LETTERA ALLA CHIESA DI EFESO
LA CHIESA DI EFESO
«All'angelo della chiesa di Efeso scrivi: Queste cose dice colui che tiene le sette stelle nella sua destra e cammina in mezzo ai sette candelabri d'oro: Io conosco le tue opere, la tua fatica, la tua costanza; so che non puoi sopportare i malvagi e hai messo alla prova quelli che si chiamano apostoli ma non lo sono e che li hai trovati bugiardi. So che hai costanza, hai sopportato molte cose per amor del mio nome e non ti sei stancato. Ma ho questo contro di te: che hai abbandonato il tuo primo amore. Ricorda dunque da dove sei caduto, ravvediti, e compi le opere di prima; altrimenti verrò presto da te e rimoverò il tuo candelabro dal suo posto, se non ti ravvedi. Tuttavia hai questo, che detesti le opere dei Nicolaiti, che anch'io detesto. Chi ha orecchi ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese. A chi vince io darò da mangiare dell'albero della vita, che è nel paradiso di Dio”.
Introduzione.
Nella successione delle lettere è seguito un certo ordine geografico. La comunità di Efeso era quella più vicina a Patmos, dove Giovanni era confinato a motivo dell’Evangelo.
La città.
Non si conoscono di preciso le sue origini. Continue esplorazioni archeologiche hanno rivelato la storia della città, fondata, probabilmente intorno al 1044 a.C. Sappiamo che nel 133 a.C. passò dai re di Pergamo all’impero Romano, infatti, divenne la capitale della provincia senatoriale romana dell’Asia proconsolare e rivaleggiava con Alessandria d’Egitto con Antiochia di Siria, quale maggiore città dell’est.
Ai tempi del Nuovo Testamento Efeso era un importante crocevia culturale e commerciale da e per Roma. Ubicata presso la foce del fiume Caystro, a 5 Km. dal mare, aveva un ottimo porto; pertanto era facilmente raggiungibile grazie al corso navigabile. Per questa ragione era stata definita: “La perla delle vanità dell'Asia”. Un famoso geografo definiva questa città: “Il maggiore emporio dell’Asia ad ovest del fiume Tauro”. Contava circa 250.000 abitanti. La strada principale di Efeso, chiamata l’Arcadiana, lastricata di marmo e abbellita con monumenti, era arricchita di un colonnato e fiancheggiata da negozi. Efeso era anche un'importante città sotto l'aspetto religioso, infatti, la città veniva chiamata “la custode del tempio”, perché era il centro del culto alla dea Diana (o Artemide), divinità venerata in tutto il mondo romano. Il tempio di Diana, chiamato anche Artemesion, era una delle sette meraviglie del mondo antico: basti pensare che era lungo 118 metri, largo 50 metri ed era abbellito da 100 colonne alte circa 20 metri e riccamente adornato di tesori d’arte. Il tempio era anche una banca, un asilo per fuggiaschi e il centro di un culto elaborato. La scoperta del tempio a lungo sepolto, è stato un momento solenne per la ricerca archeologica. Scavi e ricerche incominciarono il 2 Maggio del 1863, ma non prima del 31 Dicembre 1869 fu possibile individuare il pavimento di marmo bianco del tempio, ad una profondità di 6 metri. Durante i successivi cinque anni furono portati alla luce i favolosi reperti che ora adornano la galleria Efesina del Museo Britannico, incluse raffinate opere d’arte. Successivi scavi hanno riportato alla luce nel 1905, il tesoro di ricchi depositi della dea, ritrovati sotto il piedistallo che reggeva la statua.
La dea Diana era la patrona di tutte le prostitute e con la sua immagine dai molti seni rappresentava la fecondità e la sessualità. Molti scrittori dei tempi antichi hanno descritto la vita immorale di quella città. Uno dei pilastri dell'economia efesina era pertanto la produzione di statuette d'argento di Diana e dei suoi piccoli templi, che davano lavoro a molte famiglie e permetteva un prosperoso commercio. I devoti della dea, provenienti da ogni parte del mondo, portavano un gran benessere alla città, tanto che l’arrivo di Paolo, rappresentò per loro un pericolo: “In quel periodo vi fu un gran tumulto a proposito della nuova Via. Perché un tale, di nome Demetrio, orefice, che faceva tempietti di Diana in argento, procurava non poco guadagno agli artigiani. Riuniti questi e gli altri che esercitavano il medesimo mestiere, disse: «Uomini, voi sapete che da questo lavoro proviene la nostra prosperità; e voi vedete e udite che questo Paolo ha persuaso e sviato molta gente non solo a Efeso, ma in quasi tutta l'Asia, dicendo che quelli costruiti con le mani, non sono dèi. Non solo vi è pericolo che questo ramo della nostra arte cada in discredito, ma che anche il tempio della grande dea Diana non conti più e che sia perfino privata della sua maestà colei che tutta l'Asia e il mondo adorano». Essi, udite queste cose, accesi di sdegno, si misero a gridare: «Grande è la Diana degli Efesini!» (Atti 19:23-28). La predicazione paolina, fece inferocire la folla che vedeva i suoi interessi venivano messi in pericolo: “Allora il segretario, calmata la folla, disse: «Uomini di Efeso, c'è forse qualcuno che non sappia che la città degli Efesini è la custode del tempio della grande Diana e della sua immagine caduta dal cielo? Queste cose sono incontestabili; perciò dovete calmarvi e non far nulla in modo precipitoso” (Atti 19:35,36).
Anche la magia nera era largamente praticata in Efeso. Paolo ebbe uno scontro con alcuni esorcisti ebrei e ne guidò alcuni alla fede in Cristo Salvatore: “Or alcuni esorcisti itineranti giudei tentarono anch'essi d'invocare il nome del Signore Gesù su quelli che avevano degli spiriti maligni, dicendo: «Io vi scongiuro, per quel Gesù che Paolo annunzia». Quelli che facevano questo erano sette figli di un certo Sceva, ebreo, capo sacerdote. Ma lo spirito maligno rispose loro: «Conosco Gesù e so chi è Paolo; ma voi chi siete?» E l'uomo che aveva lo spirito maligno si scagliò su due di loro; e li trattò in modo tale che fuggirono da quella casa, nudi e feriti. Questo fatto fu risaputo da tutti, Giudei e Greci, che abitavano a Efeso; e tutti furono presi da timore e il nome del Signore Gesù era esaltato. Molti di quelli che avevano creduto venivano a confessare e a dichiarare le cose che avevano fatte. Fra quanti avevano esercitato le arti magiche molti portarono i loro libri e li bruciarono in presenza di tutti; e, calcolatone il prezzo, trovarono che era di cinquantamila dramme d'argento. Così la Parola di Dio cresceva e si affermava potentemente” (Atti 19:13-20).
