione davanti al Padre, (Egli è il Figlio in senso unico, noi
per adozione), ogni uomo, attraverso Cristo, ha accesso da figlio al Padre:
• Matteo 11:27: “Ogni cosa mi è stata data in mano dal Padre mio; e nessuno
conosce il Figlio, se non il Padre; e nessuno conosce il Padre, se non il Figlio, e colui al
quale il Figlio voglia rivelarlo”.
• Giovanni 14:6: “Gesù gli disse: «Io sono la via, la verità e la vita; nessuno viene al
Padre se non per mezzo di me”.
• Efesini 2:18: “Con la sua venuta ha annunziato la pace a voi che eravate lontani e
la pace a quelli che erano vicini; perché per mezzo di lui gli uni e gli altri abbiamo accesso
al Padre in un medesimo Spirito”.
Accettando Gesù, siamo identificati con Lui, che è Figlio, e diventiamo figli di Dio. E, come
segno della filiazione divina, anche i credenti hanno il diritto di invocare Dio come Padre:
“Al Dio e Padre nostro sia la gloria nei secoli dei secoli. Amen” (Filippesi 4:20).
C’è un grido nel cuore del credente: “E, perché siete figli, Dio ha mandato lo Spirito del
Figlio suo nei nostri cuori, che grida: «Abbà, Padre» (Galati 4:6).
Chi mai aveva avuto il privilegio di realizzare la Sua presenza in modo così intimo?
L’apostolo Paolo, nella lettera ai Romani, parla di “adozione”, in vista della quale siamo
legalmente resi figli di Dio: “E voi non avete ricevuto uno spirito di servitù per ricadere
nella paura, ma avete ricevuto lo Spirito di adozione, mediante il quale gridiamo: «Abbà!
Padre!» (Romani 8:15).
TRE OSSERVAZIONI
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1. Egli è pronto a donarci ciò di cui abbiamo bisogno: “E chi è quel padre fra di voi che, se
il figlio gli chiede un pane, gli dia una pietra? O se gli chiede un pesce, gli dia invece un
serpente? Oppure se gli chiede un uovo, gli dia uno scorpione? Se voi, dunque, che siete
malvagi, sapete dare buoni doni ai vostri figli, quanto più il Padre celeste donerà lo Spirito
Santo a coloro che glielo chiedono!» (Luca 11:11-13).
2. A Lui dobbiamo rivolgerci con la semplicità di un bambino come Gesù stesso ci ha
insegnato: «In verità vi dico: se non cambiate e non diventate come i bambini, non
entrerete nel regno dei cieli” (Matteo 18:3).
3. Il Padre nostro ha cura dei Suoi figli: «Perciò vi dico: non siate in ansia per la vostra
vita, di che cosa mangerete o di che cosa berrete; né per il vostro corpo, di che vi
vestirete. Non è la vita più del nutrimento, e il corpo più del vestito? Guardate gli uccelli
del cielo: non seminano, non mietono, non raccolgono in granai, e il Padre vostro celeste li
nutre. Non valete voi molto più di loro? E chi di voi può con la sua preoccupazione
aggiungere un'ora sola alla durata della sua vita? E perché siete così ansiosi per il vestire?
Osservate come crescono i gigli della campagna: essi non faticano e non filano; eppure io
vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, fu vestito come uno di loro. Ora se
Dio veste in questa maniera l'erba dei campi che oggi è, e domani è gettata nel forno, non
farà molto di più per voi, o gente di poca fede? Non siate dunque in ansia, dicendo: “Che
mangeremo? Che berremo? Di che ci vestiremo?” Perché sono i pagani che ricercano tutte
queste cose; ma il Padre vostro celeste sa che avete bisogno di tutte queste cose” (Matteo
6:25-32).
Di Lui non si deve e non si può avere paura.
CONCLUSIONE
Il fatto singolare è che “Abbà” non è neppure oggi adoperato dagli Ebrei! Lutero scriveva:
“È una paroletta, eppure è comprensiva d'ogni cosa. La bocca non parla, ma l'affetto del
cuore si esprime in questa maniera. Pure se mi sento oppresso e circondato da ogni lato
dall'angoscia e dal terrore e mi sembra di essere Abbàndonato e allontanato dalla tua
presenza, tuttavia sono tuo figlio e tu sei mio Padre per amore di Cristo: sono amato a
cagione dell'Amato. Perciò questa paroletta, Padre, concepisce efficacemente nel cuore,
sorpassa tutta l'eloquenza di Demostene, di Cicerone e di tutti i più eloquenti retori che vi
siano mai esistiti al mondo. Non è qualcosa che possa esprimersi con parole, ma con
gemiti, i quali non possono essere emessi per mezzo di parole o di eloquenza, perché
nessuna lingua può esprimerli”.
Figli! Questo è davanti a Dio l'unico titolo che conta :”Vedete quale amore ci ha
manifestato il Padre, dandoci di essere chiamati figli di Dio! E tali siamo. Per questo il
mondo non ci conosce: perché non ha conosciuto lui. Carissimi, ora siamo figli di Dio, ma
non è stato ancora manifestato ciò che saremo. Sappiamo che quand'egli sarà manifestato
saremo simili a lui, perché lo vedremo com'egli è. E chiunque ha questa speranza in lui, si
purifica com'egli è puro” (1Giovanni 3:1).
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