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 Tu e la casa tua 2a parte

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MessaggioTu e la casa tua 2a parte

Tu e la casa tua 2a parte
Il cristiano in casa sua
Charles Henry Mackintosh
Tu e la casa tua 2a parte Presen10
3. Conseguenze pratiche
Nell’espressione «casa», due cose sono comprese: la casa stessa e i figli. Queste due cose devono portare l’impronta di ciò che appartiene a Dio. La casa di un uomo di Dio deve essere governata per Dio, per la Sua gloria e nel Suo nome.

3.1 Le nostre case. Responsabilità del padre
Il capo d’una casa cristiana deve essere il rappresentante di Dio. Come padre, egli è, per tutti quelli che sono sotto il suo tetto, il depositario dell’autorità di Dio, ed è tenuto ad agire secondo l’intelligenza e lo sviluppo pratico di questo fatto. Su questo principio egli deve dirigere la sua casa e averne cura. Sta scritto: «Se uno non provvede ai suoi, e in primo luogo a quelli di casa sua, ha rinnegato la fede, ed è peggiore di un incredulo» (1 Timoteo 5:Cool. Trascurando la sfera nella quale Dio l’ha stabilito, dimostra di conoscere poco Colui che è chiamato a rappresentare, e, per conseguenza Gli assomiglia poco. Ciò è semplicissimo. Se desidero sapere che cura devo avere di quelli che sono sotto la mia responsabilità e come devo governare la mia casa, non ho che da studiare accuratamente il modo in cui Dio ha cura dei suoi e come governa la Sua casa. È il miglior modo per imparare.

Non si tratta ora di sapere se le persone che compongono la famiglia sono o no convertite. Ciò che vorrei mettere con forza sulla coscienza di tutti i cristiani capi di famiglia, è che tutto quel che essi fanno, nel loro cammino, dovrebbe portare ben visibile l’impronta della presenza di Dio e dell’autorità di Dio. L’influenza del padre di famiglia dovrebbe essere tale che quand’egli è presente, ognuno potesse dire o pensare: Dio è presente; e questo dovrebbe aver luogo, non affinché il capo della casa fosse lodato a causa della sua influenza morale e della sua giudiziosa amministrazione, ma semplicemente affinché Dio fosse glorificato. Non dovrebbe soddisfarci che ciò che tende a questo scopo. La casa di ogni cristiano dovrebbe essere una rappresentazione in miniatura della casa di Dio, riguardo all’origine morale e alla pia disposizione di tutto l’insieme.

Qualcuno potrebbe scuotere il capo e dire: «Tutto questo è bello e buono, ma dove lo troverete?». Mi limito a chiedere: «La Parola di Dio insegna essa e prescrive al cristiano di governare la sua casa in questo modo?» Se così è, guai a me se rifiuto d’obbedire o se manco di fedeltà nell’obbedienza! Ogni persona di retta coscienza riconoscerà che, riguardo al modo di dirigere le nostre case, vi è stata una caduta delle più gravi; ma nulla è più vergognoso di vedere un uomo rassegnarsi tranquillamente al disordine, all’indisciplina che regnano nella casa sua, e rassicurarsi al pensiero che gli è impossibile di raggiungere la regola perfetta che Dio gli propone.

Io non ho altro da fare che seguire le direzioni della Scrittura, e la benedizione seguirà necessariamente tosto o tardi, poiché Dio non può rinnegar se stesso. Ma se, per l’incredulità del cuore, mi persuado che mi è impossibile di raggiungere la benedizione, è certo che la perderò. Ogni privilegio od ogni benedizione che Dio ci mette davanti esige un’energia di fede per essere afferrato. È la stessa cosa come di Canaan per i figli d’Israele; il paese stava loro dinanzi, ma dovevano entrarvi, poiché Dio aveva detto: «Ogni luogo che la pianta del vostro piede calcherà, io ve lo do». È sempre così: è la fede che prende possesso di ciò che Dio dà. Il nostro unico scopo dovrebbe essere di glorificare Colui che ha fatto tutto per noi; e che cos’è più contrario a questo scopo, se non di vedere la casa d’uno dei servitori di Dio essere precisamente il contrario di quel che Egli desidera che sia? Come deve l’occhio di Dio considerare tale o tal altra cosa, se il nostro occhio umano non è scandalizzato? Si potrebbe pensare, secondo quel che si vede in certe case, che i cristiani non abbiano idea che vi sia la minima relazione fra la condotta della loro casa e la loro testimonianza. Parecchi parlano di separazione dal mondo, ma le loro case presentano la più desolante mondanità. Dicono che per loro il mondo è crocifisso, e che essi sono crocifissi al mondo, e tuttavia in casa loro si trova ovunque l’impronta del mondo. Ogni oggetto vi sembra destinato a servire alla concupiscenza degli occhi, alla concupiscenza della carne e all’orgoglio della vita.

Ci si accuserà di particolari puerili, ma le figlie di Sion avrebbero potuto dire altrettanto di quelle parole che l’Eterno rivolse loro nel capitolo 3:18-23 del libro del profeta Isaia: «In quel giorno, il Signore toglierà via il lusso degli anelli dei piedi, delle reti e delle mezzelune, degli orecchini, dei braccialetti, dei veli, dei diademi, delle catenelle dei piedi, delle cinture, dei vasetti di profumo, degli amuleti, degli anelli, dei cerchietti da naso, degli abiti da festa, delle mantelline, degli scialli, delle borse, degli specchi, delle camicie finissime, dei turbanti e delle mantiglie». Non era forse questo, scendere a particolari molto minuziosi? Non è forse lo stesso di quel brano del profeta Amos 6:1-6: «Guai a quelli che vivono tranquilli a Sion... Si stendono su letti d’avorio, si sdraiano sui loro divani, mangiano gli agnelli del gregge e i vitelli presi dalla stalla. Improvvisano al suono della cetra, si inventano strumenti musicali come Davide»? Lo Spirito di Dio può scendere ai particolari, quando è necessario.

