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MessaggioIl cammino dell’assemblea

Il cammino dell’assemblea

Il cammino dell’assemblea Presen10

André Gibert

2.4.1 «Seguitando verità in carità» (o «essendo veri nell’amore») (Efesini 4:15)
La vita dell’assemblea non si limita alle riunioni; in realtà il suo funzionamento comprende la completa vita cristiana di tutti i credenti. Tutti i dettagli della vita spirituale di ciascun credente si ripercuotono sull’insieme.

L’attuale dispersione dei veri credenti e la confusione generale tra mondo e cristianità risultano ancor più penose e più umilianti da questo solo pensiero: oggi è diventato praticamente impossibile realizzare una comunione sincera e vitale con tutti, se non col cuore e nella preghiera, e vedendoci tutti «uno» nell’unico pane durante la cena. Certamente siamo felici di gustare l’amore cristiano con tutti coloro che possiamo incontrare ed identificare come veri credenti. Ma la pratica dei rapporti fraterni, realtà benedetta e rallegrante, è purtroppo limitata dall’impossibilità di fare lo stesso cammino con quanti si scostano dalla verità; e così procediamo insieme finché è possible «continuare a camminare per la stessa via» (Filippesi 3:16).

Se avessimo a cuore gli interessi di Cristo nell’assemblea, e se la sollecitudine per «tutte le chiese» ci preoccupasse come assillava ogni giorno l’apostolo Paolo (2 Corinzi 11:28), avremmo più spesso sulla bocca l’esclamazione afflitta del profeta: «Come mai s’è oscurato l’oro, s’è alterato l’oro più puro? Come mai le pietre del santuario si trovano sparse qua e là ai canti di tutte le strade?» (Lamentazioni 4:1). Ma nello stesso tempo noi proveremmo una più sincera riconoscenza verso Dio le cui compassioni fanno sì che «non siamo consumati» (3:22), e verso Colui che ha fornito alla debole testimonianza di Filadelfia le più ferme promesse. Non cessiamo dunque di domandargli la grazia di essere suoi testimoni.

Coloro che la grazia di Dio ha voluto riunire, in testimonianza al valore permanente del nome di Gesù come centro di radunamento, devono vegliare perché i diritti del Signore siano mantenuti in questa sfera, come dovrebbero esserlo dovunque nella Chiesa. Essi devono condursi come se costituissero la totalità della Chiesa. Ciò richiede l’attività continua dell’amore nella verità. Quale testimonianza sarebbe resa e quante anime sincere sarebbero rese salde, se tutti i rapporti fra noi fossero contraddistinti da questa duplice caratteristica! «Procacciate la pace con tutti, e la santificazione... badando bene che nessuno resti privo della grazia di Dio» (Ebrei 12:15). Quante volte la Parola ci invita ad esortarci reciprocamente, a sopportarci, a soccorrerci l’un l’altro!

Tutto l’insegnamento pratico del Nuovo Testamento si concretizza in questo, ed è strettamente connesso alla dottrina che ci è data affinché «tutti arriviamo all’unità della fede e della piena conoscenza del Figliuol di Dio, allo stato d’uomini fatti, all’altezza della statura perfetta di Cristo» (Efesini 4:13). Le esortazioni pratiche delle epistole agli Efesini e ai Colossesi che, più di altre, abbracciano tutta la vita dei credenti quaggiù, sono in rapporto con la Chiesa. Questa vita non è mai considerata solo in rapporto col singolo individuo. Dai passi sopra citati è chiara l’importanza di tutto ciò che il Signore ha posto «nel corpo» per l’edificazione, affinché, «seguitando verità in carità, noi cresciamo in ogni cosa verso Colui che è il capo, cioè Cristo. Da Lui tutto il corpo ben collegato e ben connesso mediante l’aiuto fornito da tutte le giunture, trae il proprio sviluppo nella misura del vigore di ogni singola parte, per edificare se stesso nell’amore» (Efesini 4:15-16). Ogni parte del corpo (e ciascuno di noi ne rappresenta una), funziona come dovrebbe? Lasciamo che ogni giuntura agisca liberamente per collegare fra loro i vari organi e fornire ad essi da parte del Signore il necessarie nutrimento?

