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 Giovanni Battista

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Giovanni Battista
Giovanni Battista Presen10
Henri Rossier

1. La nazione ed il residuo (Luca 1-3)

Che il lettore non s’inganni sul titolo di questo piccolo lavoro — ne forma meno il soggetto Giovanni Battista che Cristo. Per quanto la sua personalità sia interessante ed importante, Giovanni non può essere che come il fondo d’un quadro destinato a mettere in rilievo Colui che era più grande di lui; ed è così che il profeta stesso avrebbe scritto la sua storia, del che ne fa fede tutta la sua vita e tutte le sue parole.

Il capitolo primo dell’Evangelo di Luca ci fa entrare in un modo vivissimo nelle circostanze di Israele, giusta come le trovò il precursore e come precedettero la manifestazione del Messia. Un grande cambiamento era avvenuto alle circostanze di questo popolo, dai giorni di Neemia in qua; l’ultimo impero universale dei Gentili l’aveva soggiogato, ma moralmente il suo stato non differenziava molto da quello che il profeta Malachia ci rivela 450 anni avanti Cristo. Israele non era più in guerra aperta con l’Eterno; i falsi dei erano spariti dalla casa spazzata ed adorna; il fico era coperto delle foglie d’una professione esteriore, ma sotto questa bella apparenza si nascondeva un’assoluta sterilità. L’indifferenza e l’insensibilità, peggiori dell’odio, erano al fondo del cuore di questo popolo. Uno dei caratteri dell’apostasia è di stimare che non vale nemmeno più la pena di pensare a Dio; e gli uomini dei nostri tempi stanno appunto rigettandolo come un Dio invecchiato. Ciò che farà piegare fin nella polvere la fronte pentita del residuo d’Israele, allorché i loro occhi saranno finalmente aperti sul Cristo, sarà l’aver potuto passare con indifferenza accanto all’uomo dei dolori, senza provare per Lui nessuna stima (Isaia 53).

Tali erano già ai tempi di Malachia i rapporti d’Israele con Dio. Quando il Signore con voce tenera diceva loro: «Io vi ho amati», essi che ignoravano il cuore di Dio, rispondevano: «In che modo ci hai amati?»; e quand’Egli diceva ai sacerdoti: «Voi avete disprezzato il mio nome», essi, accecati quanto al loro stato ed alle loro trasgressioni, rispondevano: «In che modo abbiamo disprezzato il tuo nome?» Essi contaminavano la tavola del Signore, e gli offrivano vittime difettose, poiché, malgrado tutte le loro forme di religione, Dio non c’era nei loro cuori, ed essi non avevano la minima coscienza del disonore che gli facevano (Malachia 1).

Una tal religione finisce sempre per sembrare superflua a coloro che li praticano; e se soprafatti dalla noia, non ritornano idolatri essi stessi, ritorneranno presto al mondo idolatra, si uniranno ad esso, «sposeranno» come dice il profeta, «le figlie di dei stranieri» e diverranno una stessa carne con loro agli occhi di Dio vendicatore che eserciterà il giudizio sopra gli uni e sopra gli altri (Mal. 2, 11-16).

Ed è pure là che sta il pericolo per il cristiano in questi tempi di ruina. Asaf l’esprimeva così: «Perciò il popolo si volge dalla loro parte» (cioè dei malvagi) «beve abbondantemente alla loro sorgente», quando gli arrivano tempi di afflizione che contrastano con la crescente prosperità del mondo (Salmo 73).

Ma c’è per il cristiano un secondo pericolo maggiore di quello, perché è più plausibile, e questo è d’isolarsi a misura che vede aumentare l’indifferenza e la mondanità fra il popolo di Dio. Ora questa tendenza è affatto l’opposto del pensiero di Dio per i Suoi. È precisamente per questi tempi di ruina che il profeta ci dice: «Allora quelli che hanno timore del Signore si sono parlati l’un l’altro» (Mal. 3:16). L’apostasia non isola coloro che temono il Signore, anzi li spinge a riunirsi, come dice un Salmo: «Io sono amico di tutti quelli che ti temono» (Salmo 119:63). Così avviene in tutti i tempi difficili del popolo di Dio: fu così per i giovani testimoni della cattività di Babilonia (Daniele 2:17), e tale è oggi il caso nei tempi pericolosi della fine (2 Tim. 2:22); fu così nelle tetre ore che seguirono la croce, quando i discepoli ancora ignoranti parlavano l’uno all’altro sulla strada di Emmaus, e noi vediamo la stessa parola realizzarsi d’un modo immediato e rimarchevole in questi primi capitoli dell’Evangelo di Luca.

«Quelli che hanno timore del Signore si sono parlati l’un l’altro», è la divina risorsa per i tempi della rovina. In mezzo al deserto arido della professione senza vita, vedete quei pochi fedeli cercarsi, trovarsi, intrattenersi assieme. Maria ed Elisabetta parlano l’una all’altra, Zaccaria ed i suoi vicini s’intrattengono di queste cose, i pastori le divulgano, Simeone le annunzia, Anna ne parla «a tutti quelli che aspettavano la redenzione di Gerusalemme».

Ora, notiamolo bene, non c’è che un solo soggetto intorno al quale sono occupati tutti questi fedeli: è la consolazione d’Israele, è Cristo, il Messia, è la persona del Salvatore; ed una tale conversazione piace a Dio, vi sta attento, e vi presta orecchio. — Egli nota queste cose in un libro speciale. Niente è più gradevole a Dio che dei cuori che sappiano apprezzare il Suo diletto Figlio. Caro lettore, Egli prende nota del valore che ha il nome di Gesù per te e per me ; e se preghiamo Cristo in questi giorni di afflizione, avremo in un giorno futuro, nel giorno della gloria, l’intima approvazione di Dio: «Essi saranno, nel giorno che io preparo, la mia proprietà particolare(*), dice il Signore degli eserciti» (Mal. 3:17). Una tale promessa non è forse fatta per incoraggiare le nostre anime?

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(*) o: «il mio particolare tesoro» (Nuova Diodati).
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«Si sono parlati l’un l’altro». — Quest’occupazione dei fedeli si lega con i doveri più semplici della vita giornaliera; e, vediamo infatti che Zaccaria compie il suo uffizio sacerdotale, offre il profumo, Elisabetta è alla campagna, Maria viaggia, i pastori custodiscono il loro gregge. Si lega pure con l’apparente inattività d’un Simeone che abita a Gerusalemme, d’un’Anna, vecchia di circa 106 anni, accasciata dall’età, confinata nel tempio, ma conservando intatta la parte più preziosa della sua attività, che è la vita nascosta dell’anima con Dio, notte e giorno. Ma vedete quale elemento di freschezza e di gioia la persona di Cristo introduce nei rapporti di questi fedeli fra loro: le anime traboccano, il discorso si volge in adorazione, e coloro che si parlano l’un l’altro realizzano necessariamente ciò che è il culto! (Luca 1:46, 68; 2:20).

Due messaggi erano stati portati dall’angelo Gabriele, l’uno riguardante Giovanni Battista, l’altro riguardante Gesù. Questi due messaggi producono delle lodi nella bocca di coloro ai quali sono indirizzati, ma prima ancora della sua nascita, Giovanni Battista, come lo fece poi sempre dopo, sparisce davanti al Cristo, per lasciare il posto al cantico universale innalzato dalle bocche di tutti i fedeli intorno a questo piccolo fanciullo.

Elisabetta chi celebra? non il suo figlio, ma il Signore. E Zaccaria, pur annunziando la gloriosa missione del suo figlio neonato, non ne parla che per esaltare il Signore, il Dio di Israele, il corno della salvezza, il Cristo, l’Altissimo. Così si comportano sempre i veri testimoni: le benedizioni che Dio accorda loro non sono per essi che dei motivi per far salire le loro lodi verso Colui che ne è l’origine ed il centro.

Le circostanze che accompagnarono e precedettero la prima venuta del Salvatore, in vari punti mi sembra possano applicarsi ai giorni attuali. Come allora (Luca 3:1-2), il mondo si organizza sempre più e cerca nelle sue proprie istituzioni una causa di sicurezza; come allora, sotto la direzione del mondo, regna una religione tradizionale ed ortodossa, indifferente e di propria giustizia, matura per l’apostasia; come allora, le sette fioriscono simili ai Sadducei razionalisti, ed agli Erodiani che dichiarano eccellente il regime che attraversano; come allora, il Signore sta per venire, o meglio per ritornare ... Ma il beato annunzio produce oggi nei cuori dei fedeli gli stessi frutti che ha prodotto allora? — Ah! — che vi sia nei nostri cuori questa speranza ravvivata, questi divini raggi dell’astro mattutino che per la fede apparisce nello splendore della sua alba primiera, di quell’astro coronato di grazia, introduttore della gloria, e la cui vista fa traboccare il cuore d’una ineffabile adorazione!