Ma, diranno alcuni «le nostre case devono essere in armonia col rango che occupiamo nella società, e ammobiliate in rapporto con esso». Una tale obiezione non fa che rivelare molto apertamente la mondanità che regola il cuore di quelli che oserebbero farla. «Il vostro rango nella società!» Questo terreno è certamente il mondo. Che cosa hanno da fare con esso degli uomini che fanno professione di essere morti al mondo? Parlare del nostro rango nella società, è lo stesso che rinnegare gli elementi del cristianesimo. Se abbiamo un rango secondo il mondo, ne risulta che dobbiamo vivere come uomini nella carne, o come uomini naturali, e allora la legge ha tutto il suo imperio contro noi, poiché «la legge ha potere sull’uomo per tutto il tempo ch’egli vive». Questo rango nella vita diventa dunque un affare ben serio. Come possiamo ottenerlo? o in quale vita si trova? Se è in questa vita, siamo dunque dei mentitori quando diciamo che siamo «crocifissi con Cristo», — «morti con Cristo», — «sepolti con Cristo», — «risuscitati con Cristo», — «usciti fuori dall’accampamento con Cristo», — che non siamo «più nella carne», che non siamo «più del mondo che passa via». Tutte queste parole sono altrettante menzogne nella bocca di quelli che pretendono aver quaggiù un rango da conservare.

Ecco la verità su questo soggetto. Ah! Lasciamo che la verità raggiunga le nostre coscienze, affinché essa abbia pure la sua influenza sulla nostra vita pratica! Qual è la sola vita in cui abbiamo un rango da conservare? È la vita di risurrezione di Cristo. Ecco la vita nella quale l’amore redentore ci ha dato un rango. E certamente, sappiamo bene che del mobilio mondano, dei vestiti sontuosi, l’ostentazione e il lusso non han nulla a che fare col rango in quella vita.

Ah! no, ciò che è in armonia con la vita celeste che Gesù ci ha acquistata e comunicata, è la santità del carattere, la purezza della vita, la potenza spirituale, una profonda umiltà, la carità, la separazione da tutto ciò che appartiene direttamente al mondo e alla carne; ecco quali sono i veri ornamenti che possono armonizzare col vostro rango celeste. Quelli che parlano del loro rango in questa vita sono già «ritornati col cuore loro in Egitto» (vedere Atti 7:39). Ah! è ben da temere che la grande macina di cui parla il capitolo 18 dell’Apocalisse (vers. 21-24), non ci presenti un quadro troppo fedele della fine di molti elementi del cristianesimo vuoto e bastardo dei giorni nostri.

E se si asserisce che il cristianesimo non approva tuttavia il disordine e il sudiciume delle case, dirò che questo è perfettamente vero. Conosco infatti poche cose che siano più desolanti e disonoranti che il sudiciume e il disordine nella casa di un cristiano. Tali cose non devono mai incontrarsi con uno spirito veramente spirituale, o anche ben regolato. Dove queste cose esistono, potete essere sicuri che sono le conseguenze di qualche male morale. Anche qui la casa di Dio ci è presentata in modo particolare come modello. Sulla porta di questa casa non vediamo forse scritta la preziosa divisa: «Ogni cosa sia fatta con dignità e con ordine»? (1a epistola ai Corinzi 14:40). Per conseguenza, tutti quelli che amano Dio e la sua casa, desidereranno vedere applicato questo principio alla loro propria dimora.

3.2 I nostri figli
Dopo la casa propriamente detta ciò che vedo incluso nell’espressione: «Tu e la casa tua», è il governo dei nostri figli. Ah! questa è una piaga delle maggiori e delle più profondamente umilianti per molti, perché rivela una ben triste caduta. Lo stato dei figli tende, più d’ogni altra cosa, a manifestare lo stato morale dei genitori. La misura reale del mio rinunziamento a me stesso e al mondo si mostrerà costantemente nel modo in cui agisco verso i miei figli e in cui li dirigo. Io faccio professione d’aver rinunciato al mondo in quanto a me personalmente, ma vi ho anche rinunciato per i miei figli? Alcuni diranno: «Ma come potrei farlo? I miei figli non sono convertiti, e per conseguenza sono del mondo». Anche qui si rivela il vero stato morale del cuore di colui che parla così. Egli stesso non ha realmente rinunciato al mondo, e i suoi figli gli servono di pretesto per riafferrarne qualche cosa. Se i suoi figli sono (come lo sono senz’altro) una parte di lui stesso, e se fa professione d’aver per proprio conto abbandonato il mondo, pur cercandolo per loro, non sarebbe forse questa la strana anomalia d’un uomo che sarebbe metà in Egitto e metà in Canaan? Il solo desiderio che così possa essere, dimostra che quest’uomo è, di fatto e di cuore, interamente in Egitto.

Ora fratelli, giudichiamo noi stessi. La direzione dei nostri figli testimonia contro noi. I maestri di sport, di musica e di danza (*) che diamo loro sono gli agenti che lo Spirito Santo sceglierebbe per condurli a Cristo? Si conciliano affatto col santo nazareato al quale siamo chiamati? Se li allevo per il mondo invece che per la testimonianza di Cristo, ciò prova che questa non è la parte che l’anima mia ha scelta come pienamente sufficiente per me, e che essa apprezza più di qualsiasi altra. Poiché infine, ciò che stimerei sufficiente per me, lo stimerei sufficiente per i miei figli che sono uno con me; e potrei io essere tanto stolto da allevarli per questo mondo e per Satana che ne è il principe? Servirei e svilupperei io in essi le affezioni della carne che professo di mortificare in me? Ah! sarebbe questo un errore di criterio ben pericoloso. No, se lascio i miei figli in Egitto, è perché vi sono ancora io stesso. Se li lascio godere di Babilonia, è perché ne amo ancora io stesso le false dolcezze. Se i miei figli appartengono di fatto ad un sistema religioso corrotto, mondanizzato, è perché in principio io stesso vi appartengo. «Tu e la casa tua» siete uno; Dio ne ha fatto un tutto che non si può dividere, e ciò ch’Egli ha unito, l’uomo non lo separi.