Ciò viene confermato anche nella lettera ai credenti di Efeso: “Dio ha vivificato anche voi, voi che eravate morti nelle vostre colpe e nei vostri peccati, ai quali un tempo vi abbandonaste seguendo l'andazzo di questo mondo, seguendo il principe della potenza dell'aria, di quello spirito che opera oggi negli uomini ribelli. Nel numero dei quali anche noi tutti vivevamo un tempo, secondo i desideri della nostra carne, ubbidendo alle voglie della carne e dei nostri pensieri; ed eravamo per natura figli d'ira, come gli altri” (Efesini 2:1-3).
Il nome Efeso significa amabile, diletta, colei che ama. Questo nome è caratteristico in considerazione del fatto che, l’invito ad amare è universale per tutti i credenti e che Paolo ricorda proprio agli Efesini l’amore di Cristo: “Siate dunque imitatori di Dio, perché siete figli da lui amati; e camminate nell'amore come anche Cristo vi ha amati e ha dato sé stesso per noi in offerta e sacrificio a Dio quale profumo di odore soave” (Efesini 5:1,2). In Efeso c’era anche una sinagoga e quindi un considerevole numero di Giudei: “Quando giunsero a Efeso, Paolo li lasciò là; poi, entrato nella sinagoga, si mise a discorrere con i Giudei” (Atti 18:19).
Nota storica sulla Chiesa di Efeso.
La Chiesa nacque grazie al contributo di molti e probabilmente anche per quei Giudei della provincia dell’Asia convertitisi a Pentecoste. Paolo si recò nella città di Efeso per breve tempo e vi fondò la Chiesa: “Quando giunsero a Efeso, Paolo li lasciò là; poi, entrato nella sinagoga, si mise a discorrere con i Giudei. Essi lo pregarono di rimanere da loro più a lungo, ma egli non acconsentì; e dopo aver preso commiato e aver detto che, Dio volendo, sarebbe tornato da loro un'altra volta, salpò da Efeso” (Atti 18:19-21). Vi lasciò Priscilla ed Aquila, promettendo di tornare e fu questa coppia ad incontrare Apollo: “Ora un ebreo di nome Apollo, oriundo di Alessandria, uomo eloquente e versato nelle Scritture, arrivò a Efeso. Egli era stato istruito nella via del Signore; ed essendo fervente di spirito, annunziava e insegnava accuratamente le cose relative a Gesù, benché avesse conoscenza soltanto del battesimo di Giovanni. Egli cominciò pure a parlare con franchezza nella sinagoga. Ma Priscilla e Aquila, dopo averlo udito, lo presero con loro e gli esposero con più esattezza la via di Dio” (Atti 18:24-26).
Quando l’apostolo Paolo vi tornò, trovò un piccolo gruppo. Il vero grande risveglio si verificò durante la permanenza di Paolo: “Mentre Apollo era a Corinto, Paolo, dopo aver attraversato le regioni superiori del paese, giunse a Efeso; e vi trovò alcuni discepoli, ai quali disse: «Riceveste lo Spirito Santo quando credeste?» Gli risposero: «Non abbiamo neppure sentito dire che ci sia lo Spirito Santo». Egli disse loro: «Con quale battesimo siete dunque stati battezzati?» Essi risposero: «Con il battesimo di Giovanni». Paolo disse: «Giovanni battezzò con il battesimo di ravvedimento, dicendo al popolo di credere in colui che veniva dopo di lui, cioè, in Gesù». Udito questo, furono battezzati nel nome del Signore Gesù; e, avendo Paolo imposto loro le mani, lo Spirito Santo scese su di loro ed essi parlavano in lingue e profetizzavano. Erano in tutto circa dodici uomini. Poi entrò nella sinagoga e qui parlò con molta franchezza per tre mesi, esponendo con discorsi persuasivi le cose relative al regno di Dio. Ma siccome alcuni si ostinavano e rifiutavano di credere dicendo male della nuova Via davanti alla folla, egli, ritiratosi da loro, separò i discepoli e insegnava ogni giorno nella scuola di Tiranno. Questo durò due anni. Così tutti coloro che abitavano nell'Asia, Giudei e Greci, udirono la Parola del Signore” (Atti 19:1-10).
La Chiesa fu affidata ad un collegio di anziani: “Da Mileto mandò a Efeso a chiamare gli anziani della Chiesa” (Atti 20:17). In seguito il suo collaboratore Timoteo, prese la cura della Chiesa di Efeso, dove purtroppo erano cominciati seri problemi: “Ti ripeto l'esortazione che ti feci mentre andavo in Macedonia, di rimanere a Efeso per ordinare ad alcuni di non insegnare dottrine diverse e di non occuparsi di favole e di genealogie senza fine, le quali suscitano discussioni invece di promuovere l'opera di Dio, che è fondata sulla fede. Lo scopo di quest’incarico è l'amore che viene da un cuore puro, da una buona coscienza e da una fede sincera. Alcuni hanno deviato da queste cose e si sono abbandonati a discorsi senza senso. Vogliono essere dottori della legge ma in realtà non sanno né quello che dicono né quello che affermano con certezza” (1Timoteo 1:3-7). Dopo Timoteo, responsabile della Chiesa di Efeso sarà Tichico, il latore della lettera agli Efesini: “Tichico l'ho mandato a Efeso” ( 2Timoteo 4:12). La Chiesa cristiana di Efeso aveva dunque una profonda conoscenza biblica, avendo avuto come pastori Paolo, Apollo, Timoteo e Giovanni. La tradizione vuole che in Efeso vi abitarono Giovanni e Maria.
Il destinatario.
Questa prima lettera, come pure tutte le altre, é indirizzata all’angelo della Chiesa locale: «All'angelo della Chiesa di Efeso scrivi…» (Apocalisse 2:1).