2.4.2 L’esercizio dell’autorità nel nome del Signore da parte della Chiesa
a) La sfera di competenza dell’assemblea
L’assemblea come tale ha diritto-dovere di intervenire nei rapporti fra gli individui. Matteo 18 ce la indica come il più alto punto di riferimento sulla terra alla quale un fratello offeso da un altro possa ricorrere. Essa non può disinteressarsi della buona armonia tra i membri del corpo di Cristo. Paolo era felice nel sapere che i Filippesi erano «fermi in uno stesso spirito, combattendo assieme d’un medesimo animo» (Filippesi 1:27). Avrebbe reso la sua allegrezza perfetta il vederli di un medesimo sentimento, di uno stesso pensiero, uno stesso amore; e per supplicare Evodia e Sintiche ad avere un medesimo sentimento nel Signore, egli si serve della stessa epistola che scrive a tutta l’assemblea. Inoltre ognuno deve vegliare sul comportamento dei suoi fratelli e sorelle coi quali costituisce la testimonianza collettiva.

L’assemblea è anche l’ambiente nel quale i credenti devono crescere e portare frutto, in pace, nella gioia d’una comunione fraterna. Ma questa è, come sappiamo, una cosa molto fragile, e bisogna lavorare senza tregua per mantenerla. Fiducia fraterna, cure e attenzioni reciproche, sotto l’autorità del Signore e la sottomissione alla Parola, vanno di pari passo.

Senza dubbio, non è l’assemblea che fa entrare qualcuno nel corpo di Cristo, contrariamente a quanto alcuni pretendono. Ogni persona che è nata da Dio (per mezzo dello Spirito e della Sua Parola) diventa membro di questo corpo grazie al «battesimo» dello Spirito Santo.

L’assemblea, come tale, non interviene neppure nel battesimo con l’acqua (introduzione nella professione cristiana); infatti non troviamo in nessuna parte della Scrittura il battesimo praticato dalla Chiesa o nel nome della Chiesa, ma solo da servitori del Signore nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo (o nel nome del Signore Gesù).

L’assemblea ha il privilegio di riconoscere e di ricevere coloro che «Cristo ha accolto per la gloria di Dio» (Romani 15:7). Essa li accoglie alla tavola del Signore, dove s’esprime, non lo si dirà mai abbastanza, l’unità del corpo di Cristo.

Essa ha la responsabilità di preservare la santità di questa tavola e la purezza della «casa di Dio». Questo per la gloria del Signore e per il bene spirituale dei suoi. Vi è un ordine da mantenere e questo compito appartiene all’assemblea.

Essa prende decisioni, secondo il principio enunciato dal Signore Gesù: «In verità vi dico: tutte le cose che avrete legate sulla terra saranno legate nel cielo, e tutte le cose che avrete sciolte sulla terra, saranno sciolte nel cielo» (Matteo 18:18).

Questa gestione spirituale competerebbe a tutti i credenti esistenti in una località, ma, nello stato attuale delle cose, a causa delle divisioni che ci sono, deve essere realizzata almeno da quelli che hanno le caratteristiche di una vera assemblea del Signore. Coloro che «lo Spirito Santo ha stabilito come sorveglianti» e, in modo più generico, tutti coloro che hanno a cuore gli interessi di Cristo nell’assemblea, se ne occuperanno senza dubbio con uno zelo speciale, e secondo l’ordine stabilito nella Scrittura. I fratelli hanno un ruolo nella vita dell’assemblea che le sorelle non debbono rivendicare; ma le decisioni non possono essere prese che dall’assemblea intera, fratelli e sorelle, avendo anche queste ultime fatto conoscere il loro pensiero.

Non si tratta di procedure o di formule; è importante un continuo esercizio della coscienza dell’assemblea davanti al Signore, perché tutto sia fatto secondo Lui, per Lui, nel suo nome, nella piena libertà dello Spirito.

b) L’ammissione alla tavola del Signore
Solo la preoccupazione della gloria del Signore deve guidare nell’ammissione di un credente alla tavola del Signore. Lo si riconosce come vero credente, fatto dimostrato non solo dalle sue parole (egli confessa «con la bocca Gesù come Signore», credendo «col cuore che Dio l’ha risuscitato dai morti»; Romani 10:9), ma anche dalla sua condotta. Non si esigerà da questa persona la perfezione, ma un cammino separato dal male, nel giudizio di se stesso: praticamente, una condotta riconosciuta buona, e l’assenza di ogni legame con dottrine che porterebbero pregiudizio alla persona di Cristo (2 Giovanni 9-10).

Non si tratta di possedere una conoscenza più o meno approfondita; non vi sono esami da far sostenere, ma l’assemblea deve avere la certezza che colui che ha fatto tale domanda è sano nella fede e che conforma la sua vita a questa fede.