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(*) Oggi potremmo aggiungere: gli attori di cinema, i presentatori di televisione... (Nota BibbiaWeb)
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È questa una verità solenne e penetrante, alla cui luce possiamo veder chiaramente il male che vi è nel lasciar seguire ai nostri figli una via alla quale diciamo di aver per sempre voltato le spalle, credendo fermamente che essa mette capo all’inferno. Professiamo di stimare come spazzature e come nocivi gli onori, le ricchezze, la considerazione, i piaceri del mondo; e tuttavia, tutte queste cose stesse che abbiamo dichiarate non essere altro che ostacoli alla nostra corsa cristiana e che abbiamo per così dire rigettate per noi, le tolleriamo nei nostri figli come cose necessarie ai loro progressi. Così facendo, dimentichiamo del tutto che quel che è un ostacolo per noi non può assolutamente essere un aiuto per i nostri figli, se vogliamo che raggiungano il nostro stesso scopo. Sarebbe più sincero di togliere la maschera della nostra propria mondanità e di confessare francamente che non abbiamo affatto abbandonato il mondo, allorché nulla lo prova meglio dei nostri figli.

Dallo stato delle nostre famiglie, il giusto giudizio del Signore mostra, io penso, qual è lo stato reale della testimonianza fra noi. È noto che in un certo numero di casi, i figli di cristiani sono più indisciplinati degli altri. Dovrebbe essere così? Dio potrebbe gradire la testimonianza dei genitori di tali fanciulli? Quei fanciulli sarebbero tali, se i genitori avessero camminato fedelmente davanti a Dio riguardo alle loro famiglie? A tutte queste domande, si dovrà necessariamente rispondere: No. Ah! se soltanto i padri cristiani avessero ritenuto fermamente nella loro coscienza il principio: «Tu e la casa tua», avrebbero capito che potevano contare su Dio e gridare a Lui, sia per la testimonianza della loro famiglia quanto per la loro propria, le quali, in realtà, non possono essere separate, checché si faccia o dica. Non fa forse pena di sentir dire: «Il tale è un bravo fratello, molto pio, molto devoto; peccato che i suoi figli siano così sfrontati e indisciplinati, e che la sua casa presenti un così triste miscuglio di disordine e di confusione!». Mi domando di qual valore è la testimonianza d’un tal uomo dinanzi a Dio. Purtroppo, non ha nessun valore, in verità. Può essere salvato, ma la salvezza è forse tutto ciò che abbiamo da desiderare? Non vi è forse nessuna testimonianza da rendere? E se ve n’è una, qual è, e dove deve essere resa? Deve forse essere confinata nei banchi d’una sala di radunamento, ovvero deve essere vista anche nella nostra casa? — Risponda il cuore!

Forse si dirà: «I nostri figli hanno bisogno di qualche godimento del mondo e noi non possiamo rifiutarglieli. Non si possono mettere delle vecchie teste su delle spalle giovani». A questo risponderò che anche i nostri cuori chiedono sovente delle cose mondane; le accorderemo loro? No, lo spero; ebbene! rifiutiamole pure ai nostri figli. Se vedo i miei figli desiderare le cose del mondo, devo immediatamente giudicarmi e umiliarmi dinanzi a Dio e gridare a Lui di toglier loro quei pensieri mondani, in modo che la testimonianza non abbia a soffrirne. Mi è impossibile di credere che, se il cuore dei genitori è, dal centro alla periferia, purificato dal mondo, dai suoi principi e dalle sue concupiscenze, questo non eserciti su tutta la loro casa una potente influenza.

È ciò che rende questa questione così importante e così pratica. La mia casa è dessa un criterio esatto di quel che è realmente il mio stato morale? Io credo che l’insegnamento delle Scritture sia in favore dell’affermativo, ciò che rende il nostro soggetto particolarmente solenne. In che modo cammino io come capo di famiglia? La mia condotta rende forse evidente a tutti che il mio supremo ed unico oggetto è Cristo? Forse si penserà che io spingo troppo lontano la ricerca delle cause d’un male così frequente ai giorni nostri; ma, quanto a me, penso essere il nostro dovere di proseguire quest’inchiesta fino ai suoi estremi limiti. Donde provengono, in molti casi, quella terribile profanazione, quel disgusto per le Scritture e per le assemblee cristiane, quella disposizione a mettere in ridicolo le cose sante, e quello spirito infedele e scettico, così deplorevolmente manifesto nei figli di cristiani di professione? Qualcuno oserà dire che non è colpa dei genitori? Non le si possono forse attribuire, in gran parte, al triste contrasto che esiste fra i principi professati e la condotta dei genitori? Sì, lo credo. I figli sono degli osservatori perspicaci, e scoprono bentosto quel che i genitori sono realmente. Traggono le loro conclusioni, non tanto dalle preghiere e dalle parole dei loro genitori, quanto da un modo più speditivo e più esatto, cioè dagli atti di costoro, di cui ben presto sanno discernere i principi e i motivi. Perciò, benché i genitori insegnino loro che il mondo e le vie del mondo sono cattive, e che preghino perché tutti i membri della famiglia conoscano e servano il Signore, tuttavia, se li allevano per il mondo, cercando di stabilirveli e felicitandosi quando vi son riusciti, gli altri insegnamenti e tutte le preghiere sono inefficaci. «Ah! — penseranno essi — dopo tutto il mondo è un buon posto, poiché i nostri genitori rendono grazie a Dio della nostra riuscita in questo mondo, che considerano come un favore segnalato della Provvidenza. Tutto ciò che dicono, dunque, quando pretendono essere morti e risuscitati con Cristo, quando dichiarano che il mondo è giudicato e che vi sono stranieri e pellegrini, tutto ciò dev’essere considerato come un nonsenso, ovvero i così detti cristiani devono essere considerati come degli ingannatori». Chi può dubitare che tali pensieri siano sovente saliti nel cuore dei figli di molti genitori professanti! Senza dubbio, la grazia di Dio è sovrana e può trionfare di tutte le nostre incoerenze e infedeltà. Ma pensiamo alla testimonianza, e vegliamo affinché le nostre famiglie siano realmente amministrate per Dio e non per Satana!