Alcuni pensano che si tratti di un angelo protettore della Chiesa. In realtà la parola “angelo”, in greco, significa “messaggero” e, ordinariamente, era usata per indicare sia il messaggero umano che quello sovrumano, cioè l'angelo. Per questo molti ritengono che l'angelo in questione sia il pastore della Chiesa, che deve vegliare su di essa: “Badate a voi stessi e a tutto il gregge, in mezzo al quale lo Spirito Santo vi ha costituiti vescovi, per pascere la Chiesa di Dio, che egli ha acquistata con il proprio sangue. Io so che dopo la mia partenza si introdurranno fra di voi lupi rapaci, i quali non risparmieranno il gregge; e anche tra voi stessi sorgeranno uomini che insegneranno cose perverse per trascinarsi dietro i discepoli. Perciò vegliate, ricordandovi che per tre anni, notte e giorno, non ho cessato di ammonire ciascuno con lacrime” (Atti 20:28-31).
La descrizione di Cristo.
Ad Efeso il Signore si presenta con una Sua caratteristica, che sarà sempre diversa a seconda dei bisogni e dello stato morale della Chiesa a cui si indirizza. Egli non usa mai formule stereotipate o ripetitive. Conosce le necessità individuali, va incontro a ciascuno personalmente, per benedirlo ed aiutarlo. A conferma di quanto sopra detto, la lettera si apre rivelando che Cristo tiene nella Sua destra i conduttori delle Chiese. La mano destra esprime forza, ma al tempo stesso autorità, quindi il Signore protegge e guida i responsabili delle Chiese. Egli li conosce e ha un grande interesse per loro. Egli è Colui che li manda, li protegge, li sostiene, li premia ed anche li riprende, li toglie e li punisce: “Queste cose dice colui che tiene le sette stelle nella sua destra e cammina in mezzo ai sette candelabri d'oro” (Apocalisse 2:1).
Con questa premessa Gesù ricorda che Egli fonda la Chiesa, la edifica, la sostiene e la tiene nella Sua mano: “E anch'io ti dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le porte del soggiorno del morti non la potranno vincere” (Matteo 16:18). In altre parole Egli ribadisce la Sua centralità: “Gesù è il vivente, il supremo pastore della Chiesa”: “Ogni cosa egli ha posta sotto i suoi piedi e lo ha dato per capo supremo alla Chiesa, che è il corpo di lui, il compimento di colui che porta a compimento ogni cosa in tutti” (Efesini 1:22,23). Mentre lo Spirito Santo distribuisce i carismi e Dio Padre compie le operazioni, è Gesù Colui che distribuisce i ministeri: “Ora vi è diversità di doni, ma vi è un medesimo Spirito. Vi è diversità di ministeri, ma non v'è che un medesimo Signore. Vi è varietà d’operazioni, ma non vi è che un medesimo Dio, il quale opera tutte le cose in tutti” (1Corinzi 12:4-6). Proprio nella sua lettera agli Efesini, Paolo ribadirà questo aspetto dottrinale: “É lui (Gesù Cristo), che ha dato alcuni come apostoli, altri come profeti, altri come evangelisti, altri come pastori e dottori, per il perfezionamento dei santi in vista dell'opera del ministerio e dell'edificazione del corpo di Cristo, fino a che tutti giungiamo all'unità della fede e della piena conoscenza del Figlio di Dio, allo stato di uomini fatti, all'altezza della statura perfetta di Cristo” (Efesini 4:11-13). Questo c’insegna che, come credenti siamo “Chiesa”, non perché abbiamo una certa struttura, organizzazione o gerarchia, ma solo perché Cristo é al centro e dipendiamo da Lui. Come é detto nella parabola della vite e dei tralci, dobbiamo essere uniti alla vite per portare frutto, altrimenti siamo tralci infruttuosi destinati al fuoco. Siamo sicuri solo nelle mani di Cristo: “Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono; e io do loro la vita eterna e non periranno mai e nessuno le rapirà dalla mia mano” (Giovanni 10:27,28).
Se le sette stelle in mano al Signore sono i pastori, ci viene detto che Gesù cammina anche in mezzo ai credenti: “Queste cose dice colui che tiene le sette stelle nella sua destra e cammina in mezzo ai sette candelabri d'oro” (Apocalisse 2:1). Il Signore cammina in mezzo alle Chiese: “Scrivi dunque le cose che hai viste, quelle che sono e quelle che devono avvenire in seguito, il mistero delle sette stelle che hai viste nella mia destra e dei sette candelabri d'oro. Le sette stelle sono gli angeli delle sette Chiese e i sette candelabri sono le sette Chiese” (Apocalisse 1:19,20). Gesù conosce con estrema precisione i pensieri e gli atteggiamenti dei singoli credenti. Il fatto che cammini in mezzo ai candelabri, ci dice della rigida ispezione che Egli compie perché la Chiesa risplenda emanando la Sua luce: “Voi siete la luce del mondo. Una città posta sopra un monte non può rimanere nascosta e non si accende una lampada per metterla sotto un recipiente; anzi la si mette sul candeliere ed essa fa luce a tutti quelli che sono in casa. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, affinché vedano le vostre buone opere e glorifichino il Padre vostro che è nei cieli” (Matteo 5:14-16).
L’elogio.
Questo messaggio s’impone alla nostra attenzione fin dalle prime parole. L'incontro con il Signore non é mai qualcosa di vago o di banale. Egli dice immediatamente: “lo conosco le tue opere, so tutto di te”: “Io conosco le tue opere, la tua fatica, la tua costanza; so che non puoi sopportare i malvagi e hai messo alla prova quelli che si chiamano apostoli ma non lo sono e che li hai trovati bugiardi. So che hai costanza, hai sopportato molte cose per amor del mio nome e non ti sei stancato” (Apocalisse 2:2,3).