È superfluo dire che più le false dottrine si moltiplicano nella cristianità, più è necessaria un’attenta vigilanza per ammettere alla tavola del Signore. I fratelli più scrupolosi a questo riguardo sono a volte considerati troppo «stretti»; eppure, nella maggioranza dei casi, è col cuore contrito, ma con la convinzione assoluta di difendere i diritti del loro Maestro, che essi mantengono il muro di cinta e non aprono ulteriormente la porta.

Quante volte non si è sufficientemente vegliato a questo proposito!

c) La «disciplina»
La «disciplina» dell’assemblea riguardo a «quelli di dentro», come dice l’apostolo, è altrettanto indispensabile (1 Corinzi 5:12). Essa consiste nel consigliare, nell’avvertire, nel riprendere se è necessario, prima di giungere al triste obbligo dì «giudicare». Un credente che non pratichi l’indispensabile giudizio di se stesso e si allontani poco a poco dal sentiero, corre verso una grave caduta, che pregiudicherà non solamente la sua testimonianza, ma quella dell’intera assemblea. In tale frangente, l’amore fraterno deve manifestarsi per «ricondurre», coprendo «una moltitudine di peccati» (Giacomo 5:19-20; 1 Pietro 4:8; Galati 6:1; 2 Tessalonicesi 3:14-15). Uno spirito umile, contristato per le mancanze altrui, che pratica quel lavaggio dei piedi di cui il Signore ci ha lasciato l’esempio, sarà molto spesso più efficace di severi rimproveri. Dio moltiplichi tra noi dei pastori che abbiano la saggezza e l’energia per esercitare un efficace ministerio «in privato» con la giusta intransigenza verso il peccato commesso ma anche con tenerezza e misericordia verso colui che ha sbagliato. L’assemblea, e non solamente uno o l’altro fratello individualmente, ha il dovere di occuparsi di coloro che «camminano disordinatamente»; ma sarà un lavoro fatto male se non fa cordoglio sul peccato commesso (1 Corinzi 5), umiliata, prendendo come proprio questo peccato di uno dei suoi, invece di atteggiarsi a giudice. Se la disciplina non ha effetto, se il carattere di «malvagio» si manifesta, allora essa deve «mettere fuori», dove «Dio giudica» (1 Corinzi 5:13) (cioè escludere dalla comunione) colui che non si è lasciato rincondurre. «Togliendo il malvagio» l’assemblea si purifica, nell’umiliazione e nel dolore. Nei confronti di colui da cui si separa, essa agisce in vista del ricupero di chi ha peccato; nei confronti di se stessa, si giudica davanti al Signore. «Noi abbiamo peccato, abbiamo agito malvagiamente», diceva Nehemia (Nehemia 1:6).

d) Valore delle decisioni di un’assemblea
Le decisioni dell’assemblea, prese sotto lo sguardo del Signore, sono contraddistinte dalla Sua autorità; ciò che è ratificato in un’assemblea locale ha valore per tutte le altre assemblee locali. Da quanto precede, fra l’altro, si ricava il pensiero della necessità del l’uso di «lettere di raccomandazione» mediante le quali un’assemblea locale è informata che un nuovo venuto, ad essa sconosciuto, è veramente in comunione in un’altra assemblea; così, un credente è certo di essere ricevuto ovunque si presenterà (Romani 16:1; 2 Corinzi 3:1).

e) Le divisioni
In verità, niente è più semplice del principio del funzionamento di un’assemblea fondata sull’unità del corpo di Cristo. La sua applicazione invece è diventata una delle cose più delicate data la confusione ecclesiastica attuale.

Ecco un soggetto che travaglia e affligge ogni anima che ama il Signore: la molteplicità delle comunità cristiane separate anch’esse dai grandi sistemi religiosi della cristianità.

Dove trovare la vera tavola del Signore? Dove si può essere certi di radunarsi in piena buona coscienza, nell’ubbidienza alla Parola?

Non stupiamoci dell’accanimento di Satana contro ogni testimonianza suscitata da Dio e del fatto che sia riuscito, approfittando della nostra scarsa vigilanza, a dividere anche coloro che erano usciti «fuori dal campo». Abbiamo tutti la nostra colpa in questa umiliante situazione. Dobbiamo riconoscerlo, ma senza l’orgoglio e lo scoraggiamento del profeta Elia che diceva: «Hanno abbandonato il tuo patto, hanno demolito i tuoi altari...; sono rimasto io solo»! (1 Re 19:10). Domandiamo al Signore il discernimento e lo zelo necessari per riconoscere i «settemila» che Egli s’è riservato (1 Re 19:18), perché «Egli conosce quelli che sono suoi», sempre però ritirandoci dall’iniquità, poiché non vi può essere comunione tra le tenebre e la luce. Ancora una volta, siamo certi che «il solido fondamento di Dio rimane fermo» e porta sempre lo stesso doppio sigillo.

