IL VELO
di Roberto Bracco
Alcuni ambienti cristiani sono stati turbati dalla parola molesta di teologi invadenti che si sono introdotti per rivoluzionare, purtroppo negativamente, la vita del popolo di Dio nel seno delle chiese. Fra i molti insegnamenti moderni, recati e proclamati da costoro, uno ci ha meravigliato in maniera particolare, e la reazione della meraviglia deriva dal fatto che le conclusioni di questi audaci dottori giungono a coronamento di una ginnastica esegetica alla quale non siamo abituati. Ci riferiamo come anticipato nel titolo di questo articolo, al velo che le donne cristiane devono portare nelle riunioni di culto e che invece questi moderni dottori vogliono abolito dal mezzo delle chiese: l’insegnamento che porgono si bilancia tra il “possano” eliminarlo e il “devono” eliminarlo.
Gli argomenti, come già detto, sono cavillosi e, soprattutto, di una arditezza fuori del comune. È difficile accettare una polemica che ci condurrebbe sul trapezio e quindi preferiamo semplicemente ribadire l’argomento sempre esposto a fondamento di una pratica cristiana seguita fedelmente attraverso venti secoli di ubbidienza a Dio. Dalle catacombe ai movimenti di risveglio del nostro secolo, le donne cristiane sono sempre comparse nelle riunioni di culto con il capo coperto e perciò regaliamo a questi evoluti teologi le loro ultime teorie.
È utile ricordare, come premessa, del breve esame esegetico, che il “velo” sul capo della donna è presentato dalla Scrittura come una logica antitesi al capo “scoperto” dell’uomo: come l’uomo onora e riverisce Dio nello scoprirsi il capo davanti alla Sua presenza nelle riunioni di culto, così la donna l’onora e lo riverisce nel “velarsi” il proprio capo. Se togliamo il velo alla donna dobbiamo coprire il capo dell’uomo, perché l’antitesi consiste appunto nel differenziare la posizione dell’una e dell’altro di fronte a Dio. Più semplicemente possiamo ripetere: se la donna “può togliere” o “deve” togliere il velo dal suo capo, l’uomo per conseguenza logica “può” coprire o “deve” coprire il suo; la conseguenza è logica perché, ripetiamo, la Scrittura e precisa e categorica nello stabilizzare l’antitesi fra l’uomo e la donna.
Ma quanto detto rappresenta soltanto una frettolosa premessa perché ci sembra che ragioni più profonde ed argomenti più serrati ci fanno raggiungere la conclusione che si armonizza con quanto è stato sempre insegnato nella chiesa cristiana.
La prima di queste ragioni è costituita dalla constatazione che l’insegnamento relativo alla velatura della donna contenuta nell’epistola ai Corinzi non sembra essere un insegnamento di carattere locale e di valore contingente. Non c’è una parola che faccia apparire che Paolo avesse intenzione di esprimere un messaggio che fosse esclusivo ai Corinzi, che valesse soltanto per un’epoca, anzi ogni sillaba fa risuonare la gravità di un insegnamento universale e duraturo.
La seconda ragioni è rappresentata dal fatto che gli argomenti presentati dall’apostolo a sostegno della propria tesi, sono in maniera inequivocabile, argomenti spirituali il cui valore trascende qualsiasi eventuale evoluzione o rivoluzione. Gli argomenti di Paolo si trovano così al di sopra di quelli che possono essere le leggi di adattamento da rientrare direttamente in quelle norme di vita cristiana che non possono subire alterazioni o modifiche.
Anche un esame frettoloso, ma esegeticamente onesto, del passo in questione, fa sbalzare fuori dalle pagine della Scrittura l’affermazione che il “velo” della donna non rappresenta un’inutile elemento esteriore che può quindi esistere o non esistere in rapporto ai tempi e alle mentalità; ma un “simbolo” cristiano che come tutti i simboli, oltre ad aiutare a raggiungere la realtà che esprime la impersonifica fino a un certo punto, in sé stesso.
Sono molteplici gli elementi materiali del cristianesimo che pur rivestendo un ruolo spirituale ed assolvendolo nel linguaggio dei simboli, appaiono anche a noi come segni esteriori…; basta ricordare quelli più comuni dell’olio, del pane, del vino, dell’acqua che, come sappiamo, sono legati alla vita sacramentale della Chiesa attraverso la celebrazione della Santa Cena o attraverso la pratica del battesimo e dell’unzione. Noi non penseremo mai ad eliminare le sacre specie benché, purtroppo, alcune correnti eretiche del cristianesimo, le abbiano già eliminate, e perciò non accettiamo una conversazione intorno all’eliminazione del velo della donna che senza ombra di sacrilegio o di profanazione può essere assomigliato a tutti gli altri elementi materiali della vita cristiana.
Ascoltiamo Paolo mentre severamente ricorda che “Cristo è il capo dell’uomo, ma l’uomo è il capo della donna…” o mentre afferma che “la donna a motivo degli angeli deve portare ‘sul’ capo un segno di subordinazione” o mentre sostiene che l’uomo non si deve velare “perché egli è l’immagine e la gloria di Dio, mentre la donna è la gloria dell’uomo…”.
Perché osiamo affrontare e combattere questi argomenti spirituali? Forse perché l’evoluzione sociale ha offerto alla donna moderna un nuovo ruolo nella società?
Il ruolo della donna come d’altronde quello dell’uomo è e rimane quello stabilito da Dio mediante leggi immutabili che vogliono ancora oggi un principio di gerarchia, di subordinazione di ordine che è perfetta armonia e perfetto equilibrio.
Noi possiamo anche arzigogolare e cavillare sul significato nell’epistola ai Corinzi, ma le parole di Paolo rimangono lì, gravi, severe ad ammonirci da parte di Dio che la donna deve comparire, nelle radunanze di chiesa, con un velo artificiale posto sul suo capo come deve essere conservato intero il velo naturale donatole dalla natura come un segno di gloria e di distinzione voluto da Dio.
Naturalmente, non serve a nulla conservare l’elemento figurativo quando non esiste più la realtà sostanziale e quindi prima del velo le donna cristiana deve custodire la propria femminilità che deve essere per lei sottomissione, ubbidienza, dolcezza, grazia, pudore, santità. Quando la donna cristiana è veramente la gloria dell’uomo, l’aiuto convenevole dell’uomo o preparato per l’uomo, la dolce e sottomessa collaboratrice dell’uomo, non può, non deve rifiutare o ripudiare quei segni esteriori voluti da Dio per esprimere l’accettazione e l’esercizio della personalità muliebre nell’ambito della vita dello Spirito.