Il Signore non ricorre agli artifici usati spesso dagli uomini per dissimulare la realtà o nascondere qualche aspetto riguardante il comportamento della nostra vita. Se è importante quello che gli uomini pensano della Chiesa ed in particolare modo della Chiesa locale, è molto più importante quello che Gesù pensa e dice della Chiesa. Difatti solo il giudizio di Cristo è quello veritiero e corrispondente alla realtà della nostra condizione. Gesù è onnisciente perché è Dio. Non c'è nulla che possa essere nascosto al Suo sguardo. Questa dichiarazione: “Io conosco”, traduce in parole il senso del simbolo “degli occhi simili a fiamme di fuoco”: “E non v'è nessuna creatura che possa nascondersi davanti a lui; ma tutte le cose sono nude e scoperte davanti agli occhi di colui al quale dobbiamo rendere conto” (Ebrei 4:13). Perciò il sapere che Dio conosce, da un lato può metterci in crisi perché non possiamo nascondergli nulla, ma dall'altro lato c’incoraggia perché possiamo contare sulla sua piena comprensione. I credenti di Efeso si distinguevano per il loro zelo e le loro attività nell’opera del Signore. Non era certo una comunità stagnante: “Perciò anch'io, avendo udito parlare della vostra fede nel Signore Gesù e del vostro amore per tutti i santi, non smetto mai di rendere grazie per voi, ricordandovi nelle mie preghiere” (Efesini 1:15,16).
Per ben due volte la lettera parla di com’essi hanno lavorato per il nome di Cristo. nonostante le difficoltà e le tribolazioni. Questi santi avevano imparato ad aver fiducia nel Signore in mezzo a tutti i patimenti, come si può apprendere dalla parola “costanza”. Non avevano tollerato il male in mezzo a loro. Quanto alla dottrina, non erano soltanto competenti per denunciare i falsi insegnamenti, ma sapevano anche allontanare gli eretici dalle loro file. Avevano messo alla prova falsi apostoli e li avevano smascherati con coraggio ed espulsi dall’assemblea. La comunità di Efeso era sotto quest’aspetto una Chiesa modello, meritevole di alto elogio. Comprendiamo da questi versi che tra gli sforzi di Satana per distruggere la Chiesa d’Efeso, non mancò l'inganno. Così apparvero uomini che si proclamavano apostoli, ma, messi alla prova, questi si rivelarono degli autentici ingannatori. Una delle tattiche di cui si serve Satana é quella di cercare di trarre in inganno quelli che vogliono restare fedeli al loro Dio. Fu per mezzo di un inganno che Satana riuscì a trascinare Eva alla disubbidienza, perché cogliesse e gustasse il frutto dell'albero proibito. Perciò è importante rimanere ancorati alla fedele Parola. Inoltre, troviamo un altro elogio alla santità. Gli Efesini detestavano le opere dei Nicolaiti: “Tuttavia hai questo, che detesti le opere dei Nicolaiti, che anch'io detesto” (Apocalisse 2:6). La Chiesa di Efeso odia le opere dei Nicolaiti, come anche Cristo. In quanto Dio santo, Egli odia il peccato in tutte le sue forme. Qui è molto importante rilevare che Gesù e la Chiesa detestano le opere dei Nicolaiti e non i Nicolaiti stessi. Ma chi erano i Nicolaiti? Non si sa esattamente chi fossero. Esistono in merito due ipotesi:
PRIMA IPOTESI.
Una tradizione raccolta nel 2°secolo da Ireneo e da Ippolito si riallaccia al diacono Nicola (Atti 6:5), che trasformava la grazia di Dio in dissolutezza sconfinando nel lassismo morale ed etico, praticando e predicando la licenza dei costumi. In forza di questa dottrina, i credenti mischiavano il cristianesimo con il paganesimo realizzando quel sincretismo religioso che permetteva loro di vivere nella licenziosità, nell’immoralità e nella pratica dei riti pagani.
SECONDA IPOTESI.
Altri commentatori, rifacendosi al nome, formato da “Nikao” che significa “vincere, conquistare, dominare” e “laos” che significa “popolo”, pensano che si tratti di un gruppo che voleva introdurre fra il popolo di Dio la distinzione fra clero e laici, quindi l'inizio dell’aberrazione del clericalismo. Di costoro si parla di nuovo nella lettera a Pergamo (Apocalisse 2:15).
Il rimprovero.
Sembra quasi impossibile che una Chiesa tanto lodata per il suo lavoro e la sua fatica, tanto lodata per la sua stabilità e la sua costanza, tanto lodata per la sua disciplina e la sua morale, sia da censurare. Cosa ci può essere da deplorare ad una Chiesa sana in fatto di dottrina e di vita morale, che sopporta con costanza le prove? Il male non è di quelli che si vedono. Il corpo è intatto, ma l’anima è ammalata. Le membra funzionano, ma il cuore non batte più come dovrebbe. Efeso ha lasciato affievolire il suo primo amore: “Ma ho questo contro di te: che hai abbandonato il tuo primo amore” (Apocalisse 2:4). Le parole di Gesù appaiono come un duro rimprovero. Nonostante tutto il loro zelo, i credenti di Efeso presentavano un grave difetto: avevano dimenticato il loro primo amore, cioè Cristo stesso, la salvezza, la vita eterna e tutti i doni di Dio. Efeso somiglia a quella donna che indefessamente lavora dall’alba fino alla tarda sera, che educa i figli, li segue scrupolosamente, pulisce la casa in modo accurato, stira, cuce, prepara con attenzione il pranzo e la cena per tutta la famiglia: in lei apparentemente non vi è nulla da rimproverare, ma il fuoco dell’amore si è spento; non ama più suo marito! L’apostolo Paolo parla della rinuncia, del sacrificio di se stessi, toccandone l’apice ossia il martirio: “Essere ucciso per Cristo, essere arsi per Cristo”. Eppure egli dirà che senza amore, “non giova a nulla”: “Se distribuissi tutti i miei beni per nutrire i poveri, se dessi il mio corpo a essere arso e non avessi amore, non mi gioverebbe a niente” (1Corinzi 13:3).
Si racconta di un martire cristiano che inchiodato sul palo per essere arso vivo per Cristo, non volle perdonare un suo fratello in fede che gli chiedeva perdono. A che cosa è servito quel sacrificio?