Forse si chiederà: «Che cosa faranno dunque i nostri figli? Come se la caveranno? Non bisogna forse metterli in grado di guadagnarsi il pane?» Senza dubbio. Dio ci ha destinati al lavoro. Il fatto stesso che ci ha dato due mani prova che non dobbiamo essere dei pigri. Ma con lo scopo di dare a mio figlio un mezzo di lavorare, non vedo la necessità di spingerlo in un mondo dal quale mi sono separato.

Il Dio Altissimo, il Possessore dei cieli e della terra, aveva un Figlio, il suo unico Figlio, l’erede di tutte le cose, per cui anche ha fatto i mondi, e quando mandò questo Figlio nel mondo, non gli diede una professione elevata, ma Egli fu conosciuto come «il falegname». Questo non ci dice nulla, non ci insegna nulla?

Ora, Cristo è salito in cielo, e ha preso posto alla destra di Dio. Così risuscitato, Egli è il nostro Capo, il nostro rappresentante e il nostro modello; ma ci ha lasciato un esempio, affinché seguiamo le sue tracce. Le seguiamo noi, cercando di far brillare i nostri figli in un mondo che ha crocifisso Gesù? Ah! certamente no; facciamo piuttosto il contrario, e il risultato non tarderà a mostrarsi, poiché sta scritto: «Non vi ingannate; non ci si può beffare di Dio; perché quello che l’uomo avrà seminato, quello pure mieterà» (Galati 6:7). Se a riguardo dei nostri figli seminiamo per la carne e per il mondo, possiamo sapere quel che mieteremo.

Non è soltanto per ciò che riguarda l’oggetto dell’educazione dei nostri figli che abbiam mancato e guastato la testimonianza, ma abbiamo anche molto peccato non tenendoli, in generale, nella sottomissione all’autorità paterna. Lo spirito del secolo presente è uno spirito d’indipendenza e d’insubordinazione. Disobbedienti o «ribelli genitori» è questo uno dei caratteri dell’apostasia degli ultimi giorni (2 Timoteo 3:2), e personalmente abbiamo concorso al suo sviluppo con un’applicazione interamente falsa del principio della grazia, come pure non vedendo che la relazione di padre e di madre comprende un principio d’autorità esercitato in giustizia, senza cui le nostre famiglie presenteranno il triste aspetto della confusione, del disordine, dell’indisciplina. Non è grazia di vezzeggiare una volontà non santificata. Ci affliggiamo di non avere una volontà rotta e sottomessa, e ad un tempo, lavoriamo a fortificare la propria volontà dei nostri figli!...

È sempre, a mio avviso, una prova di debolezza nell’esercizio dell’autorità paterna, come della ignoranza del mondo in cui il servitore di Dio deve governare la propria casa, quando la volontà d’un padre o d’una madre si sottomesse a quella dei figli. Il dialogo è importante è utile per sviluppare la fiducia tra figli e genitori, e questo può condurre a cambiare idea. Ma non permettete mai ai vostri figli di mettere in dubbio la vostra autorità. La volontà d’un padre dev’essere considerata come suprema per il figlio, poiché il padre tiene per lui il posto di Dio. Ogni potere è di Dio, e ne ha dato al suo servitore come padre. Se dunque il figlio o il servitore resiste a questo potere, resiste a Dio (*).

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(*) «E voi, padri, non irritate i vostri figli, ma allevateli nella disciplina e nell’istruzione del Signore» (Efesini 6:4). Vi è un gran pericolo ad irritare i nostri figli o a provocare la loro ira con un eccessivo rigore e dei trattamenti arbitrari. Siamo costantemente inclini a formare e a modellare i nostri figli secondo i nostri propri gusti e le nostre vedute particolari piuttosto che «allevarli nella disciplina e nell’istruzione del Signore», cioè secondo il modo in cui il Signore corregge ed insegna i suoi figli. È un grave errore che produce confusione e delusione. Non abbiamo nulla da guadagnare, riguardo alla testimonianza per Cristo, modellando e foggiando la natura sotto le forme più ricercate. Inoltre, la cultura e l’istruzione della natura non esigono fede; ma occorre della fede per allevare dei fanciulli nella disciplina e nell’insegnamento del Signore. Si dirà forse che, in questo passo della Scrittura, l’Apostolo Paolo parla di figli convertiti. Rispondo che non è parlato di conversione, non sta scritto: «Allevate i vostri figli convertiti» ecc.; ma è semplicemente detto «i vostri figli», ciò che, per certo, vuol dire tutti i vostri figli. Ora, se devo allevare tutti i miei figli in disciplina e in ammonizione del Signore, quando devo incominciare a farlo? Devo forse aspettare che siano quasi divenuti uomini o donne, ovvero devo incominciare, come tutte le persone ragionevoli cominciano il loro lavoro, cioè al principio? Permetterò loro di abbandonarsi alla loro follia naturale durante il periodo più importante della loro carriera, senza mai cercare di mettere la loro coscienza in presenza di Dio, riguardo alla loro solenne responsabilità? Lascerò che perdano, in una completa noncuranza, quel tempo della loro vita, durante la quale si producono gli elementi del loro futuro carattere? Sarebbe il colmo della crudeltà. Che direste d’un giardiniere che lasciasse che i rami dei suoi alberi fruttiferi prendessero ogni sorta di forme storte e bizzarre, prima di cominciare a servirsi di mezzi adatti a raddrizzarli? Direste che è un insensato. Ebbene! Sarebbe savio in paragone di genitori che rimandassero la correzione e l’ammaestramento del Signore al tempo in cui i loro figli avessero fatto dei progressi manifesti sotto la guida e l’insegnamento del nemico?
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Ma si dirà forse: Dobbiamo aspettare di avere delle prove di conversione. Rispondo che la fede non aspetta mai delle prove, ma agisce secondo la Parola di Dio, e le prove seguiranno infallibilmente. È sempre un’incredulità manifesta l’aspettare dei segni quando Dio ha dato un comandamento. Se i figli d’Israele avessero aspettato un segno quando Dio diceva: «Camminino», sarebbe stata un’evidente disobbedienza. Se l’uomo dalla mano secca avesse atteso che qualche forza si manifestasse in lui quando Gesù gli comandò di stendere la mano, avrebbe portato la sua mano secca fino alla tomba.