L’intelligenza spirituale farà discernere se una tavola può essere o meno considerata «del Signore» esaminando i principi che vi sono professati e informandosi circa il modo con cui essa è stata istituita. È un dovere per ogni assemblea sapere quale condotta tenere verso chi si presenta per rompere il pane.

Supponiamo il caso che esistano in una stessa località due tavole «indipendenti» l’una dall’altra; riconoscere l’una e l’altra egualmente come tavola del Signore, sarebbe rifiutare deliberatamente di serbare l’unità dello Spirito, ed equivarrebbe a negare l’unità del corpo. È dunque indispensabile informarsi attentamente. Un tale dualismo può essere la conseguenza di false dottrine da cui credenti fedeli hanno dovuto separarsi. Può trattarsi di uno scisma senza ragione causato da dissensi particolari per casi di disciplina; oppure persone le quali, giunte in quella località, hanno voluto, a torto, erigere «la loro tavola» senza tener conto di quella che già esisteva. Non dovremmo restare indifferenti di fronte a questo fatto. Sarebbe mostrare o una colpevole insensibilità verso la santità del nome del Signore o associarsi ad un’azione settaria.

D’altra parte, la tavola del Signore non potrebbe esistere in una località e restare indipendente da quelle che esistono altrove sullo stesso principio. Non sarebbe pensabile, per esempio, ricevere qualcuno che è escluso altrove o rifiutare qualcuno ch’e vi è ricevuto, senza negare l’unità del corpo.

Un ambiente in cui i principi del mondo, l’autorità e i regolamenti degli uomini si mescolano espressamente all’azione dello Spirito Santo, o ancora dove è ammesso che si tolleri il male consapevolmente non giudicato, non può avere la tavola del Signore. L’infallibilità è dunque la condizione indispensabile per il radunamento? No. Se così fosse non sarebbe possibile radunarsi. Nell’assemblea possono esservi, e vi sono in effetti, difetti, errori, mancamenti che saranno perdonati dal Signore quando saranno stati giudicati e confessati. Rifiutare il riconoscimento di una assemblea perché ha mancato, è contrario allo spirito degli insegnamenti della Parola. Se questi errori non sono giudicati, potranno costringere il Signore ad intervenire sia per purificare l’assemblea con dolorose prove, sia per togliere «il candelabro dal suo posto» (Apoc. 2:5). Noi rischiamo talvolta di volerci sostituire a Lui nel ruolo di Colui che cammina «in mezzo ai sette candelabri d’oro».

Se una decisione dell’assemblea non sembra giusta, e può non esserlo, o se un’assemblea non ha preso una decisione che sarebbe sembrata giusta, non bisogna dimenticare con ciò che «tutte le cose che voi - l’assemblea - avrete legate sulla terra saranno legate nel cielo, e tutte le cose che avrete sciolte sulla terra, saranno sciolte nel cielo». (Matteo 18:18). È molto doloroso sentire sovente criticare, non senza leggerezza o presunzione, una decisione o una mancata decisione da parte dell’assemblea. Ma la signoria di Cristo è intangibile, e il suo amore non muta. Dobbiamo gridare a Lui se qualche cosa sembra non essere stata fatta secondo la Sua volontà, affinché Egli intervenga; dobbiamo essere sottomessi a Lui con la fiducia assoluta che Egli salvaguarderà la gloria del Suo nome. Egli stesso saprà far sentire a dei fratelli di altre assemblee il dovere di fare eventualmente delle «rimostranze» divenute necessarie. Ma bisogna che queste siano fatte dalla parte del Signore e ciò sarà dimostrato dal modo con cui saranno presentate: nell’amore vero, con la preoccupazione di mantenere o ristabilire una comunione la cui perdita causerebbe un’afflizione profonda. La pazienza dell’amore saprà aspettare che il Signore metta in evidenza ciò che è da giudicare e conduca l’assemblea a giudicarlo affinché le sue decisioni siano veramente ratificate dal Signore.

Ben diverso è il caso in cui un’assemblea accetta per principio, e non in seguito ad un errore occasionale, di tollerare il male, morale o dottrinale - il secondo più nefasto del primo - lasciando a ciascuno la sua responsabilità senza considerare la propria come impegnata, anche dopo l’azione di un’altra assemblea. In tali casi, la nozione stessa dell’unità del corpo è distrutta, i diritti del Signore sono disprezzati e, come è stato detto più sopra, una tale assemblea non potrebbe più essere riconosciuta come una assemblea che porta i caratteri di un’assemblea di Dio.
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