Cari lettori, se noi l’aspettassimo, ne parleremmo l’uno all’altro, fino al giorno di gloria, quando saremo il tesoro particolare di Colui che viene.
2. Nascita di Giovanni Battista (Luca 1:15)

L’angelo Gabriele fu incaricato di annunziare due buone notizie, l’una al sacerdote Zaccaria, l’altra a Maria di Nazaret; ma le circostanze e la portata di questi due messaggi offrono più di contrasto che di similitudine. Zaccaria e la sua moglie erano entrambi giusti davanti a Dio, camminando in tutti i comandamenti e le ordinanze del Signore, senza rimprovero; e però erano già divenuti vecchi, ed Elisabetta era sterile. Non possiamo noi vedere in essi l’immagine d’Israele pio sotto la legge, e dell’incapacità di quest’ultima per produrre del frutto anche nell’uomo rigenerato? Or essa non produce maggior intimità con Dio di quanto produca del frutto, poiché Zaccaria, quest’uomo d’una pietà esemplare, vedendo l’angelo, fu turbato e colto da spavento. Infine essa non produce la confidenza, che la grazia solo può fare nascere. Il sacerdote sotto la legge è incredulo al messaggio della grazia che Gabriele gli annunzia, e perciò questo rappresentante d’Israele resterà muto, finché la divina promessa avendo il suo compimento in grazia, egli potrà, come più tardi il residuo, celebrare l’autore della sua salvezza.

Maria non è soltanto un’anima pia, ma un’anima umile e semplice, un oggetto di grazia e non un rappresentante della legge. — «Hai trovato grazia presso Dio» le dice l’angelo. Ella è sottomessa: «Ecco, io sono la serva del Signore», e la sua confidenza è nella parola di Dio, perché aggiunge: «Mi sia fatto secondo la tua parola» (Luca 1:30,38).

Notate ora il contrasto fra i due messaggi. Giovanni doveva essere «grande davanti al Signore». Di Gesù l’angelo dice: «Questi sarà grande». Ritorneremo su questo soggetto in un’altra meditazione. Per ora osserveremo che la grandezza di Giovanni Battista dipendeva dalla persona della quale egli era il precursore, mentre Gesù era grande in Sé stesso e per Sé stesso. Da dove io scrivo, vedo al levare del sole che l’ombra d’un castagno qui vicino, prende delle proporzioni gigantesche; però essa non è l’immagine della grandezza dell’albero, ma il testimonio del levare e dello splendore del sole. Tale fu Giovanni: egli fu grande perché ebbe l’onore insigne d’essere il messaggiero di Colui del quale l’angelo diceva: «Questi sarà grande e sarà chiamato Figlio dell’Altissimo; e il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre. Egli regnerà sulla casa di Giacobbe in eterno, e il suo regno non avrà mai fine!» (Luca 1:32,33).

Ma le parole di Gabriele: «Egli sarà grande davanti al Signore» non esprimono tutto ciò che doveva caratterizzare il Battista, poiché vi aggiunge: «Non berrà né vino, né bevande alcoliche». Questo è il nazireato, o per lo meno ne è il primo indizio. Giovanni non poteva essere grande davanto al Signore, se non essendo Nazireo. Nel capitolo 6 dei Numeri vediamo che il nazireato consisteva nel «separarsi per il Signore». C’erano tre segni distintivi: il primo, il nazireo doveva astenersi dal vino e dalle bevande alcoliche; poi lasciarsi crescere i capelli; ed infine non entrare in contatto con nessuna persona morta. Egli si privava del vino, segno della gioia per il cuore dell’uomo naturale nella società dei suoi simili; i suoi lunghi capelli annunziavano che egli abbandonava la dignità ed i diritti dell’uomo per essere sottomesso alla volontà di Dio, riconoscendo i diritti che aveva su di lui; evitava infine tutto ciò che poteva metterlo in contatto con il peccato, il cui salario è la morte. Tale era l’ordine ed il segreto del nazireato: la separazione per Dio non poteva sussistere che per queste tre cose; ed esse furono realizzate nella vita di Giovanni Battista. In questo passo però, egli ci è presentato come separato specialmente da tutto ciò che costituisce la gioia dell’uomo socievole. Il mondo, vedendolo, diceva senza dubbio che era un triste lugubre misantropo; ma si sbagliava di grosso, poiché quella gioia naturale, la sola che il mondo conosca, era surrogata nel cuore del profeta da una gioia che il mondo ignora e che non può apprezzare — quella gioia prodotta dalla comunione del Salvatore. Queste due gioe si combattono e si distruggono a vicenda, e non è che rinunziando man mano alla prima che noi godiamo gradatamente della seconda. La gioia divina fu uno dei tratti caratteristici di quest’uomo austero, durante tutta la sua carriera. Fanciullino miracoloso nel seno di sua madre, il suo primo movimento è un salto d’allegrezza, quando giunge agli orecchi di Elisabetta la voce della madre del suo Signore (Luca 1:44); e quando termina la sua corsa, egli dice ancora; «Questa gioia, che è la mia, è ora completa» (Giov. 3:29).

Non dimentichiamo che ogni cristiano è chiamato ad essere nazireo, e che, sotto quest’aspetto, non si tratta più d’una classe speciale di persone fra il popolo di Dio. Non è anche più questione per noi d’una separazione esteriore o di forme, come per il nazireato giudaico; il nazireato attuale, la separazione per Dio, è interna. Senza che il mondo li capisca, ne vede gli effetti nella vita, nella gioia, nella potenza; ma la separazione stessa è un secreto tra l’anima e Dio. Proclamare che io sono separato, non fa che tirare l’attenzione degli altri sopra di me; dire che io sono sottomesso a Dio e che dipendo da Lui, basta già per dimostrare che non lo sono più, poiché attribuisco qualcosa a me stesso; svelo in tal modo il mio segreto al mondo, ed offro, come Sansone, la mia capigliatura alle sue forbici. Dal momento che Satana ed il mondo conosceranno il segreto della mia forza, non avranno più riposo finché non me l’abbiano rubato.

Ma se ci sono cristiani abbastanza soddisfatti d’essi stessi per divulgare la sorgente del loro nazireato, ne vediamo altri invece, che non cessano di parlare dei loro peccati: due estremi, certamente, ma due forme dello stesso orgoglio. L’uno non vede le macchie del suo abito, e l’altro le mette in mostra; ma entrambi dimenticano le sole cose necessarie, l’umiliazione e la purificazione.

Se abbiamo mancato in qualche punto al voto del nostro nazireato, se ci siamo contaminati con un morto, è però possibile d’essere ristorato; rientriamo in noi stessi, e con l’umiliazione troveremo la purificazione (Num. 6:9-12). Ma ahimè! peccando, una gioia come quella di cui godeva il Battisti, ed una potenza come quella che aveva l’uomo di Sorea, Sansone, sono perdute. Quindi bisogna ricominciare, ma prima che Sansone riacquistasse la forza sufficiente per abbattere le colonne del tempio di Dagon, ci andò molto tempo!

Alle parole: «Non berrà né vino, né bevande alcoliche», Gabriele aggiunge: «e sarà pieno dello Spirito Santo fin dal grembo di sua madre». La potenza speciale dello Spirito Santo è lì come legata al nazireato. Molti cristiani s’immaginano che essere ripieno dello Spirito Santo sia una grazia speciale che non possono avere se non certe persone privilegiate fra il popolo di Dio. Ma la cosa non è così: questa condizione è di fatto lo stato normale del cristiano; egli è qualificato per essere ripieno dello Spirito Santo, cioè affinché lo Spirito comprima ed annulli ogni manifestazione della carne che egli porta in sé. Ogni credente è un tempio dello Spirito Santo, ma non tutti ne sono ripieni; e perché? Forse che allo Spirito Santo manca la potenza per farlo? No certo, perché non sarebbe più il Santo Spirito di Dio. Forse che noi non possiamo far altro che contristarlo? In questo caso non siamo credenti affrancati. Cosa manca, dunque, ai cristiani affrancati per essere ripieni dello Spirito? La realtà del nazireato, come è detto in Efesini 5:18: «Non ubriacatevi! Il vino porta alla dissolutezza. Ma siate ricolmi di Spirito».