E così è dei genitori. Se aspettano dei segni e delle prove prima di obbedire alla parola di Dio in Efesini 6:4, è certo che non camminano per la fede, ma per la vista. Inoltre, se dobbiamo incominciare dal principio ad allevare i nostri figli, ne risulta che dobbiamo incominciare prima che siano capaci di offrire qualche prova di conversione.

In questo, come in tutto, il nostro dovere è d’obbedire, e lasciare a Dio i risultati. Lo stato morale dell’anima può essere messo alla prova dal comandamento; ma quando vi è la disposizione ad obbedire, la potenza per farlo accompagnerà, senza dubbio, il comandamento, e i frutti dell’obbedienza seguiranno, «a suo tempo se non ci stanchiamo».

3.3 Il governo e la grazia
È di somma importanza di avere un’intelligenza netta della dottrina del governo morale di Dio; è il mezzo di togliere molte difficoltà e di risolvere molte questioni. Questo governo si esercita con una decisione e una giustizia particolarmente solenni. Cercando nella Scrittura ciò che si riferisce a questo soggetto, troviamo che, in ogni caso in cui vi è stato errore o peccato, questo male ha prodotto inevitabilmente i suoi frutti. Adamo disobbedì e fu immediatamente rigettato dal giardino in un mondo gemente sotto il peso della maledizione cagionata dal peccato. E non fu mai più rimesso nel paradiso. La grazia intervenne, è vero, e gli fece la promessa d’un Liberatore; essa coprì anche la sua nudità; nondimeno il suo peccato produsse il suo risultato, e Adamo non ricuperò mai più ciò che per propria colpa aveva perduto.

Mosè, alle acque di Meriba, parlò leggermente, e la conseguenza fu che Dio, il quale è giusto, gli interdisse l’entrata in Canaan. Anche in questo caso, la grazia venne a recare qualcosa di migliore di quel che era stato perduto; poiché era molto meglio contemplare, dalla sommità del monte Pisga, le pianure della Palestina in compagnia dell’Eterno, che di abitarvi con Israele (Deuteronomio 34:1-5).

Nel caso di Davide, troviamo pure che al male seguì la conseguenza. Davide commette un adulterio, e la sentenza solenne fu subito pronunciata: «La spada non si allontanerà mai dalla tua casa». Anche qui la grazia abbondò, e Davide ne godette, con un sentimento più profondo, quando saliva sul monte degli Ulivi coi piedi nudi e la testa coperta, di quel che ne avesse goduto fra gli splendori del trono. Nondimeno il suo peccato produsse i suoi risultati.

Non soltanto nell’Antico Testamento vediamo il peccato portare il suo frutto. Nel Nuovo Testamento, vediamo Barnaba (Atti 15:37-42), esprimere il desiderio, in apparenza ben convenevole, di conservare la società del cugino Marco. Da quel momento, Barnaba perde il posto onorevole che aveva nelle narrazioni dello Spirito Santo, che non lo menziona più.

Il suo posto fu da quel momento occupato da un cuore più interamente consacrato, più libero da affezioni puramente naturali, di quello di Barnaba. Era la natura, in Barnaba, che lo conduceva a desiderare la compagnia di colui che si era separato dall’apostolo Paolo e da lui fin dalla Panfilia, e non era più andato con loro per quell’opera. Era una natura amabile, ma era la natura, e trionfò in Barnaba, poiché prese con sé Marco e fecero vela assieme verso l’isola di Cipro, terra naturale di Barnaba, ove, nel tempo del primo amore, aveva venduto la sua proprietà, per poter seguire più liberamente Colui che non aveva un luogo ove posare il capo (Atti 4:36-37).

Purtroppo, non è raro che il cuore naturale ritorni a ciò che ha lasciato. I fiori dell’albero della professione cristiana sono, in primavera, belli e abbondanti e spandono un dolce profumo; ma sovente, quanto pochi frutti saporiti si trovano in autunno! Le influenze della natura e del mondo soffiano per spogliare l’anima che promette dei frutti, e, al posto di questi, non c’è sovente che sterilità e delusione. È ben triste e d’un effetto morale dei più incresciosi sulla testimonianza. Naturalmente non è messa in dubbio la salvezza della persona che ha dato in tal modo delle speranze deluse più tardi. Barnaba era salvato, senza dubbio. L’influenza che Marco e l’amor patrio ebbero su lui non poté cancellare il suo nome dal libro della vita dell’Agnello, ma cancellò il suo nome dal regno della testimonianza e del servizio quaggiù. E non era forse qualche cosa di deplorevole?

Non abbiamo noi nulla da temere o da rimpiangere, all’infuori della salvezza personale? Ah! sarebbe mostrarci ben egoisti e ben indifferenti alla gloria di Dio! Con quale scopo, quel Dio benedetto si dà tanta pena per conservare la sua Chiesa quaggiù? È forse perché i credenti siano salvati e preparati per la gloria? Niente affatto; essi sono già salvati dalla perfetta redenzione del Cristo e, per conseguenza, preparati per la gloria. Vi è un nesso inseparabile fra la giustificazione e la gloria: «Quelli che ha giustificati li ha pure glorificati». Perché dunque Dio ci lascia quaggiù? È affinché siamo una testimonianza per Cristo. Altrimenti potremmo essere rapiti al cielo subito dopo la nostra conversione. Ci sia dato di comprendere questa verità in tutta la sua pienezza e forza pratica!

Il governo morale di Dio è una verità di grande importanza: ed è tale che chi fa il male ne mieterà infallibilmente il frutto, sia egli credente o incredulo, santo o peccatore, non importa.