Ecco dunque che lo sguardo del Signore va oltre, scruta e sonda il cuore che non ha più i palpiti di una volta, il fervore e lo zelo di prima, l’amore per Cristo, l’amore per i fratelli. Quando il cuore si fa debole, la vita intera è gravemente minacciata. Gesù non ricorre all'adulazione, non é cieco, anzi sa valutare con obiettività. C'è molta franchezza in queste parole, perché il Signore non lascia correre. Ricorda il bene, ma denuncia il male. Sa che esso é come un cancro maligno che procede inesorabilmente. Egli sa che sebbene gli Efesini esteriormente erano ancora pieni d’amore, i loro cuori erano intimamente freddi. È interessante notare che il termine amore, è “agapen”, che insieme a “agapao” e “agape”, indicano sempre l’amore di Dio che offre senza chiedere nulla in contraccambio. Questi termini si riferiscono al rapporto tra Dio e l'uomo (Deuteronomio 6:5). Questo amore divino “agapao”, che é l'essenza stessa di Dio (1Giovanni 4:
, indica in primo luogo, l'attitudine di tenerezza e di misericordia di Dio verso l'uomo (Giovanni 3:16) e poi l'attitudine di reciproco perdono ed affetto dei credenti tra di loro (Giovanni 13:34).
Il termine “phileo”, invece, si riferisce all'affetto per una persona cara. Questo indica in particolar modo l’amicizia (“philia”), l’amico (“philos”), la solidarietà espressa attraverso un bacio, un abbraccio (“philema”) tipiche espressioni di amore fraterno (Romani 12:10; Luca 10:27,28).
Un altro termine é “eros”, che indica l'amore passionale e possessivo, il desiderio dei sensi e l'attrazione sessuale. L'amore per Cristo, che i credenti debbono nutrire in modo vibrante, viene cantato in modo stupendo nel libro del Cantico dei Cantici (C.d.C.2:16; 6:3; 7:11) e nella riabilitazione di Pietro (Giovanni 21:15-17).
Intorno a quest’ultimo verso é interessante notare che:
a) Nella prima domanda, Gesù usa il verbo “agaphen”, amore profondo che indica quello di Dio, mentre Pietro risponde con “philein”, amore fraterno (verso 15);
b) Ciò si ripete anche la seconda volta (verso 16);
c) La terza volta é Gesù che usa il verbo “philein” (verso 17) mettendosi, come dire, allo stesso livello di Pietro. Certamente Pietro é consapevole della sua pochezza e, dopo il rinnegamento, comprende di non saper amare come Gesù, ma l'ultima domanda del Maestro gli dà una risposta chiara: Gesù lo aveva compreso ed accettato.
Gli Efesini si accontentano di possedere una giusta dottrina e di operare ben guidati da un vivo senso del dovere che difettava, però, di comprensione e d'amore cristiano. Forse erano così affaccendati da non poter dedicare neanche una parte del loro tempo ad aprire il loro cuore all'amore e all'adorazione di Cristo Gesù. Il loro zelo era diventato solo una mera ortodossia ed ipocrisia religiosa o peggio ancora, abitudine. L’espressione usata da San Giovanni, si rifà al versetto biblico: “Và e grida alle orecchie di Gerusalemme: “Così dice il Signore: Io mi ricordo dell'affetto che avevi per me quand'eri giovane, del tuo amore da fidanzata, quando mi seguivi nel deserto, in una terra non seminata” (Geremia 2.2). Gesù, nel Suo discorso profetico, aveva avvertito i suoi discepoli di questo tremendo pericolo: “Poiché l'iniquità aumenterà, l'amore dei più si raffredderà” (Matteo 24:12). Quando non si commettono grossi crimini, si é tentati di dire: “Cosa ho fatto di male?” Allora il Signore é costretto a dire:
“Hai abbandonato il tuo primo amore. Non sei più quello di prima.
Quando mi hai conosciuto e sei stato toccato dalla grazia, hai sperimentato la salvezza.
Quale amore, quale gioia. Testimoniavi con entusiasmo... eri comunicativo.
Sentivi il bisogno di studiare la Parola, di approfondirla, di pregare,
di ricercare la comunione fraterna, partecipavi a tutte le attività,
mi davi il primo posto. Ma adesso, nonostante le apparenze, le tradizioni,
non sei più così: Hai abbandonato il tuo primo amore”.
È importante esaminarci davanti al Signore. Ogni allontanamento, apostasia o deviazione, comincia sempre così. Il Signore per questo motivo é severo e dice: “Ho questo contro di te...”. Quello che accadde ad Efeso si ripete ancora ed é il problema di tante Chiese. La vita spirituale della Chiesa è in pericolo quando si abbandona il primo amore “Se distribuissi tutti i miei beni per nutrire i poveri, se dessi il mio corpo a essere arso e non avessi amore, non mi gioverebbe a niente” (1Corinzi 13:3). Torna all'indice
LE CAUSE CHE PORTANO ALLA PERDITA
DEL PRIMO AMORE.
La Chiesa deve nutrire il primo amore per il Signore, ma molte sono le cause che cercano di allontanarla da questo amore genuino e sincero. Purtroppo molte sono le “volpi” che cercano di guastare l'amore tra Cristo e la sua Chiesa. Basta che alcuni elementi negativi si facciano spazio nella vita del credente e della Chiesa per perdere il “primo amore”.
A. La trascuratezza.
Porta inevitabilmente verso l'indifferenza, l'apatia spirituale, l'inattività, la rilassatezza morale ed il legalismo religioso. È sicuramente molto pericoloso quando i credenti iniziano a trascurare gli elementi fondamentali e portanti della vita cristiana:
q Trascurare la preghiera. La Bibbia esorta ad esseri attivi nella preghiera personale e comunitaria.
q Trascurare la Parola. La Bibbia esorta invece ad essere, come Esdra, “versati” nella Parola perché è unico strumento che ci permette di combattere il nemico.
q Trascurare i culti e la comunione fraterna. La Bibbia esorta coloro che pensano di poter “vivere da soli” senza l'ausilio della comunità, a ricercare la "Koinonia". Quando i credenti cominciano a trascurare la preghiera, la Parola e la vita comunitaria perdono sicuramente quella pienezza necessaria per poter vivere la vita cristiana all’insegna dell’amore e secondo la Parola e la volontà di Dio.
Forse per questa ragione l'apostolo Paolo esorta la Chiesa di Efeso a fare molta attenzione, perché la loro condizione di “leggerezza spirituale” - che indica questo stato di mancanza del primo amore – poteva portare a “rattristare” lo Spirito Santo che tiene viva la “fiamma” dell'amore nella vita del credente “Non rattristate lo Spirito Santo di Dio con il quale siete stati suggellati per il giorno della redenzione” (Efesini 4:30).