Oh! amatissimi figli di Dio, fratelli miei, quale potenza nel godimento, nella testimonianza, nella conformità a Cristo avremmo noi, se quai veri nazirei, fossimo ripieni dello Spirito! Abbiamo mai goduto, fosse anche per un solo momento, d’una tale benedizione? Stefano ne godette pienamente durante la sua breve carriera di testimonio: «Stefano, uomo pieno di fede e di Spirito Santo», è la prima menzione che viene fatta di lui; Stefano, «pieno di grazia e di potenza», aggiunge la Parola, quando questo nazireo, pieno di Spirito Santo, esercitava la sua attività fra il popolo; Stefano, «pieno di Spirito Santo», dice ancora, quando il sinedrio inveiva contro di lui (Att. 6:5,8; 7:55). E là, davanti a coloro che lo lapidavano, la potenza non contristata dello Spirito avendo fissato gli occhi di Stefano nel cielo, egli vede la gloria di Dio, e Gesù in piedi alla Sua destra. I suoi occhi e il suo cuore che lo Spirito riempie della visione celeste, si fermano su un oggetto, su Gesù nella gloria. Quest’uomo sulla terra vede il Figlio dell’uomo nel cielo, e si rallegra in Colui che, avendo compiuto l’opera Sua, gli ha preparato nella Sua propria persona un posto glorioso. La nostra incapacità di «vedere Gesù», la mancanza di conoscenza personale di questo prezioso Salvatore, si lega, pensiamoci bene, al modo con cui realizziamo la raccomandazione dell’Apostolo: «Siate ricolmi dello Spirito».

Ma Stefano non ha soltanto il godimento di Cristo; rende anche testimonianza, e dice: «Ecco, io vedo i cieli aperti, e il Figlio dell’uomo in piedi alla destra di Dio». Le sue labbra esprimono abbondantemente ciò di cui egli è ripieno per lo Spirito.

Egli non dice a se stesso che dovrebbe rendere testimonianza; il fiume riversa all’infuori e cola sulla terra, alimentato dalla sorgente celeste che è divenuta nel cuore di quest’uomo una fontana d’acqua zampillante. E questo beato martire fa ancore più che rendere testimonianza: egli stesso è trasformato contemplando a faccia scoperta la gloria del Signore; e riflette quaggiù senza oscurarli il carattere, le vie e le parole dell’amatissimo Salvatore. Tutto ciò, lo ripeto, non è un dono speciale, ma il libero frutto dello Spirito Santo operante nei nostri cuori. Esortiamoci dunque con queste parole: «Siate ricolmi dello Spirito».

Purtroppo noi manchiamo tutti in molte cose; Gesù solo, il vero Nazireo, non ha mai mancato. Gesù, concepito per lo Spirito Santo, battezzato dello Spirito, pieno dello Spirito (Luca 1:35; 3:22), ha realizzato tutte queste cose con un’assoluta perfezione, senza la più piccola ombra di deficienza. Uomo di dolori quaggiù, Egli conosceva una gioia perfetta; umile fra gli umili, realizzava una forza divina che lo rendeva vittorioso nel combattimento contro Satana, quando lo Spirito lo conduceva nel deserto, e che Lo rendeva potente nel Suo ministero, quando lo Spirito Lo conduceva in Galilea (Luca 4:1-14); Egli, il puro ed il santo, poteva dire: «Satana non può nulla conro di me» (Giov. 14:30). Che sia il modello del nostro nazireato — egli, «il Nazireo tra i suoi fratelli!» (*) Allora noi Lo seguiremo nella potenza dello Spirito Santo, alla distanza di duemila cubiti, certamente, come Israele seguiva l’arca; ma nondimeno Lo seguiremo, e seguirlo equivale a rassomigliargli!

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(*) Vedere Genesi 49:26: «colui che fu separato dai suoi fratelli» (Nuova Diodati).
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3. Giovanni Battista nel deserto (Luca 1:80; Matteo 3:4)

I due passi sopra citati ci presentano la vita di Giovanni Battista dalla sua nascita «fino al giorno in cui doveva manifestarsi a Israele». «Il bambino», è detto, «cresceva e si fortificava nello spirito». L’essere nazireo, è, come abbiamo visto, la prima condizione dello sviluppo normale dell’uomo di fede. Allora lo Spirito può esercitare la sua azione per farci crescere e fortificarci potentemente nell’uomo interiore, nulla lo contristerà, e non avrà ad occuparsi per riprenderci e correggerci, ma saremo come un albero piantato in buona terra, bagnato da ruscelli d’acqua viva e riscaldato dai raggi potenti del sole. Sotto questa benefica azione, l’albero si sviluppa, le sue gemme divengono frutti, secondo le stagioni. Tali erano i caratteri del profeta ancora fanciullo, eppure non era che la debole immagine di Colui del quale annunziava la prossima venuta. È detto di Gesù, il Signore di Giovanni Battista, che essendo ancora fanciullo «cresceva e si fortificava; era pieno di sapienza e la grazia di Dio era su di lui». Ed inoltre : «Gesù cresceva in sapienza, in statura e in grazia davanti a Dio e agli uomini » (Luca 2:40,52). Non sarebbe stato un vero uomo, se non fosse passato fin dalla Sua nascita attraverso tutte le fasi dello sviluppo dell’uomo; e non sarebbe stato Dio, se non vi avesse passato in una perfezione assoluta. Giovanni aveva bisogno d’aiuto per crescere e fortificarsi nello spirito, ed infatti l’evangelista dice: «La mano del Signore era con lui» (Luca 1:66); ma Gesù cresceva e si fortificava da Sé stesso, per così dire, sebbene conservasse un’assoluta dipendenza come uomo. Troviamo in Luca la perfezione di questo sbocciare del fiore; esso è in gemma, e non ha un difetto; è pienamente aperto e non ha una macchia; il favore divino, la rugiada del cielo, riempie il suo calice, esso è d’un profumo e d’una grazia capaci di fare le delizie di Dio e degli uomini. Esso promette il frutto che appare nel suo tempo, ch’è lo sviluppo divino d’una piena maturità.

Abbiamo visto lo stato morale del figlio di Zaccaria; ora consideriamo un po’ la sua condizione esteriore, che fin dalla sua giovinezza ha dovuto colpire gli sguardi degli uomini. La Parola ci dice ch’egli «stette nei deserti». — quale contrasto con il mondo che l’attorniava! La «bestia» romana era in piena prosperità, e stabile come nessun altro impero lo fu giammai (Luca 3:1); l’amministrazione, l’armata, le arti, le religioni, anche la religione giudaica (Luca 3:2), erano organizzate in modo notevole; e certamente vivere sotto questo regime sembrava preferibile alla vita del deserto. Un Lot non avrebbe esitato un momento a fare la sua scelta, ma per Giovanni Battista ciò ha nessuna attrattiva, egli se ne sta nel deserto, interamente e visibilmente separato dal mondo. Così quando Dio lo manda e che egli esce dal deserto per profetizzare in mezzo al mondo ed alla sua clamorosa attività, il suo cuore non incontra che il vuoto ed il silenzio. «Voce di uno che grida nel deserto», dice egli, poiché il mondo è veramente un deserto per lui. Egli non gli domanda nulla, non va a cercarvi dei «morbide vesti», ma vi porta le abitudini del paese che ha scelto: il suo vestito è di pelle di cammello, il solo abito grossolano che il deserto potesse offrirgli; ha una cintura di cuoio intorno ai lombi, come in altri tempi il profeta Elia quando si presentò agli inviati di Achazia (2 Re 1:Cool; il suo nutrimento è di cavallette e di miele selvatico che egli raccoglie nei luoghi desolati. Come Elia al torrente di Cherit, egli dipende affatto per il suo sostentamento da ciò che Dio gli ha preparato in un luogo arido; una dipendenza penosa alla carne, ma mille volte benedetta, poiché è la potenza di ogni vero ministero. È la vita e l’esperienza del deserto che qualificano il Battista per essere la «voce» di Colui che si fa sentire e, come Elia, per compiere senza timore la sua pericolosa missione.

