1. ENTRIAMO IN TEMA (Nicola Martella): Il tallone d’Achille di tutti coloro, che si chiamano «cristiani» (o seguaci di Cristo), non è tanto la fede (= fiducia in Dio, credo), quanto il «timor di Dio» quale base dell’etica. Il timor di Dio, quale profondo rispetto e riverenza personale verso il Signore, è esercitato per onorare il Signore, ricercando il suo ordine creazionale e morale e cercando di corrispondervi mediante l’ubbidienza. Ciò è alla base della «sapienza» quale facoltà, che permette di riconoscere l’ordine di Dio e di corrispondere a esso (Gb 28,28; Pr 1,7; 9,10).
Laddove manca un vero timore di Dio, subentra allora la religiosità quale spiritualizzazione della propria devozione, sebbene essa possa essere arbitraria, distante dal volere del Signore e addirittura in contrasto con la rivelazione di Dio. Allora alla rivelazione della sacra Scrittura si sostituisce la spiritualizzazione (e cristianizzazione) dei propri atti devozionali e morali, e si rimpiazza l’ubbidienza con le esperienze spirituali soggettive. Queste ultime sono poi chiamate «spiritualità» e costituiscono una via devozionale facile, poiché è legata all’arbitrio, ai propri desideri e alle proprie interpretazioni. Lo spiritualismo può attingere da tutto, anche da fonti discutibili e addirittura torbide, basta che abbia una tinteggiata di buonismo, umanismo, positività, di religiosità e cose simili.
2. FRA SPIRITUALITÀ E VERITÀ (Carlo Neri): Caro Nicola, come senz’altro anche tu avrai osservato, nel mondo, da sempre le persone religiose mostrano una tendenza a spiritualizzare, ad apprezzare il mistico o misticheggiante e a preferire quindi la «spiritualità» alla verità. Questo fenomeno non è piacevole da osservare, in particolare perché si avverte che mira a deviare l’uomo dall’intraprendere un cammino verso la «verità che vi farà liberi» (Gv 8,32). […]
Il problema diventa però più serio, quando questa tendenza s’infiltra nella chiesa, specialmente quando i conduttori spostano la barra del timone dalla ricerca scrupolosa e obbiettiva della fedeltà alla Parola a una sempre maggiore e predominante «spiritualità». Ed ecco il motivo per cui ti scrivo. Quando, infatti, succede questo nella chiesa, non avremo quasi nessuna possibilità di essere d’aiuto ai nostri fratelli, magari anche giovani nella fede, che fanno affidamento sull’autorevolezza delle loro guide. Si potrebbero infatti provocare danni ancora maggiori mettendo in discussione la competenza dei loro conduttori.
La causa di questa tendenza sarà da attribuire forse all’influenza del mondo, che entra anche all’interno della chiesa? O forse al carismaticismo, in particolare di provenienza cattolica, che rimane come una impronta in quei fratelli, che hanno vissuto quella esperienza e che rende loro più difficile giungere a comprendere l’armonia fra spiritualità e verità, a cui ci esorta la Parola?
Saranno forse entrambi, non lo so, ma quando succede che i credenti vengono spinti a «iper-spiritualizzare» la loro fede, la chiesa può venirsi a trovare in una situazione simile a quella della chiesa di Corinto, dove i santi, influenzati dalla religiosità carica di misticismo dei loro concittadini, si sentirono spinti a eccedere nelle loro riunioni, fino a far dire all’apostolo: «Se… entrano dei profani o dei non credenti, non diranno che voi siete fuori di senno?» (1 Corinzi 14,23).
Il problema concreto che sto osservando e che probabilmente non riguarda solo una singola assemblea, si manifesta ad esempio quando le guide esortano i credenti a pregare dicendo: «Gesù, ti prego… Gesù, ti chiedo… Gesù, ti lodo, ecc.»; anziché a dire: «Padre ti prego… ti chiedo… ti lodo, nel nome di Gesù», come insegna la Scrittura; in questo modo a mio avviso viene distorta, con apparente pietà, la Parola. […] Sottolineando la sacrosanta importanza di avvicinarsi alla persona di Gesù, ma in questo modo esasperato, potrei dire forse fanatizzato, ho notato come conseguenza un altro squilibrio, quello di percepire secondario il valore delle opere nella fede e l’importanza dello studio approfondito e obbiettivo della Parola.
Quando capita infatti di leggere brani che trattano questi temi, è facile osservare qualche «acrobazia interpretativa» da parte di quei fratelli, che cercano di salvaguardare la dottrina, di cui ho parlato.
Le conseguenze pratiche di questo approccio quindi sono, a mio avviso, nientemeno che deviazioni dottrinali, che portano la chiesa a non esercitare il discepolato o a non farlo nel modo giusto; e allo stesso tempo sollecitano il credente, specialmente se giovane nella fede, a percepire fondamentale un comportamento «spirituale» ed esteriore e a considerare secondarie le implicazioni pratiche della sua scelta di fede. Al contrario, è lo studio serio e obbiettivo della Parola, che porterà il credente a una crescita utile a lui e a chi ha vicino, alla ricerca dei doni che lo Spirito Santo gli ha dato e al loro esercizio nell’ambito della chiesa e fuori.
Quello che in sintesi, quindi, secondo me, potrebbe portare un danno alla fede e all’opera di chi è entrato a far parte del corpo di Cristo, non è detto sia solamente ciò, che frena o che ostacola il cammino dei fratelli, potrebbe essere anche un tentativo come questo di migliorare ed elevare la loro vita spirituale.
«Spiritualizzando» troppo, infatti, si può ottenere l’effetto opposto a quello, che queste guide auspicano. […]
Qui abbiamo riportato solo alcuni brani dello scritto, il resto segue sul sito: 3. Alcuni approfondimenti; 4. Aspetti conclusivi. [CONTINUA LA LETTURA: http://puntoacroce.altervista.org/_Den/A1-Spiritual_fals_MeG.htm] Solo dopo aver letto l’intero scritto sul sito, voi che rispondereste nel merito alle questioni in esso contenute?
ATTENZIONE: Quanto scritto sulle bacheche o nei gruppi gestiti da Nicola Martella o inviato per e-mail, può diventare oggetto di un nuovo tema di discussione o un contributo sul sito «Fede controcorrente» e su altri associati a esso.
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