B. L'orgoglio.
L’orgoglio è l'emanazione forte dell'ego umano, che cerca di imporsi su tutto e tutti. L'etimologia ci porta a due antichi termini:
Ø Il greco “fysico”, “fysiosis”, da “fysa”, che significa “soffio, gonfiarsi” (1Corinzi 5:5; Colossesi 2:18) ed indica la superbia e l’insolenza.
Ø Il greco “tyfoo”, da “tyfos”, che significa “fumata, vanità, pieno di fumo” ed indica la presunzione (1Timoteo 3:6; 6:3-4; 2Timoteo 3:4).
L'orgoglio é stato la causa prima del peccato nell'universo, quando Lucifero si ribellò contro Dio. L'orgoglio é un pericolo anche per i credenti e sarà una caratteristica degli ultimi tempi (2Timoteo 3:1-5). Quando il credente comincia a dare forza alla propria giustizia e alla propria persona cade immancabilmente nel peccato di orgoglio. La Bibbia esorta a ricercare una vita di umiltà. L'apostolo Paolo stesso si propone come esempio di umiltà cristiana (Efesini 3:7,8; 4:1,2).
C. La mondanità.
Sembra una parola d'altri tempi ed invece è uno dei pericoli più terribili che minacciano la Chiesa d’oggi. Il termine mondanità deriva da “kosmos” che, nella Bibbia, indica l'universo (Giovanni 17:5), la terra abitata dall'uomo (Matteo 4:8; Colossesi 1:6), l'umanità (Matteo 5:14; Giovanni 3:16) e l'insieme dei desideri e del potere che l'uomo ricerca (Matteo 16:26; Luca 9:25; Giovanni 3:17).
In questo senso, quindi, mondanità indica coloro che rifiutano Cristo e l'Evangelo (Giovanni 1:10). Ormai i mass-media “bombardano” le persone e le famiglie, con i loro messaggi che, nella stragrande maggioranza dei casi, sono contrari alle leggi morali dell'Evangelo. Come ha affermato qualcuno nel passato, con la TV i credenti “hanno fatto entrare il mondo in casa”, laddove per mondo s’intende tutto ciò che è riprovevole dal punto di vista scritturale e biblico. In altre parole indica l’andazzo del mondo con i suoi usi e costumi in contraddizione con i principi cristiani nonché quell'etica antibiblica che tanta approvazione trova nelle moderne generazioni (rapporti prematrimoniali, omosessualità, convivenza). La Bibbia ci descrive Satana come il principe di questo mondo, pertanto laddove c'è malvagità, cattiveria, immoralità, là c'è il mondo. L'apostolo Paolo desidera sottolineare agli Efesini quale deve essere invece, il carattere e l'etica del cristiano.
È interessante rilevare che:
A. I piaceri del mondo sono fugaci ed effimeri (Ebrei: 11:24,25; Ecclesiaste 11:8; 5:9,10;1Giovanni 2:17).
B. Chi ama il mondo non ama Dio (1Giovanni 2: 15,16; Romani 8:7; Giacomo 4:4).
C. Cristo ha vinto il mondo, salvando i peccatori che si ravvedono (Giovanni 12:47; 1Timoteo 1:15; Giovanni 3:17; 16:33).
D. I credenti devono rinunciare al mondo (1Pietro 1:14; Romani 12:2; Giacomo 1:27) perché hanno vinto il mondo (1 Giovanni 4:4; Efesini 2:19).
E. La Chiesa ha una cittadinanza celeste (Filippesi 3:20; Giovanni 17:14; 1Pietro 2:11).
La Sacra Scrittura esorta a non avere rapporti col mondo, nel senso di non allinearsi ad esso (Galati 5:16-22; 2Corinzi 6:14-18). La mondanità si combatte e si sconfigge con una “spiritualità” che coinvolge il cuore ed i pensieri, nonché le azioni della quotidianità. Quando lo Spirito Santo agisce in noi, tiene viva la fiamma dell’amore in ogni tempo e circostanza.
L'IMPORTANZA DELL'AMORE NELLA VITA DELLA CHIESA.
L'amore é l'essenza del frutto dello Spirito, infatti è citato per primo (e non é un caso): “Il frutto dello Spirito invece é AMORE...” (Galati 5:22).
Infusa nel cuore dei credenti direttamente da Dio la carità è l'elemento essenziale e vivificante per la vita cristiana. Difatti, non sarebbe possibile realizzare la “Koinonia”, cioè la comunione fraterna, senza l'elemento aggregante per eccellenza: l'amore. L'apostolo Paolo lo definisce come “legame di perfezione” (Colossesi 3:14) ed esorta la Chiesa a realizzare appieno l'unità dello Spirito: “Sforzandovi di conservare l'unità dello Spirito con il vincolo della pace. Vi è un corpo solo e un solo Spirito, come pure siete stati chiamati a una sola speranza, quella della vostra vocazione. V'è un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo, un solo Dio e Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, fra tutti e in tutti” (Efesini 4:3-6).
Nell'Antico Testamento era un dovere del popolo amare l'Eterno (Deuteronomio 30:16; Salmo 31:23; Giosuè 23:11). Nel Nuovo Testamento il Signor Gesù raccoglie “tutta la legge” ed i “comandamenti” sono un solo testo: “Ama il Signore...ed il prossimo”. A questo punto sorgono due domande alle quali la Bibbia risponde chiaramente. La prima domanda é la seguente: “Perché amare”? La Sacra Scrittura così risponde:
· Chi ha amore vero, é amato da Dio (Proverbi 8:17) e gode comunione con il Signore (1 Giovanni. 4:16).
· Chi ha amore é liberato e protetto da Dio (Salmo 91:14; 145:20).
· Chi ha amore godrà beni ineffabili (1Corinzi 2:9).
· Chi ha amore avrà la vita e la felicità eterna (Giacomo 2:5).
· Chi ha amore non sarà mai dimenticato da Dio (Ebrei 6:10).
· Chi ha amore é oggetto delle promesse e delle benedizioni di Dio (Deuteronomio 11:13-15).