Ma un altro ha sorpassato Giovanni Battista in quest’esperienza, Colui del quale nel Salmo 110 è detto (v. 7): «Berrà dal torrente per via» (Nuova Diodati), breve frase che riassume tutta la carriera terrestre del Salvatore. In questo Salmo, Davide Lo vede in anticipazione alla destra di Dio, ma in anticipazione contempla pure il cammino che Lo doveva condurre fin là. — Quante cose non ci dicono mai queste parole: Egli berrà dal torrente per via! — Esse ci presentano un uomo in marcia che ha fretta di compiere la sua missione, e conducono immediatamente il nostro pensiero alla storia dei compagni di Gedeone, suscitati dal Signore per la liberazione del popolo, e che bevvero del torrente lungo il cammino (Giudici 7). Essi erano trecento, scelti per una liberazione temporale; Gesù fu solo e prese la responsabilità d’una salvezza eterna. Niente ha potuto arrestarlo, nemmeno per un istante; provvigioni non ne aveva, nemmeno dell’acqua per estinguere la sete, ma non si allontanò dalla Sua via per cercarne. Le risorse che Dio aveva messo sulla Sua strada gli bastarono, poiché non ebbe che uno scopo: quello di compiere la Sua missione, alla quale il Suo cuore era interamente consacrato. Non fu Lui che si mise in ginocchio sulla riva del torrente per bere con comodità, ma «bevette per via».

Avete mai cercato nei Vangeli quante volte il Salvatore ha bevuto del torrente tra via? — Sono presto contate quelle sorgenti di ristoro che incontra dopo i lunghi viaggi percorsi sotto i raggi cocenti del sole, sorgenti prodotte da qualche benefica pioggia che il cielo ha mandato per rinfrescare il Suo cammino, ed alle quali senza rallentare il passo Egli ha bevuto. Quando, al pozzo di Sicar, una misera donna di Samaria vide la sua coscienza tocca da Colui che le domandava da bere, senza che ella sapesse nemmeno dargli una goccia d’acqua, il torrente scorreva tra la via del Salvatore! — E con qual gioia Egli si ristora passando!: «Io ho un cibo da mangiare che voi non conoscete». — «Il seminatore ed il mietitore si rallegrano insieme» (Giobbe 4:32,36). Quando, alla tavola del fariseo, una povera peccatrice, già convinta di peccato, veniva portare ai piedi della Grazia che sola poteva perdonare, le sue lacrime, i suoi baci ed il suo profumo, non era al pranzo di Simone che il Salvatore partecipava, ma alla tavola che Dio gli preparava nel cuore di questa donna. Quando Marta, mettendosi in pena e tormentandosi, faceva preparativi per ricevere Gesù in casa sua, Egli beveva del torrente tra via, posando i Suoi occhi sopra Maria, la quale, seduta ai Suoi piedi in silenzio, l’ascoltava e trovava in Lui la buona parte. Ed un poco prima che fosse alla fine della Sua corsa, dove sotto il fuoco consumante, è costretto gridare «ho sete», trova per la seconda volta, non alla tavola di Betania, ma in Maria, il torrente preparato per Lui, allorché, anticipando il momento della Sua sepoltura, essa venne a spandere tutto il suo profumo sui piedi e sul capo del Salvatore che andava alla morte.

Ah ! queste occasioni furono rare, ma bastarono a quel cuore perfetto, interamente sottomesso al Padre e dipendente da Lui. Prezioso Salvatore! Tu hai bevuto dal torrente per via, e perciò alzerai il capo. Eccoti già ora al posto più elevato, seduto sul trono del Padre, alla Sua destra. Tu hai la soddisfazione d’aver compiuto l’opera Tua alla gloria del Padre, ed il fatto che tu sieda lassù ne è l’irrecusabile testimonio. Per questa opera Tu sei stato fatto da Dio Sommo Sacerdote eternamente per noi, secondo l’ordine di Melchisedec; ma Ti rimane ancora d’occupare il Tuo trono; di salirvi su, calpestando i Tuoi nemici come lo scannello dei Tuoi piedi. Allora ci avrai con Te — vedrai il frutto del travaglio dell’anima Tua, e ne sarai soddisfatto! (vedere Isaia 53:11 - Nuova Diodati)
4. Giovanni Battista profeta (Matteo 3)

Il capitolo 3 dell’Evangelo di Matteo introduce Giovanni Battista nel suo ministero pubblico. Questo ministero mi sembra sia caratterizzato da due parole del Salvatore, quando prende la difesa di Giovanni davanti alle moltitudini: «Che cosa andaste a vedere? — Un profeta? — Sì, vi dico, e più che profeta» (Matteo 11:9).

Giovanni Battista era un profeta, ma anche come tale, la sua posizione ed il suo ministero si elevarono al disopra di quelli dei profeti antichi. Costoro parlavano, sia a Gerusalemme, sia in Israele, sia nel mezzo del popolo soggetto od uscito dalla cattività; Giovanni Battista invece si separa dal popolo, e vive in un deserto. Il solo profeta con il quale abbia dei punti di contatto sotto altri rapporti, è Elia; ma costui fu condotto nel deserto per la sua mancanza e non dal Signore (1 Re 19).

Un residuo di Giuda era ritornato dalla cattività di Babilonia, ma agli occhi del profeta non era nemmeno considerato per tale. — Ormai non c’era che un residuo di questo residuo che potesse essere riconosciuto come Israele.

Ecco perché Giovanni Battista non fa più appello alla massa del popolo, come i profeti che l’avevano preceduto, e dice invece: «Voce di uno che grida nel deserto. — Israele stesso era un deserto per Dio, e la chiamata profetica si basava ormai sull’irreparabile rovina del popolo; mentre quella dei profeti antichi supponeva sempre la possibilità d’un ritorno della nazione al Signore. Allora il giudizio divino non essendo definitivamente pronunziato sulla razza umana, i profeti erano autorizzati dalla loro missione a cercare se non c’era nell’uomo qualche bene per il quale potesse essere ricondotto a Dio. Come essi, senza dubbio, Giovanni Battista ha predicato il pentimento, ma un pentimento basato sopra una rovina senza rimedio. Perciò Isaia, descrivendo il ministero di Giovanni Battista, soggiunge: «Una voce dice: Grida! E si risponde: Che griderò? — Grida che ogni carne è come l’erba e che tutta la sua grazia è come il fiore del campo. L’erba si secca, il fiore appassisce, quando il soffio dell’Eterno vi passa sopra; certo, il popolo è come l'erba.» (Isaia 40:6-7). Che vi resta dell’uomo? — Nulla: il soffio del Signore vi è passato sopra. — Ormai il pentimento riconosceva ciò; bisognava giudicarsi alla presenza di Dio, ed uscire verso il profeta, confessando i suoi peccati, per essere da lui battezzati nel Giordano. Il peccatore non si limitava a confessare i suoi falli, ma riconosceva che la sola risposta al suo stato era la morte, per la quale non c’era alcun rimedio. Ora il periodo in cui il mondo entrava, rendeva un tal ministero necessario. Il Signore appariva sulla scena, e la storia del primo uomo era virtualmente chiusa (fu terminata di fatto alla croce) per far posto alla storia del secondo uomo, al quale d’ora innanzi si trattava d’appartenere. Il mezzo d’appartenere a questo Messia vivente sulla terra (*) era di andare fare passare la condannazione sopra di sé e di gettarsi nelle braccia della grazia. Così Zaccaria, padre di Giovanni Battista, profetizza sul piccolo bambino, dicendo: «Andrai davanti al Signore.... per dare al suo popolo conoscenza della salvezza mediante il perdono dei loro peccati, grazie ai sentimenti di misericordia del nostro Dio, per i quali l’Aurora dall’alto ci visiterà, per risplendere su quelli che giacciono in tenebre e in ombra di morte » (Luca 1:76-79). Ed in vero, quali classi di persone vediamo recarsi al battesimo del profeta? — Dei pubblicani, uomini d’un carattere apertamente spregevole, e della gente da guerra, abituata a schiacciare il popolo. La corruzione e la violenza, riconosciute e giudicate, s’incontrano al battesimo del pentimento. «Giovanni», dice il Signore, «è venuto a voi per la via della giustizia, e voi non gli avete creduto, ma i pubblicani e le meretrici gli hanno creduto», (Matteo 21:32). Per tali persone non c’è più alcuna risorsa, e Dio non può riconoscere in esse che il frutto dell’opera Sua. «Da queste pietre, Dio suscitava dei figli ad Abrahamo» (Matteo 3:9).

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(*) Giovanni battezzava per un Cristo vivente — il battesimo cristiano è per la morte di Cristo.
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C’è un altro lato del ministero profetico che non può mancare a Giovanni Battista, e che si presenta d’un modo più completo e definitivo che i Suoi predecessori: è il giudizio in contrasto con la grazia. I farisei ed i sadducei si recavano al suo battesimo con la moltitudine; non ci andavano come colpevoli, ma vestiti di propria giustizia ; la vista dell’opera di Dio nei pubblicani e nelle meretrici non produceva a simile gente né rimorsi, né fede (Matteo 21:32); e perciò viene pronunziata definitivamente la loro sentenza. Una «razza di vipere» non può essere destinata che all’«ira futura» e non le si può insegnare di fuggirla. Se essi avessero accettato questo giudizio, avrebbero prodotto il frutto che conveniva al pentimento. La discendenza d’Abrahamo secondo la carne era messa da parte; Dio avrebbe suscitato dei figli ad Abrahamo, dando la vita a ciò che era morto e duro come una pietra (Matteo 3:9).

