La riunione per l’adorazione
La casa di Dio è una casa di «preghiera» e una casa di «sacrifici spirituali». Adorare è certamente la più alta funzione dell’assemblea. Tutti i figli di Dio sono sacerdoti per intercedere, ed anche per offrire l’incenso e presentare l’olocausto; sono gli adoratori in spirito e verità, che il Padre ha cercato.
La lode è offerta a Dio per mezzo di Gesù Cristo, il quale purifica l’iniquità delle nostre sante offerte (Esodo 28:38).
I temi sono i meravigliosi soggetti che lo Spirito Santo propone ai credenti: l’amore di Dio, la persona di Cristo nella sua divinità e la sua umanità, le sue sofferenze, le sue glorie infinite... Questa riunione ha Dio come oggetto, Gesù Cristo come soggetto e lo Spirito Santo come potenza.
Ciascuno di noi individualmente è chiamato a «benedire Dio in ogni tempo» come faceva il salmista (Salmo 34:1); ma c’è anche una lode collettiva, di cui Cristo risuscitato è il centro (Ebrei 2:12). Egli stesso prende posto «in mezzo all’assemblea» per intonare le lodi del «suo Dio» di cui Egli «annuncia il nome ai suoi fratelli». L’assemblea è il luogo del «sacerdozio santo», dove vengono offerti con solennità e gioia «sacrifici di lode». Non esiste altro luogo dove offrire insieme questi sacrifici.
Circa il giorno in cui l’assemblea deve riunirsi per l’adorazione, non abbiamo comandamenti formali, al pari di altri tipi di riunione. Nel Nuovo Testamento l’esistenza di un «giorno per il Signore» s’impone ad ogni spirito ed a ogni coscienza sensibile a ciò che Egli aspetta dai suoi. Questo giorno, il primo della settimana, è quello della risurrezione, alla sera del quale Egli venne e si trovò in mezzo ai suoi radunati. Alcuni versetti (Atti 20:7, 1 Corinzi 16:2) dimostrano che i cristiani del tempo dell’apostolo Paolo, sceglievano quel giorno per riunirsi in particolare per rompere il pane. Ciò dimostra che la domenica non ha niente a che vedere col «sabato», se non nel fatto che deve essere onorata come lo era il sabato (Isaia 58:13).
L’adorazione intelligente si svolge nella libertà dello Spirito. Ogni azione della carne è particolarmente stonata, sia come organizzazione preliminare, sia come direzione umana, sia come impulsi senza controllo. Lo Spirito crea una corrente di pensiero percepita da ogni fratello sensibile, che si traduce in inni, cantici, azioni di grazie, lettura della Parola, il tutto presentato in una vivente armonia, ad un livello più o meno elevato a seconda dello stato spirituale di ogni singolo e dell’insieme. È un concerto dalle note molteplici, ma che concorrono ad un’espressione di unità, sotto la direzione del suo invisibile, ma sempre presente direttore.
Nessuno dovrebbe restare inerte nella riunione per l’adorazione. Tutti dovrebbero avere qualcosa da portare, a meno che il loro cuore, durante la settimana, sia stato occupato dalle cose del mondo, e allora il «paniere» (Deut. 26) vuoto dovrebbe indurre a un salutare giudizio di se stesso. In una vera adorazione, i silenzi non sono intervalli vuoti, nei quali ci si spazientisce, perché, come la casa era ripiena dall’odore del profumo che Maria versava ai piedi del Signore senza parlare, l’atmosfera è impregnata di una muta adorazione. Questi silenzi non costituiscono pause destinate a far riprendere respiro tra varie manifestazioni verbali, ma intervalli di raccoglimento fra azioni che hanno lo scopo di esprimere ciò che lo Spirito forma nei cuori alla gloria di Dio Padre e Dio Figlio. La lettura della Parola serve a far scaturire la lode.
Va evitata ogni routine, ogni fiducia nell’uomo. «Noi... offriamo il nostro culto per mezzo dello Spirito di Dio, ... ci gloriamo in Gesù Cristo e non confidiamo nella carne», dice l’apostolo (Filippesi 3:3). La riunione per l’adorazione non rappresenta la sede idonea ove i doni, anche i più qualificati per il ministerio della Parola, debbano essere manifestati. Tutta l’assemblea parla per mezzo dei suoi componenti, e l’attività dello Spirito può interrompersi se uno di loro esprime pensieri non inerenti all’adorazione, anche se contengono verità elevate. Affidare ad alcuni o, peggio ancora, a una persona sola l’impegnativo compito di «indirizzare» l’adorazione, certamente priva l’assemblea di grandi benedizioni. Nessuno è «consacrato» per rendere grazie al momento della commemorazione della morte del Signore, alla cena.
La riunione di adorazione può anche aver luogo senza la celebrazione della cena; ma è bene che la cena sia celebrata nel contesto di una tale riunione. Essa si accompagna alle lodi ed alle azioni di grazie. Di solito è celebrata nel momento culminante dell’adorazione; essa dovrebbe rappresentarne la massima espressione. Alle riunioni per l’adorazione si ricollegano, infatti, tutti i risultati della morte di Cristo. Riuniti «il primo giorno della settimana per rompere il pane» come i santi della Troade, commemoriamo alla tavola del Signore la manifestazione più elevata dell’amore divino. Se fossimo realmente consapevoli di questo amore, pronunceremmo poche parole e le azioni di grazie sarebbero brevi.
Il memoriale della morte del Signore Gesù Cristo parla; per mezzo di esso Egli ci ricorda la sua morte e noi «facciamo questo in memoria di Lui». In questa celebrazione consiste la più potente testimonianza resa a Cristo in questo mondo da coloro che non ne fanno più parte e che attendono il loro Maestro: «annunciamo la morte del Signore finché Egli venga». Pertanto questo atto deve essere celebrato «degnamente» e per prendervi parte ogni credente è tenuto a «provare se stesso» (giudicare se stesso e non solo i propri atti). Essa è la tavola del Signore e non la nostra. È triste pensare che alcuni dei suoi non si uniscano per rispondere al suo invito. Nessuno di coloro che gli appartengono ha ragioni valide per tenersene lontano; se qualche cosa nella vita di un credente lo trattiene, questo «qualcosa» può avere il sopravvento sulla più pura delle gioie. È scritto che ciascuno «provi se stesso, e cosi mangi del pane e beva al calice», e non «si astenga».
Nel contempo a questa tavola si realizza la comunione, nell’espressione di «un solo corpo» secondo 1 Corinzi 10:15-17. Bisogna pensare a tutti i figli di Dio, lavati nel sangue del Signore, membra di questo corpo. Presenti o assenti, conosciuti o sconosciuti, li vediamo uno in Lui.
Ma il fatto stesso che possiamo radunarci solo sulla base dell’unità del corpo ci impone l’obbligo di serbare l’unità dello Spirito. A questa luce, come ci appaiono insensate e meschine tante cose che spesso trascuriamo di giudicare e che turbano la comunione!
D’altra parte, il sentimento della santa presenza di Dio indurrà l’assemblea a purificarsi dal «vecchio lievito», giungendo fino a «togliere il malvagio» dopo aver provato con tutti i mezzi a ricondurlo. Questa purificazione pratica, individuale e collettiva, è indispensabile all’esercizio del «santo sacerdozio». In figura vediamo qui la conca di rame; Aronne e i suoi figli vi si «lavavano» quando entravano nella tenda di convegno e quando s’accostavano all’altare (Esodo 40:31-32).
André Gibert