La grazia di Dio può perdonare il peccatore, ed essa perdona ogni volta che il peccato è giudicato e confessato; ma siccome il peccato è un attacco ai principi del governo morale di Dio, bisogna che chi l’ha commesso sia condotto a sentire il suo fallo. Ha mancato e deve necessariamente provarne le conseguenze. È questa una verità ben solenne, ma particolarmente salutare, la cui azione è stata miseramente ostacolata da false nozioni sulla grazia. Dio non permette mai alla grazia di indebolire il suo governo morale; sarebbe una confusione, e Dio non è un Dio di confusione. Abbiamo dimenticato che Dio ci ha dato un esempio esercitando un giusto governo.

Non bisogna confondere il principio del governo di Dio col suo carattere (*). Il primo è giustizia, il secondo è grazia; quel che cerco di far rilevare ora, è il fatto che la relazione di padre implica un principio di giustizia, e se questo principio non ha una applicazione convenevole nel governo della famiglia, vi dev’essere confusione. Se vedo un bambino, a me estraneo, agire male, non ho nessuna autorità divina per esercitare una giusta disciplina a suo riguardo; ma appena vedo il mio proprio figlio che fa male, devo disciplinarlo, perché sono suo padre.

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(*) Le epistole di Pietro sviluppano la dottrina del governo morale di Dio. È in queste che troviamo la domanda: «Chi vi farà del male, se siete zelanti nel bene?». Alcuni trovano difficoltà a conciliare questa domanda con la dichiarazione dell’apostolo Paolo: «Tutti quelli che vogliono vivere piamente in Cristo Gesù saranno perseguitati». Sembra superfluo dire che le due idee sono in perfetta armonia. Il Signore Gesù stesso, che fu il solo imitatore perfetto e costante di ciò che era buono, Egli che, da un capo all’altro della sua carriera quaggiù, «è andato dappertutto facendo del bene», trovò alla fine, la croce, la lancia e il sepolcro. L’apostolo Paolo che, più di qualsiasi altro uomo, camminò sulle tracce del grande Modello che gli era costantemente davanti, fu chiamato a bere un calice straordinario di privazioni e di persecuzioni. E ai giorni nostri, più un credente sarà simile e consacrato a Cristo, più dovrà sopportare persecuzioni e privazioni. Se, spinto da una vera consacrazione a Cristo e dall’amore per le anime, andasse a stabilirsi apertamente in certe regioni del mondo per predicarvi Cristo, la sua vita potrebbe essere in pericolo. Tutti questi fatti sono forse in opposizione con la domanda dell’apostolo Pietro? Affatto. La tendenza diretta del governo morale di Dio è di garantire dal male tutti quelli che, «zelante nel bene», sono imitatori di ciò che è buono, e d’infliggere dei castighi a tutti quelli che fanno il contrario; ma essa non ha nulla a che fare con la via più elevata della posizione di discepolo; essa non priva chicchessia del privilegio e dell’onore d’essere tanto simile a Cristo quanto lo desidera, «perché vi è stata concessa la grazia, rispetto a Cristo, non soltanto di credere in Lui, ma anche di soffrire per lui, sostenendo voi pure la stessa lotta che mi avete veduto sostenere e nella quale ora sentite dire che io mi trovo» (Filippesi 1:29-30). Qui, impariamo che è una grazia a noi conferita d’essere chiamati a soffrire per Cristo, e ciò in mezzo ad una scena in cui, sul terreno del governo morale di Dio, può esser detto: «Chi vi farà del male, se siete zelante nel bene?».
Riconoscere il governo di Dio e sottomettersi ad esso, è una cosa; essere imitatori d’un Cristo rigettato e crocifisso è tutt’altra cosa. Anche in quest’epistola di Pietro che, come l’abbiamo fatto notare, ha per soggetto speciale la dottrina del governo di Dio, leggiamo: «Ma se soffrite perché avete agito bene, e lo sopportate pazientemente, questa è una grazia davanti a Dio. Infatti a questo siete stati chiamati, poiché anche Cristo ha sofferto per voi, lasciandovi un esempio, perché seguiate le sue orme». E anche: «Se uno soffre come cristiano (o perché è moralmente simile a Cristo), non se ne vergogni, anzi glorifichi Dio, portando questo nome» (1 Pietro 2:20-21; 4:16).
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Ma, si dirà forse, la relazione di padre col figlio è una relazione d’amore. È vero, poiché sta scritto: «Vedete quale amore ci ha manifestato il Padre, dandoci di essere chiamati figli di Dio!» (1 Giovanni 3:1). Ma benché questa relazione sia fondata sull’amore, è esercitata in giustizia, poiché sta anche scritto: «Infatti è giunto il tempo in cui il giudizio deve cominciare dalla casa di Dio» (1 Pietro 4:17). Così anche il capitolo 12 dell’epistola agli Ebrei ci insegna che la nostra qualità di figli legittimi ci pone sotto la giusta disciplina del Padre degli spiriti. E nel capitolo 17 dell’evangelo di Giovanni, la Chiesa è rimessa alle cure del Padre santo perché Egli la conservi nel suo nome.

Ora, ogni volta che i genitori cristiani perdono di vista questa grande verità, le loro case sono abbandonate al disordine. Essi non governano i loro figli; ne risulta che, col tempo, saranno i loro figli che li governeranno: poiché, bisogna bene che il governo ci sia; e se quelli a cui Dio ha affidato le redini non le tengono come debbono, esse cadranno ben tosto in cattive mani.

Che cosa triste e vergognosa vedere dei genitori governati dai loro figli! Non dubito che agli occhi di Dio questo sia una macchia, un disordine che, tosto o tardi attirerà il suo giudizio. Un padre che si lascia cader dalle mani le redini del governo, o che non le tiene con fermezza, manca gravemente alla propria santa responsabilità d’essere, per la sua famiglia, il rappresentante di Dio e il depositario della Sua potenza. Non penso che un tal uomo possa mai riprendere completamente la sua posizione né essere nella sua generazione un fedele testimonio di Dio. Può essere l’oggetto della grazia, ciò che è tutt’altra cosa che un testimonio per Dio.