Il Battista aggiunge: «Ormai la scure è posta alla radice degli alberi». Come in una foresta si segnano gli alberi che bisogna abbattere, così gli oggetti del giudizio erano già designati; ma non si trattava più di tagliare via solo i rami od i tronchi, poiché la radice stessa era cattiva. In altre parole, il profeta dice che non ci sarebbe rimasto nulla di loro, in presenza del giudizio che è alla porta. — E questo giudizio chi l’eseguirà? — Il Cristo. «Egli», dice, «vi battezzerà con lo Spirito Santo e con il fuoco» (Matteo 3:11). Egli possiede i due mezzi per distruggere il peccato: lo Spirito, dono della grazia come conseguenza dell’opera del Salvatore, ed il fuoco come giudizio che consuma. Per me, sembra dire il profeta, non posso fare un’opera in vostro favore; io battezzo con l’acqua, ma Egli apporta una piena liberazione per voi, ed un giudizio definitivo per il mondo. Poi, descrivendo ciò che il Signore sta per fare in Israele, contempla nel futuro il risultato finale della Sua azione: «Egli ha il suo ventilabro in mano» — un giudizio che separa la pula conservando il grano per metterlo nel granaio. È ciò che avverrà ad Israele: allora l’aia del Signore sarà interamente pulita, non ci sarà più nessuna immondizia, ed il fuoco inestinguibile distruggerà tutta la paglia. Tale è questo lato del ministero di Giovanni Battista: la pienezza del giudizio e la grandezza della liberazione, recate entrambi nella persona del Messia.

Ciò ci conduce alla seconda parola del Signore: «Sì, vi dico, e più che profeta». Giovanni Battista è il solo profeta annunziato dai profeti stessi (Isaia 40; Mal. 3:4), ma non è propriamente in ciò che consista la sua grandezza speciale che lo mette al disopra dei profeti. Egli annunzia nel mezzo d’Israele, non più delle glorie future introdotte per la venuta del Messia, ma è il messaggiero del Signore stesso inviato per preparare la Sua via (Mal. 3:1; Luca 1:76). Il Messia che egli annunzia è un Messia che viene, già presente nel mezzo del Suo popolo. Messaggio unico ! — Il regno dei cieli era là, s’era avvicinato nella persona di Cristo (Matteo 3:2). Se il Signore fosse stato ricevuto, avrebbe preso immediatamente le redini del governo della terra. Giovanni non manca alla sua missione: egli spiana la via davanti al Signore (Mal. 3:1); fa appello alla fede, e c’è una risposta nel cuore d’un povero residuo d’Israele; egli grida: «Preparate la via. » Questa via nella quale il Signore poteva entrare, erano dei cuori convinti di peccato, che confessavano i loro falli, che si pentivano, trovando la fine della carne nella morte, e non avendo altra risorsa se non la grazia. Giovanni ha appena detto le parole: «Colui che viene dopo di me», che Gesù viene subito (Matteo 3:13). Esso apre la porta e già appare sulla soglia il Messia d’Israele, nella persona di Gesù, quest’uomo povero e umiliato.

Com’è ammirabile in quel momento Giovanni Battista, il gran profeta! — egli s’abbassa fin sotto il legaccio dei sandali di Cristo (Matteo 3:11; Giovanni 1:27) e dichiara aver egli bisogno riessere da Lui battezzato ! Abbassandosi, egli esalta da un lato la dignità personale del suo Signore, e riconosce dall’altro, in presenza d’una tale perfezione, la sua propria condizione di peccatore. Ma mille volte più ammirabile ancora è il Salvatore stesso: Egli, l’Altissimo, si abbassa al disotto di Giovanni che si abbassava ai calzari dei Suoi piedi. «Sia così ora», gli dice; e prendendo parte in grazia al battesimo di Giovanni con quei che si pentono, trova le Sue delizie in quei cuori rotti, e vuol associarsi con quegli «santi della terra» (vedere Salmo 16:3). Poi, non contento di abbassarsi, aggiunge: «Conviene che noi adempiamo in questo modo ogni giustizia», elevando così Ciovannì Battista fino a Lui, facendone un Suo compagno nel compiere la volontà di Dio. Il cielo si apre su una tale perfezione, e la considera; ed i nostri cuori possono pure aprirsi per contemplarla.
5. Giovanni Battista uomo e testomonio (Giovanni 1, Giovanni 3:28-31)

Abbiamo considerato or ora la grandezza di Giovanni Battista come profeta, secondo ciò che disse il Signore in Matteo 11:9; un’altra espressione che troviamo in questo stesso capitolo, ci presenterebbe piuttosto la sua grandezza come uomo. «In verità», dice il Signore, «fra i nati di donna, non è sorto nessuno maggiore di Giovanni il battista» (Matteo 11:11) (*). — Nel primo capitolo dell’Evangelo di Giovanni, egli è grande in tre modi: personalmente, in testimonianza e moralmente.

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(*) Non dimentichiamo che Luca 7:26 applica questo stesso passo al profeta Giovanni Battista.
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Consideriamo dapprima la sua persona. Fin dal principio del Vangelo, dopo averci presentato, per servirci delle parole d’un altro, «ciò che il Signore è divinamente in Sé stesso» (versetti 1-5 di Giovanni 1), lo Spirito Santo introduce solennemente un uomo sulla scena, distinto per la sua missione da tutti gli altri uomini: «Vi fu un uomo mandato da Dio, il cui nome era Giovanni» (Giovanni 1:6). Poi (Giovanni 1:Cool lo caratterizza con un segno negativo «Egli stesso non era la luce». Quale valore personale aveva dunque quest’uomo, al punto che lo Spirito Santo giudicasse opportuno di dichiarare che egli non era ciò che è Dio nella Sua essenza! Ciò che era positivamente, lo dice il Signore nel capitolo 5: «Egli era la lampada ardente e splendente e voi avete voluto per un breve tempo godere alla sua luce» (Giovanni 5:35). Come lampada, il suo chiarore era così grande, che quando appariva recava quasi la gioia dell’astro del giorno.

Allorché i Giudei inviano da Gerusalemme dei sacerdoti e dei leviti per domandargli chi egli sia, Giovanni risponde: «Io non sono il Cristo... né il profeta» (annunziato in Deut. 18:15-18). Aveva un tal valore al cospetto degli uomini, che egli dichiarava non essere il personaggio più elevato d’Israele! Eccetto Cristo, non vi fu giammai nel mondo un uomo più grande di lui.

Esaminiamo ora la sua testimonianza. In rapporto con il carattere divino di Cristo nell’Evangelo di Giovanni, questa era quasi illimitata e molteplice, quantunque si riferisse ad un solo ed unico oggetto.

In primo luogo «esso venne come testimone per rendere testimonianza alla luce» (Giovanni 1:7) — missione senza precedenti nella storia dell’uomo! Moralmente il monda era come un paese desolato, sepolto in una notte perpetua; Giovanni Battista viene, annunziando l’apparizione d’un astro che dissiperà le tenebre ed apporterà ai miseri la salvezza, la gioia e la vita. Tale è la prima testimonianza di quest’uomo. Ahimè! il suo risultato avrebbe dovuto essere in proporzione alla sua importanza, poiché Giovanni venne «affinché tutti credessero per mezzo di lui» (Giovanni 1:7); ma l’astro annunziato non fu compreso dalle tenebre, né conosciuto dal mondo, né ricevuto dai Suoi (Israele). Questi hanno ben voluto rallegrarsi, per un breve tempo, alla luce della lampada, ma non hanno voluto venire al sole per avere la vita (Giovanni 5:35,40).

In secondo luogo Giovanni Battista rende testimonianza alla Parola fatta carne (Giov. 1:15), a Dio fatto uomo, disceso quaggiù per rimediare il nostro stato e per rivelare il Padre. Quale testimonianza è mai questa, in contrasto con ciò che Dio aveva rivelato nei secoli scorsi! — La legge era venuta per Mosè, ma ciò che rispondeva in grazia allo stato dell’uomo, manifestandolo in pari tempo, era rimasto sconosciuto fino allora. Israele aveva potuto conoscere Dio come l’Eterno; l’unigenito Figlio che è nel seno del Padre, ci ha messi in rapporto con il Padre. Ora la testimonianza di Giovanni comporta questa rivelazione.