La Seconda domanda é: “Come deve essere il nostro amore”? Anche in questo caso la Bibbia risponde in modo chiaro. Infatti, oltre ad essere sincero (Romani 12:9; 2Corinzi 6:4-6) ed intenso (1Pietro. 4:
, l’amore deve somigliare:
Ø All'amore di Cristo per noi (Giovanni 15:12; 2Corinzi 8:7-9).
Ø All’amore del Padre per noi (Matteo 5:44-48; Luca 6:35,36).
Ø All'amore per noi stessi (Levitico 19:18; Romani 13:9,10).
L’amore spontaneo per il Signore è l’apice della vera spiritualità, abbandonarlo è il primo passo verso la caduta. Il declino della Chiesa cominciò quando i cuori persero il loro primo amore. Il Signore chiama in causa la nostra vita, vuole istruirci per renderci sempre più conformi all’immagine di Suo Figlio ed alla Sua volontà: “Non conformatevi a questo mondo, ma siate trasformati mediante il rinnovamento della vostra mente, affinché conosciate per esperienza quale sia la volontà di Dio, la buona, gradita e perfetta volontà” (Romani 12:2).
Il Signore desidera che la Sua Chiesa compaia davanti a sé gloriosa, irreprensibile, senza macchia e senza ruga, o altri simili difetti: “Cristo ha amato la Chiesa e ha dato sé stesso per lei, per santificarla dopo averla purificata lavandola con l'acqua della parola, per farla comparire davanti a sé, gloriosa, senza macchia, senza ruga o altri simili difetti, ma santa e irreprensibile” (Efesini 5:25-27). Come credenti dobbiamo accettare gioiosamente questo programma di rinnovamento giornaliero, finché esso sia portato a compimento.
L’esortazione.
La Chiesa di Efeso viene esortata a tornare ad amare Gesù come prima, anzi più di prima: “Ricorda dunque da dove sei caduto, ravvediti e compi le opere di prima; altrimenti verrò presto da te e rimuoverò il tuo candelabro dal suo posto, se non ti ravvedi” (Apocalisse 2:5).
Gesù consiglia alla Chiesa la linea che deve seguire per poter ritornare al primo amore e alla comunione col suo Salvatore. L'invito a cambiare é riassunto in queste parole:
§ “Ricordati dove sei caduto...”, cioè rifletti, pensa, sii onesto, non cercare scuse, rientra in te stesso, considera la posizione di prima, quell’iniziale e vedrai la differenza. Del resto come può il credente ritornare a Dio se prima non si rende effettivamente conto della sua condizione? Il figlio prodigo, non si sarebbe mai deciso a ritornare dal padre per confessare i suoi peccati, se prima non si fosse reso conto d’aver peccato! Ciò accadde nel momento in cui rientrò in sé. Dunque l’appello a “ricordarsi la caduta”, altro non indica che la sincera riflessione che deve essere fatta davanti a Dio per scoprire se stessi e così confessare, a se stessi e a Dio il proprio peccato. I credenti devono ricordarsi o meglio riconoscere davanti a Dio il proprio peccato.
§ “Ravvediti...”. Alla riflessione sincera, deve seguire una decisione per Cristo. La conversione è un’inversione a U. Il ravvedimento è l’invito a lasciare quelle cose che erano state abbandonate e successivamente riprese.
Così come il figlio prodigo “rientrò in sé”, la Chiesa di Efeso deve “ricordarsi”, ma così come il figlio prodigo decise di intraprendere la strada del ritorno a casa del padre, la Chiesa di Efeso deve ravvedersi. Dio nel Suo grande ed eterno amore, offre ad Efeso e a tutti quei credenti che hanno perduto il loro “primo amore”, la possibilità di rimediare al loro primo errore ritornando sui propri passi. La grazia di Dio è offerta a tutti coloro che si ravvedono, cioè a quelli che “pentiti sinceramente del peccato commesso, decidono per fede di servire il Signore con tutto il cuore”. Il ravvedimento è un dietro front al peccato che implica:
· La convinzione di peccato.
· La contrizione per il peccato.
· La confessione del peccato.
· La conversione dal peccato.
- “Compi le opere di prima”, in altre parole, “torna ad operare come facevi al principio”. C’è un richiamo forte ad operare come prima, non per un mero formalismo religioso, non per filantropia, ma per amore e con amore. Non basta dire che siamo mancanti, bisogna agire e cambiare. Forse l'apparenza di quello che facciamo è simile a quella iniziale, ma la qualità é diversa. Il Signore non vuole abitudini, né tradizioni, Egli vuole “il cuore” (Proverbi 23:26).
Al figlio prodigo non bastò rendersi conto di aver fame, non bastò sentirsi preso da una gran nostalgia per il padre. Il suo ravvedimento fu completo solo quando si pose in cammino verso casa e continuò, finché non senti l'abbraccio e il bacio del padre. Era questo l'effetto che il ricordo di giorni migliori avrebbe dovuto produrre in quella Chiesa.
Forse anche tu hai perduto un po' dell'ardore di una volta; forse anche il cuore tuo si é un po' raffreddato. Allora, torna a Dio e compi le opere di prima.
- “Altrimenti verrò presto da te e rimuoverò il tuo candelabro...”. Sarai “esonerato, licenziato”! Che desolazione essere cristiani, ma nello stesso tempo essere “messi da parte”! Quanti hanno fatto questa fine.
Gesù è il Salvatore di colui che si ravvede ed è sicuramente il giusto giudice di chi rifiuta la Sua grazia. La Parola di Dio afferma e ci avverte che il giudizio comincia dalla casa di Dio: “Infatti è giunto il tempo in cui il giudizio deve cominciare dalla casa di Dio; e se comincia prima da noi, quale sarà la fine di quelli che non ubbidiscono al vangelo di Dio? E se il giusto è salvato a stento, dove finiranno l'empio e il peccatore”? (1Pietro 4:17,18).
Rimuovere il candelabro, implica la perdita della stessa “essenza” della Chiesa, cioè la sua identità di Chiesa del Signore. Se Dio ritira il Suo Spirito e la Sua presenza dalla Chiesa, cosa ne rimane?
Quando il popolo del Signore o la Comunità che Dio ha chiamato, non assolve più il suo compito di testimonianza di fedeltà a tutto l’Evangelo, Dio può “rimuovere il candelabro” e metterlo in un altro posto. La storia lo dimostra. Quanti grandi movimenti di risveglio si sono arenati a motivo della “mondanizzazione” e della caduta dalla posizione e dal ruolo per cui Dio li aveva chiamati?