Ecco quel che può spiegare lo stato lamentevole di molti fratelli. Essi hanno totalmente mancato al loro dovere di governare le loro famiglie secondo il Signore, ciò che ha fatto loro perdere la loro vera posizione e la loro influenza morale; da questo proviene che la loro energia è paralizzata, le loro bocche chiuse, la loro testimonianza annullata; e se qualcuno d’essi facesse udire una debole voce, il dito del disprezzo, designando subito lo stato della sua famiglia, gli produrrebbe il rossore delle guance e il rimorso alla coscienza.

Non tutti si fanno delle idee giuste a questo riguardo, e non sanno sempre risalire alla sorgente di questo grave stato di decadimento morale. Molti cristiani si adattano facilmente di vedere i loro figli crescere nella disobbedienza e nella mondanità. Sembra loro che sia cosa tutta naturale e inevitabile, e dicono ad altri: «Mentre i vostri figli sono giovani, ne fate ciò che volete; ma aspettate che siano cresciuti, e vedrete che sarete obbligati di lasciarli andare nel mondo!». [Anche se l’adolescenza è sovente un periodo difficile,] non potrò mai credere che sia secondo il pensiero di Dio, che i figli dei suoi servitori crescano necessariamente nella mondanità e nell’insubordinazione.

Ebbene, se non è questo il suo pensiero, se, nella sua misericordia, ha aperto ai figli dei suoi santi gli stessi sentieri dei genitori, se autorizza i genitori cristiani a scegliere per la loro famiglia la stessa parte che, per grazia, hanno scelto per se stessi; se, dopo tutto ciò, i loro figli sono volontari e mondani, che cosa sovente bisogna concludere, se non che i genitori hanno peccato nell’esercizio della loro relazione e della loro responsabilità? Ma devono essi fare un principio generale di ciò che è sovente il risultato della loro infedeltà e dire che tutti i figli dei cristiani devono crescendo assomigliare ai loro propri figli? Fanno essi bene a distogliere dei giovani genitori dal scegliere il terreno di Dio relativamente ai loro figli, proponendo i loro propri sbagli, invece di incoraggiarli mettendo loro davanti l’infallibile fedeltà di Dio verso tutti quelli che Lo cercavano nella via dei suoi comandamenti? Agire così sarebbe imitare il vecchio profeta di Bethel che, perché egli stesso era nel male, cercava di trascinarvi il fratello, e contribuì a farlo uccidere da un leone per la sua disobbedienza alla parola dell’Eterno.

Riassumendo, la volontà propria dei miei figli manifesto sovente la volontà propria del mio stesso cuore, e un Dio giusto si serve di loro per castigarmi, perché io non mi sono giudicato. Per risparmiarmi della pena, ho lasciato che il male avesse corso nella mia famiglia, ed ora i miei figli sono cresciuti e sono come spine ai miei fianchi, perché non li ho allevati per Dio. Tale è la storia di migliaia di famiglie. Non dovremmo mai perder di vista che i nostri figli devono, come noi, servire alla «difesa e alla conferma del vangelo». Sono convinto che, se potessimo essere condotti a considerare le nostre case come una testimonianza per Dio, ciò produrrebbe una immensa riforma nel nostro modo di governarle. Cercheremo allora di stabilirvi un ordine morale più elevato, non per risparmiarci fatica o dolore, ma piuttosto affinché la testimonianza non abbia da soffrire per il disordine delle nostre case. Ma non dimentichiamo che, per poter domare la natura nei nostri figli bisogna anzitutto domarla in noi. Non potremmo mai vincere la carne per mezzo della carne, e non è se non quando l’abbiamo sormontata in noi, che saremo in grado di sormontarla nei nostri figli.

3.4 Armonia fra il padre e la madre
Inoltre, occorre per questo, una perfetta intelligenza e una completa armonia fra il padre e la madre. La loro voce, la loro volontà, la loro autorità, la loro influenza devono essere una nel senso più stretto di questa parola.

Essendo essi stessi «una carne sola», dovrebbero sempre manifestare ai loro figli la bellezza e la potenza di questa unità. A questo scopo, essi devono servire Dio insieme, aspettarsi a Lui, tenersi molto nella sua presenza, aprirgli tutto il loro cuore, esporgli tutti i loro bisogni. I mariti e le mogli mancano frequentemente a ciò che devono essere a questo riguardo. Accade talvolta che uno dei due desideri realmente rinunciare al mondo e domare la carne ad un grado a cui l’altro non è giunto, e questo produce dei tristi risultati. Ciò reca sovente della riservatezza e conduce a dei sotterfugi, ad un antagonismo positivo nelle vie e nei principi del marito e della moglie, talché non si può dire di loro che sono uniti nel Signore. L’effetto di tutto questo, su dei figli che crescono, è pernicioso, e la sua funesta influenza su tutta la famiglia è incalcolabile.

Ciò che il padre comanda, la madre lo contesta; ciò che l’uno proibisce, l’altro lo permette; ciò che il padre edifica, la madre lo distrugge, o viceversa. Il padre è spesso rappresentato come rigido, severo, esigente. L’influenza materna agisce all’infuori e indipendentemente da quella del padre; talvolta mette completamente da parte questa, talché la posizione del padre diventa delle più penose, e tutta la famiglia presenta un aspetto di turbamento e di indisciplina (*).