Nel versetto 19 si trova una terza testimonianza, testimonianza negativa, mi direte, poiché Giovanni dice lì ciò che egli non è. È appunto a ciò che il Signore sembra alludere nel capitolo 5:33, quando dice: «Voi avete mandato a interrogare Giovanni, ed egli ha reso testimonianza alla verità.» Or questa testimonianza mette Giovanni Battista interamente da parte. La verità è che lui era niente e che il Cristo, questo profeta che egli non aveva ancora veduto, era tutto. Per me, trovo tale testimonianza d’una grande bellezza: Giovanni Battista si annientò per il trionfo della verità. Più tardi, questo Cristo annunziato da Giovanni, dopo essersi annientato Egli pure, comparisce davanti a Pilato, rende testimonianza che Egli è re, e per mantenere intatta la verità, non tiene conto della Sua vita. Giovanni Battista aveva detto: «Io non lo sono» — Gesù dice: «Io lo sono». In questa occasione il Signore avrebbe potuto tacere, ma quando si tratta della verità, Egli parla, risponde, e la Sua parola è come la firma della Sua condanna.

Ecco ora una quarta testimonianza (Giov. 1:29), di un’importanza speciale nella carriera di questo uomo di Dio. Fin qui Giovanni non conosceva il Signore personalmente; ora «vede Gesù che viene a lui» ed emetto un grido di gioia. Non dice Ecco la luce, o la Parola fatta carne, od il Cristo, ma: «Ecco l’Agnello di Dio, che toglie il peccato del mondo!» — Gli appare ad un tempo il valore dell’epoca di Cristo e quello della Sua persona. Scopre in Gesù la vittima perfetta ed il Salvatore, «l’Agnello di Dio», e vede l’opera Sua; egli la vede in tutta la sua estensione, la contempla nei suoi risultati, fino allo stabilimento dei nuovi cieli e della nuova terra, dove la giustizia abiterà, e dove il peccato sarà tolto dalla scena per sempre. Inoltre la contempla nei suoi risultati, quando, rendendo testimonianza, dice: «Ho visto lo Spirito scendere dal cielo come una colomba e fermarsi su di lui..., è quello che battezza con lo Spirito Santo» (Giovanni 1:32:33). Per questo battesimo il credente è ormai assicurato dell’efficacia di quest’opera in suo favore; è ripieno della speranza d’essere ben presto con Cristo e simile a Lui nel cielo.

Caro lettore, ciò che avviene lì a Giovanni, dovrebbe avvenire a noi tutti. Non si apprezza convenientemente il valore dell’opera di Cristo, se non quando lo si conosce personalmente. Se Giovanni Battista aveva un’intelligenza estesa di queste cose, è perché Gesù occupava interamente i suoi pensieri. La conoscenza personale di Cristo allarga nei nostri cuori la conoscenza di ogni cosa, e nello stesso tempo ci riduce al nulla nella nostra propria stima e nella stima del mondo, o piuttosto nel modo con cui cerchiamo essere stimati da esso. L’apostolo Paolo vedendo le immense ricchezze di Cristo, dice : «io che sono il minimo fra tutti i santi» (Efesini 3:Cool. Ma questa persona non è conosciuta che per la fede. Vedete ciò che gli uomini scoprono quando la loro intelligenza s’applica a conoscere Dio: credono che Giovanni Battista sia il Cristo; e dicono di Cristo che Egli è Giovanni Battista (Matteo 16:14).

Questa testimonianza, però, non è propriamente profetica; Giovanni, già insegnato prima, ha capito queste cose come possiamo capirle noi, facendo la conoscenza dell’Agnello di Dio. Troviamo quindi nel versetto 34 una quinta testimonianza: «E io ho veduto e ho attestato che questi è il Figlio di Dio». Egli può dire: Ora ho veduto e reso testimonianza di ciò che ho veduto. Questo uomo, al quale Dio stesso rende testimonianza con la discesa dello Spirito Santo, è il Figlio di Dio.

Non è vero, che un testimonio come Giovanni Battista avrebbe potuto avere un alto concetto di sé? Ma ciò che lo rende moralmente grande, è (come abbiamo già detto) che egli si considera meno che nulla ai propri occhi, non perché cerchi di annichilire sé stesso, ma perché per lui Cristo riempie la terra, il cielo, l’eternità, ed il suo proprio cuore, e che è per lui tutto quello che esprimono questi nomi preziosissimi: Signore, Cristo, Profeta, Agnello di Dio, Oggetto del cielo, Figlio di Dio, Sposo. Il suo cuore intero è colpito da questo uomo che viene dopo lui, ma che gli è antiposto. Perciò, quando gli emissari dei Giudei gli domandano: «Che dici di te stesso?» egli rispose: «Io sono la voce di uno che grida nel deserto». — Io non dico verbo di me stesso; sono una voce. Avrebbe potuto dire: Sono il portavoce di Dio; ma no — uno strumento potrebbe ancora considerarsi per qualche cosa, e dice: «io sono la voce di uno che grida» — ciò gli toglie, per così dire, la sua personalità — «che grida nel deserto», cioè una voce che è senza eco, senza valore agli occhi degli uomini! «Perché dunque battezzi?» gli domandano essi; ed egli risponde: «Io battezzo in acqua», — cos’è il mio battesimo di fronte al suo?

Il giorno seguente Giovanni è là fermo in compagnia dei suoi discepoli, e guarda; guarda a camminare il Figlio di Dio — il suo cuore vola a Lui, e dice: «Ecco l’Agnello di Dio!» Un maestro insigne qualsiasi desidera attorniarsi di discepoli che ascoltino i suoi insegnamenti. Tale maestro è inviato da Dio? la sua soddisfazione sarà raddoppiata pensando che comunica loro un insegnamento divino. Ebbene, Giovanni spinge i suoi discepoli verso Gesù e rimane solo — non solo nel deserto, al che era già abituato; ma solo fra coloro che divenivano la famiglia di Dio!

Nel capitolo 3:26, i suoi discepoli non mostrano d’avere la stessa abnegazione: vengono a lui e gli dicono : «Rabbi, colui che era con te di là dal Giordano, e al quale rendesti testimonianza, eccolo che battezza, e tutti vanno da lui.» Essi fanno di Giovanni l’uomo importante, e di Cristo il personaggio secondario. Ecco, dicono a Giovanni, come ti tratta! — Ma egli ricorda ai suoi discepoli la sua testimonianza in quanto al Cristo, poi aggiunge: «Colui che ha la sposa è lo sposo» (versetto 29). La sposa non è Giovanni Battista, egli lo sa, ma il grande profeta si contenta d’un posto secondario, poiché possiede Cristo — egli è «l’amico dello sposo». Egli assiste ad espansioni che non si dirigono a lui, ma che lo interessano; sente la voce dello sposo e la sua gioia è compiuta. Altri avranno la loro gioia in relazioni più intime, ma quella di Giovanni Battista è perfetta in una relazione inferiore; il Signore gliel’ha data, e quantunque non sia la più elevata, poiché viene da Lui, basta per quest’uomo di Dio; la sua gioia è compiuta in Colui che è lo Sposo di un’altra. Che commovente umiltà nel più grande di coloro che sono nati di donna! Non è forse vero che la gioia di Giovanni Battista, il quale si teneva all’infuori, era molto più grande che non è abitualmente la nostra? E noi cristiani, che abbiamo il privilegio di chiamarci la sposa di Cristo, non ci umilia egli questo pensiero? Giovanni apprezzava la nostra relazione, conservava la sua, e non ne desiderava altra. Non c’era in lui maggior gelosia di quanto ce ne fosse negli angeli, quando alla nascita di Cristo, celebravano la pace negli uomini ed esaltavano un opera che non era per loro, ma che s’indirizzava a poveri peccatori perduti. Giovanni «era presente», con gli occhi fissi sul volto dello Sposo e con l’orecchio teso per ascoltarlo; la sua felicità consisteva nel dimenticar sé stesso, come Maria ai piedi del Salvatore, e lasciava che il suo cuore si riempisse, come un vaso, del torrente delle perfezioni d’uno Sposo che non era il suo. «Bisogna che egli cresca» aggiunge, «e che io diminuisca». Cristo è cresciuto, e Giovanni è diminuito fino ad annientarsi. Questo gran testimonio, dopo aver reso testimonianza, ha riunito i suoi discepoli attorno a Gesù, ed ha veduto la sua testimonianza interamente surrogata da quella dì Cristo. La sua gloria è d’aver fatto risaltare la gloria di Colui che solo meritava d’essere glorificato. Che ne sia così anche di noi! Noi non siamo chiamati a rivestire la grandezza profetica e personale di Giovanni Battista; ma che ci sia dato, nella dimenticanza di noi stessi, di rivestire qualcosa della sua grandezza morale, considerando Cristo come il tutto per le anime nostre!
6. Mancanza di Giovanni Battista (Matteo 11)

Fin qui abbiamo considerato Giovanni Battista nelle differenti fasi del suo sviluppo come uomo di fede; ora giungiamo al solo punto della sua storia, dove si vede, in lui, la debolezza e la mancanza. Come Elia, Giovanni, il grande profeta, ebbe la sua ora di scoraggiamento: egli era in prigione, senza che il suo Maestro avesse fatto qualcosa per liberarlo; le sue speranze erano svanite, ed il frutto della sua missione apparentemente era nullo. Il popolo, scandalizzato in Cristo, non si era radunato sotto le Sue ali; il Messia sconosciuto non aveva un posto dove posare il capo. Questo Signore glorioso, annunziato come venendo «subito nel suo tempio» sui passi del Suo messaggero (Malachia 3:1) avendo il Suo ventilabro in mano per ripulire la Sua aia, era rigettato da tutti come un oggetto vile e spregevole. Ahimè in simili circostanze, lo scoraggiamento era naturale al profeta; ma ciò non era la fede, poiché lo scoraggiamento conduce Giovanni Battista a dubitare di Cristo, a domandarsi se Egli era veramente il Messia promesso, «colui che viene» secondo la parola di Malachia (3:1). Giovanni Battista, nella sua incertezza non domanda a sé stesso se egli era veramente il messaggiero; le nostre mancanze ci conducono più presto a dubitare di Dio che di noi stessi. Però questa scena offre qualche cosa di consolante; se è indotto a mettere in dubbio il carattere messianico del Salvatore, Giovanni non dubita di Lui sotto altri aspetti; la parola di Gesù è la sua sola risorsa, e ciò gli basta. «Sei tu Colui che deve venire, o dobbiamo aspettare un altro?» È un declino in una carriera di fede, ma grazie a Dio è ancora della fede, e questa per piccola che sia, trova, e troverà sempre, una risposta perfetta. Tuttavia Giovanni, questo gran testimonio, ha mancato lì nella sua testimonianza. Così avviene sempre nell’uomo; egli manca in qualche cosa, fosse anche un Giovanni Battista, e non può reggere dirimpetto a Cristo. Noi non ci perdiamo però ad un tale confronto. Il Signore solo rimane immutabile. Era bello di vedere nel primo capitolo di Giovanni l’uomo di fede abbassarsi davanti al Signore; il Signore invece è più ammirabile quando, l’uomo avendo dovuto sparire, Egli sta ritto da solo.

Consideriamo più minutamente la parte presa dal Salvatore in questa scena; e vedremo che mentre Giovanni dubita di Cristo, il Signore risponde alla sua mancanza mettendogli innanzi la grazia: «Andate a riferire a Giovanni quello che udite e vedute» (le Sue parole e le Sue opere) : «i ciechi ricuperano la vista e gli zoppi camminano; i lebbrosi sono purificati, e i sordi odono; i morti risuscitano e il vangelo è annunziato ai poveri» (Matteo 11:4-5). Tutti questi miracoli, compiuti sotto gli occhi degli inviati di Giovanni Battista, erano il segno della presenza del Messia in Israele (Isaia 61:1-2), ma del Messia in grazia. La grazia era dunque una cosa inferiore alla gloria attesa dal Battista? Alla sua domanda, Gesù risponde: La grazia dimora in potenza e «la buona notizia è annunziata ai poveri». Mi è dolce il pensare che nell’epoca presente, epoca di miserie in cui tutti i miracoli hanno cessato, posso riconoscere Gesù nella predicazione dell’evangelo ai poveri, e dire: Io stesso ho inteso il Signore! Gesù aggiunge : «Beato colui che non si sarà scandalizzato di me!» (Matteo 11:6). Di fronte all’abbandono del popolo, c’è un residuo beato che, convinto di peccato, invece d’aspettare la gloria del Messia, ha trovato la grazia in un Salvatore rigettato, venuto per l’uomo peccatore. Conoscere la grazia in Gesù costituisce la beatitudine per questi tali. — Quale dolce e delicato rimprovero fu indirizzato a Giovanni Battista! Non avrebbe dovuto ricordarsi di questa grazia, egli che aveva salutato Gesù con il titolo d’Agnello di Dio? Non sei più dunque di questi beati?, sembra che gli dica la voce del Salvatore. Ma per la gloria di Cristo, bisogna che il grande profeta Giovanni Battista sia un oggetto di grazia come gli altri.

Mentre il precursore imprigionato si scoraggia ed abbandona, per un momento, la sua testimonianza, il Signore stesso rende testimonianza a Giovanni innanzi alle moltitudini. Quale grazia! — Qual divina delicatezza nella scelta d’un tale momento per rivendicare il carattere di Giovanni Battista, che i suoi dubbi abbassarono agli occhi di tutti, nella sua qualità di profeta! «Che cosa andaste a vedere nel deserto? Una canna agitata dal vento?» — Un uomo debole e incerto nella prova? Ah! se si mostra tale nel momento in cui Gesù parla, non era stato così nel principio della sua carriera, ed era allora che essi erano stati chiamati a conoscerlo. Oppure erano essi andati a vedere un uomo ricco, vestito come i grandi della terra? Niente di tutto questo. Ma Giovanni Battista rimaneva il grande messaggiero di cui parla Malachia 3, quantunque il Signore non fosse entrato nel Suo tempio. Poco dopo Gesù, facendo allusione, non più a Malachia 3, ma a Malachia 4:5, aggiunge: «Se lo volete accettare, egli è l’Elia che doveva venire (*)». Se essi avessero ricevuto il Signore Gesù, il regno poteva essere stabilito; la maledizione ancora sospesa sul popolo, poteva essere scartata; le relazioni secondo Dio potevano essere ristabilite in Israele; ed in tal caso una missione futura d’Elia non sarebbe stata necessaria, perché Giovanni Battista venuto nello spirito e nella potenza d’Elia surrogava, per così dire, il profeta futuro (**). In ciò che segue (versetti 16-19), Gesù non si contenta di affermare la grandezza del Suo messaggiero; ma lo eleva, in grazia, davanti alle moltitudini fino al livello del suo Maestro, o meglio se lo associa in testimonianza. Le loro due testimonianze però non si rassomigliavano: Giovanni Battista era rappresentato da coloro che cantavano delle lamentevoli canzoni, quando egli chiamava il popolo al pentimento; il Signore era come coloro che suonavano; Egli recava a tutti la soave melodia della grazia. Il primo si presentava nella severità d’un profeta, separato dal popolo, sul quale il giudizio era già pronunziato; il Secondo si rendeva famigliare all’uomo, per guadagnare a Dio, s’era possibile, la confidenza dei peccatori. Queste due testimonianze non avevano trovato nessun’eco; i due testimoni erano stati rigettati; e l’uomo faceva peggio che non rispondere loro, perché accusava Giovanni d’avere un demonio, e Cristo di partecipare alle sozzure di coloro che Egli veniva per salvare. Rigettando la grazia, e rigettandola in tal modo, quale peso di sofferenze gli uomini hanno mai accumulato sul cuore del Salvatore!