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(*) Nulla è più affliggente di udire una madre dire al figlio: «Non bisogna che tuo padre sappia questa o quella cosa». Ove regnano queste pratiche di dissimulazione e di duplicità, vi dev’essere qualche cosa di radicalmente cattivo, ed è moralmente impossibile di ottenere qualsiasi cosa che assomigli all’ordine secondo la pietà o all’esercizio d’una vera disciplina. Bisogna, o che il padre, con una severità disordinata o un eccessivo rigore, «irriti i suoi figli», ovvero che la madre favorisca la volontà propria del figlio alle spese del carattere e dell’autorità del padre. Nell’uno e nell’altro caso vi è un ostacolo alla testimonianza che fa molto male ai figli. I genitori cristiani dovrebbero dunque vegliare con cura per apparire sempre, dinanzi ai figli, nella potenza di quest’unità che deriva dalla loro perfetta unione nel Signore. E se, per sfortuna, il loro giudizio non è identico, a riguardo di tal o tal altro punto del governo della casa, ne facciano il soggetto di preghiere intime e di proprio giudizio, nella presenza di Dio; cerchino la luce, ma non rendano mai quelli della loro casa testimoni della loro divergenza d’opinioni, poiché questo manifesterebbe una debolezza morale che farebbe disprezzare il loro governo. [Purtroppo i genitori non sono infallibili. I peccati tra genitori devono essere sistemati tra genitori. I peccati contro i figli devono essere confessati ai figli. Però non sarebbe secondo l’ordine stabilito da Dio che un figlio accusi i suoi genitori, anche se avesse ragione.]
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È una cosa terribile. I figli non possono mai essere ben allevati in tali circostanze, e il solo pensiero ne fa fremere, relativamente alla testimonianza per Cristo. Ove domina un tale stato di cose, dovrebbe esservi la contrizione di cuore davanti al Signore a questo riguardo. La sua misericordia è inesauribile e le sue tenere compassioni non mancano mai; e possiamo certamente sperare che, se vi è un vero dolore ed una sincera confessione, Dio interverrà in grazia per guarire e per rilevare. È certo che non dovremmo accomodarci a cose simili; perciò, tutti quelli che ne sono afflitti nel loro cuore gridino al Signore giorno e notte, gridino a Lui, fondandosi sulla sua verità e sul suo Nome, che sono bestemmiati per tali peccati; certamente Dio udirà ed esaudirà.

3.5 La nostra casa è una testimonianza
Ma che una tale questione sia considerata nel suo insieme alla luce della testimonianza per il Figlio di Dio. Per questa testimonianza siamo lasciati quaggiù. Infatti, non vi siamo lasciati soltanto per allevare le nostre famiglie in qualsiasi modo, bensì per allevarle per Dio, con Dio, e davanti a Lui. Per raggiungere questo scopo elevato, bisogna tenersi nella presenza del Signore. Un padre cristiano non può battere, schiaffeggiare i propri figli come lo fanno a volte gli uomini del mondo, secondo i loro capricci e il loro cattivo umore del momento. Il cristiano deve rappresentare Dio in mezzo alla propria famiglia: se questo è ben compreso regolerà tutto nella casa. Egli è l’amministratore di Dio; dovrà dunque, per ben comprendere questo incarico e per adempierlo fedelmente, avere frequenti relazioni, o piuttosto delle relazioni ininterrotte, col suo Maestro. Bisogna ch’egli si tenga abitualmente ai piedi di questo Maestro, onde sapere ciò che deve fare, e come deve farlo. Con questo mezzo, tutto diventerà semplice e facile nella sua amministrazione.

Sovente il cuore vorrebbe avere una regola generale per ognuno dei vari particolari della vita della famiglia. Si chiede, per esempio, che sorta di punizioni, che sorta di ricompense, e che sorta di divertimenti debbono adottare i genitori cristiani. Riguardo alle punizioni, penso che saranno raramente necessarie, se i principi divini di educazione del fanciullo son messi in pratica fin dalla più tenera infanzia. Riguardo alle ricompense, mi sembra che dovrebbero essenzialmente consistere in espressioni d’amore e d’approvazione. Un figlio deve essere obbediente — obbediente ad ogni riguardo e incessantemente, non per ottenere una ricompensa, atta a nutrire e a sviluppare l’emulazione che può essere un fatto anche della carne, ma perché Dio lo vuole così. Tuttavia mi sembra convenevole che i genitori manifestino la loro approvazione con qualche regalo. Riguardo ai divertimenti che desiderate procurare ai vostri figli, abbiano sempre, se possibile, il carattere di qualche occupazione utile. Ciò è salutare allo spirito. Ho sovente visto dei fanciulli trovare un piacere molto più reale, e certamente più semplice, con della carta, una matita o con qualcosa che si procurano da sé, che con i giocattoli più costosi. Infine, per ogni cosa, punizioni, ricompense o giochi, abbiamo l’occhio su Gesù e cerchiamo seriamente di sottomettere la carne sotto qualsiasi apparenza o forma essa si presenti. Allora le nostre case saranno una testimonianza per Dio, e allora quelli che vi entreranno saranno costretti di dire: Dio è qui.

4.Conclusione
Bisogna ch’io termini. Non ho preso la penna, Dio lo sa, per ferire chicchessia. Sento con forza l’importanza del soggetto che ho trattato, e ad un tempo la mia incapacità di presentarlo con la chiarezza necessaria. Tuttavia mi confido in Dio, onde Egli dia efficacia a queste righe, e quando Egli agisce, il più debole strumento può rispondere al suo scopo.

A Lui raccomando ora queste pagine le quali, ne ho la fiducia, sono state incominciate, proseguite e terminate nella Sua santa presenza. Un pensiero mi ha grandemente sostenuto: è che nel momento stesso in cui sentivo sulla mia coscienza la necessità di scrivere quest’opuscolo, un certo numero di diletti fratelli erano riuniti in assemblea d’umiliazione, di confessione e di preghiere, a riguardo della testimonianza per il Figlio di Dio in questi ultimi giorni. Non dubito che un punto molto importante della confessione sia stato relativo al governo della famiglia; e se queste pagine fossero utilizzate dallo Spirito di Dio per produrre, non fosse che in una sola coscienza, un sentimento più profondo di questa caduta, e in un solo cuore, un desiderio più sincero di riparare questa breccia seconda i pensieri di Dio, me ne rallegrerei sentendo che non ho scritto invano.

Possa il Dio onnipotente, secondo le ricchezze della sua grazia, produrre, per mezzo del suo Spirito Santo, nei cuori di tutti i suoi riscattati, un desiderio più ardente, in quest’ultima ora, una testimonianza per Cristo più completa e più decisa, affinché quando la voce d’arcangelo a la tromba di Dio squilleranno, si trovi quaggiù un popolo preparato per andare con gioia incontro alla Sposo!
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