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(*) o meglio: «l’Elia che deve venire».
(**) Ciò spiega anche perché Giovanni Battista dice agli inviati dei Giudei che egli non è Elia. In virtù del rigettamento del Messia, è lasciato ad un altro di compiere la missione di Malachia 4. Chi sarà questo Elia futuro? — Ci è detto che sarà «Elia il profeta». Bisogna ricordarci che Elia non ha veduto la morte; e quest’uomo sarà un degno precursore di Colui che verrà in giudizio.
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Mentre Giovanni Battista, tentennando sotto il peso del rigettamento e dell’obbrobrio, è come una canna agitata dal vento, Cristo rimane solo ritto fra le ruine. Il profeta e l’uomo di fede, i sapienti e gli intelligenti di questo mondo, Israele con le sue città, tutto sparisce; Egli sussiste eternamente. E non sussiste soltanto in una calma divina che fa fronte a tutto, ma in una gioia serena ed ineffabile, allorché il Suo cuore umano si lacera sotto l’obbrobrio immeritato. «In quella stessa ora, Gesù, mosso dallo Spirito Santo, esultò», ci dice l’evangelo di Luca (10:21): le speranze d’Israele erano interrotte per il fatto del rigettamento di Cristo, ma ciò apriva altri orizzonti vasti ed infiniti. L’Eterno nascondeva la Sua faccia.... il Padre era rivelato; il cielo s’apriva quando la terra chiudeva la porta a Cristo. I piccoli fanciulli, degli esseri senza valore, erano elevati al godimento delle benedizioni supreme, mentre i sapienti e gli intelligenti erano accecati; ed il minimo nel regno dei cieli, per il godimento dei privilegi sconosciuti ai più eminenti fra i rappresentanti della legge, era ormai più grande che il più grande dei profeti (Matteo 11:11). D’ora innanzi, un piccolo fanciullo sarebbe stato più vicino a Cristo in posizione, in conoscenza ed in gloria, che il più grande testimonio della venuta del Suo regno. Lo ripeto, il Signore vede nel Suo rigettamento la base delle benedizioni presenti e future del regno per il popolo di Dio. Il popolo, secondo la carne, aveva miseramente mancato; quindi ogni diritto al regno, secondo la discendenza carnale, era finito. Ora bisognava impossessarsene con la violenza — non si entrava più per diritto di nascita; per averci parte, occorreva un atto di fede, l’abbandono delle relazioni precedenti, la rottura dei legami naturali.

Il popolo in massa s’era sviato, ma secondo l’elezione della grazia ci restava un residuo, stabilito in virtù dell’opera compiuta dopo il rigettamento del Salvatore. Coloro che ne facevano parte, non erano scandalizzati in Lui; ed il regno apparteneva d’ora innanzi a questi violenti, a questi figli della Sapienza, che, generati da essa, giustificavano la madre loro accettando la grazia. Il Signore trovava il suo compiacimento in questi pochi, e quand’anche l’opera Sua di grazia non avesse attirato a Lui che una sola povera donna di Samaria, ciò bastava per fargli dire «Le campagne già biancheggiano per la mietitura» (Giov. 4:35).

Gesù rigettato rimane solo fra le macerie, fermo, sicuro, ripieno di gioia, e lodando il Padre, quando non c’é più speranza da parte dell’uomo. Egli è, non più perfetto (perché non poteva esserlo maggiormente); ma è manifestato in una perfezione più assoluta, nelle circostanze stesse, le quali, mettendo la fede dell’uomo alla prova, ne accusavano la sua insufficienza e debolezza. Rimasto solo, come un’alta torre, un rifugio sicuro, Egli dice: «Venite a me». Non si poteva andare né a Giovanni Battista, né ad altri; i travagliati, gli carichi di questo mondo non potevano trovare riposo che vicino a Gesù. La grazia che rivelava il cuor del Padre a poveri peccatori, non poteva essere conosciuta che nella Sua Persona; e la pace pratica del cuore nell’abbandono della propria volontà, non poteva essere realizzata se non quando la si aveva imparata da Lui, l’Uomo perfetto, sottomesso al giogo, alla volontà del Padre.

Giovanni Battista è sparito; Colui che egli annunziava, rimane solo, solo capace di rispondere, in grazia, alla mancanza del Suo servitore, solo capace di portare tutto il peso di un’epoca di grazia che pone la base della nuova creazione, solo centro d’attrazione per ogni povero peccatore che ha sete di grazia, solo modello perfetto per chiunque voglia imitarlo.

La legge ed i profeti hanno avuto la loro fine; in Cristo, la grazia dimora, stabilita per sempre!
7. Morte di Giovanni Battista (Matteo 14:1-12; Marco 6:14-29)

Ci è impossibile chiudere queste meditazioni senza dire qualche parola sulla fine della carriera di Giovanni Battista. Venuto nella via della giustizia (Matteo 21:32), egli perservera fino al termine della sua corsa; separato per Dio fin dal ventre di sua madre, conserva anche questo carattere prezioso fino alla fine. Erode lo conosceva come «uomo giusto e santo» (Marco 6:20); e la sua giustizia con la sua santità pratica si mostrano quando dice al re: «Non ti è lecito tenere la moglie di tuo fratello!» Ma la testimonianza dei fedeli, invece di rendere il mondo migliore, lo condanna, e ciò è appunto quello che esso non può sopportare. Ne abbiamo una prova in questa breve storia, dove troviamo uno sviluppo spaventevole del carattere d’Erode, alle prese con la verità. La concupiscenza della carne era in azione nel cuore di quest’uomo; e per soddisfarla egli è trascinato all’ingiustizia ed alla contaminazione. Messo al muro di cessare dal mal fare, il peccatore non può; mantiene il suo peccato e si sbarazza del testimonio che lo condanna. Erode fa prendere, legare ed imprigionare Giovanni Battista (Marco 7:17), mostrando così che la violenza segue necessariamente la corruzione, e che, ritenuta dapprima, prepara la via al desiderio dell’omicidio (Matteo 14:5). La coscienza s’indurisce sempre di più; e ciò che ritiene dal delitto, non è il timor di Dio, ma quello dell’opinione pubblica, e la paura egoista di nuocere alla propria influenza ed al proprio prestigio (Matteo 14:5), mista ad un certo rispetto per un uomo superiore di cui non si può sbarazzarsi senza altra forma di procedimento, unita al profitto che si può trarre dai suoi consigli per far pompa di sé. Erode si lascia dirigere da Erodiada, donna appassionata, e dominata dall’odio contro il profeta, avendo reputato il suo rimprovero per un affronto imperdonabile; anche essa avrebbe desiderato di farlo morire (Marco 6:19), ma trova un ostacolo nei sentimenti di rispetto che ha Erode per Giovanni Battista (Marco 6:20).

Le passioni di questi due esseri convergono nel medesimo punto; quella di Erode, però, con qualche scrupolo, mentre quella d’Erodiada è più energica per compiere il male e vincere gli ostacoli.

«Un giorno opportuno» si presenta; la mano di Satana è là, e spingerà i suoi strumenti fino all’azione definitiva. Gli uomini accecati credono di compiere la loro volontà, e non vedono che sono gli zimbelli del diavolo, il quale li conduce alla guerra contro Dio. Non rimane più che far scattare uno o due molle nascoste nel cuor dell’uomo, ed il delitto sarà consumato. — Il giorno è favorevole; è l’anniversario della nascita d’Erode, in cui la sua sontuosa potenza e ricchezza sono spiegate in modo da soddisfare l’orgoglio della vita; i grandi, i dignitari, i notabili della Galilea circondano il re (Marco 6:21); la figlia d’Erodiada entra nella sala del convegno, si mette a ballare, piace ad Erode e a tutti coloro che erano con lui a tavola; ma la concupiscenza degli occhi entra con questa ragazza e si impossessa del re. Egli promette, s’impegna con giuramento di darle tutto quello che chiederà «fino alla metà del [suo] regno» (Marco 7:23); e questa ragazza leggera, senza coscienza, abituata a vedere appagati i suoi capricci, spinta da sua madre, chiede frettolosamente (Marco 6:25) la testa di Giovanni Battista.

Erode è grandemente attristato per questa domanda, ma che importa? — Egli è preso nella rete di Satana. Al segreto desiderio del suo cuore, ora s’aggiunge il falso punto d’onore e l’onta di mancare alla sua parola in presenza dei suoi cortigiani. L’orgoglio lo avvolge fra le sue spire; Satana non gli lascia il tempo per riflettere; egli si è interamente impossessato della sua vittima, e riesce finalmente a spegnere la testimonianza di Dio che si opponeva a lui. Lo scopo è raggiunto, e l’istrumento è lasciato a sé stesso ed alla sua miseria. Quale vantaggio ha egli ricavato dal suo delitto? — d’ora innanzi questo lo accompagnerà ovunque. Erode sente a parlare di Gesù e dei miracoli che faceva : «Giovanni,» dice egli, «che io ho fatto decapitare, lui è risuscitato» (Marco 6:16). Cosa strana: quest’uomo indurato nel male, crede alla risurrezione come i farisei; ma credere semplicemente ad una dottrina, non procura né soddisfazione, né riposo alla coscienza, anzi, ne aumenta il tormento. «Era perplesso» (Luca 9:7), ed il desiderio di liberarsi da questo vago spavento che lo ha assalito al pensiero di ritrovare colui che aveva ucciso, lo spinge a cercare di vedere Gesù (Luca 9: 9), forse anche per farlo morire (Luca 13:31). Si preferisce ogni cosa all’incertezza, ma l’incertezza rimane malgrado tutto; ed E
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