Il movimento pentecostale è caratterizzato da un ritorno alla semplicità della fede, all’annuncio dell’Evangelo, al battesimo nello Spirito Santo, alle conversioni (e non adesioni), alla santificazione. Perdere queste peculiarità significa cadere nella trappola dei moderni Nicolaiti del nostro tempo e vedere il “candelabro rimosso”.
La Bibbia afferma che, come Giudice Gesù Cristo premierà i credenti secondo le opere che avranno fatte, perciò è necessario fare molta attenzione. Dopo la morte seguirà il giudizio per coloro che avranno rifiutato l’amore di Dio. Per questi ci sarà la morte eterna, cioè l’eterna separazione da Dio e non certo l’annientamento. C’è una grande responsabilità che grava su di noi. Gesù ci chiama a santità. Perciò bisogna fare molta attenzione. Il mondo ha mille metodi per entrare nella Chiesa e seminare il terribile seme dei Nicolaiti. I credenti sono chiamati a lottare fino alla fine: “Carissimi, avendo un gran desiderio di scrivervi della nostra comune salvezza, mi sono trovato costretto a farlo per esortarvi a combattere strenuamente per la fede, che è stata trasmessa ai santi una volta per sempre” (Giuda 3).
La Chiesa di Efeso è chiamata a prendere posizione e ad “ascoltare la voce di ciò che lo Spirito dice alle Chiese”; ascoltare il consiglio di Cristo per essere credenti vittoriosi e ricevere il premio, oppure rifiutare l’appello del Signore dando ascolto allo spirito di questo mondo ed incorrere nel giusto giudizio di Dio.
Efeso non raccolse la sfida ed é per questa ragione che questa testimonianza non esiste più. Qui nacque nel 5° secolo il culto idolatra e antibiblico di Maria Madre di Dio, proprio per contrapporlo al culto della grande dea Diana degli Efesini. Infine la città stessa fu distrutta dagli eserciti Maomettani e oggi il suo luogo è solo un ammasso di rovine, non resta nulla, salvo un sito di capanne del villaggio di Aiosoluk. Efeso non raccolse la sfida. Questo é vero di tante testimonianze un tempo fiorenti, poi finite senza seguito. Lo stesso dicasi di tante persone: “Voi siete il sale della terra; ma, se il sale diventa insipido, con che lo si salerà? Non è più buono a nulla se non a essere gettato via e calpestato dagli uomini” (Matteo 5:13).
Efeso è un avvertimento solenne sul quale dobbiamo riflettere. Dio non parla invano. Bisogna vivere nell’amore e con zelo: “Soltanto desideriamo che ciascuno di voi dimostri sino alla fine il medesimo zelo per giungere alla pienezza della speranza, affinché non diventiate indolenti ma siate imitatori di quelli che per fede e pazienza ereditano le promesse” (Ebrei 6:11,12).
La promessa.
A conclusione di questa lettera viene rivolto un accorato invito ad ascoltare la voce di Dio anche perché Egli fa una bella promessa: “Chi ha orecchi ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese. A chi vince io darò da mangiare dell'albero della vita, che è nel paradiso di Dio” (Apocalisse 2:7). Questa missiva volge alla conclusione con queste parole: “Chi ha orecchi ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese”. Un invito che sarà ripetuto in tutte e sette le lettere a conferma della necessità di ascoltare la voce di Dio: “Poi mi disse: «Figlio d'uomo, ricevi nel tuo cuore tutte le parole che io ti dirò e ascoltale con le tue orecchie” (Ezechiele 3:10). È molto edificante considerare che non vi è nessuna condanna per coloro che ascoltano la voce dello Spirito Santo. La parola “a chi vince”, evoca una battaglia: “Rivestitevi della completa armatura di Dio, affinché possiate star saldi contro le insidie del diavolo; il nostro combattimento infatti non è contro sangue e carne ma contro i principati, contro le potenze, contro i dominatori di questo mondo di tenebre, contro le forze spirituali della malvagità, che sono nei luoghi celesti” (Efesini 6:11,12).
Al vincitore è promesso un premio per l’eternità: potrà «mangiare dell'albero della vita, che sta nel paradiso di Dio». In questo caso il paradiso indica la Nuova Gerusalemme, in cielo, che Dio ci ha promesso. L’albero della vita simboleggia l’immortalità, la vita eterna. Adamo, il primo uomo, perse a causa della sua disubbidienza il diritto di mangiare dell'albero della vita e, infatti, non ne mangiò. Ma ciò che andò perduto a causa del peccato é dato adesso a colui che vince ed in misura maggiore; poiché egli non mangia di un albero della vita che é sulla terra, come ai giorni di Adamo, ma dell'albero della vita che é «nel paradiso di Dio». Per poter mangiare dall'albero della vita, Adamo avrebbe dovuto rimanere nel suo stato iniziale d'innocenza; ora invece bisogna vincere. Il peccato é nel mondo, l'azione del male si trova ovunque, persino in mezzo alla Chiesa. Soltanto per mezzo della fedeltà, che si traduce in un'obbedienza assoluta alla Parola di Dio, mettendola al di sopra di ogni parola d'uomo, il singolo credente può essere vincitore: “In mezzo alla piazza della città e sulle due rive del fiume stava l'albero della vita. Esso dà dodici raccolti all'anno, porta il suo frutto ogni mese e le foglie dell'albero sono per la guarigione delle nazioni. Non ci sarà più nulla di maledetto. Nella città vi sarà il trono di Dio e dell'Agnello; i suoi servi lo serviranno, vedranno la sua faccia e porteranno il suo nome scritto sulla fronte… Beati quelli che lavano le loro vesti per aver diritto all'albero della vita e per entrare per le porte della città!” (Apocalisse 22:2-4,14).
È un premio per tutti coloro che vincono!
L’applicazione profetica:
“Il Cristianesimo nel tempo apostolico”.
Nella presentazione delle sette Chiese abbiamo affermato che questi messaggi riguardano in modo specifico le diverse “Chiese locali”, esistenti in quel tempo, ma abbiamo anche sostenuto che queste sette lettere indicano la storia della Chiesa dall’inizio fino alla fine. Chi crede in quest’applicazione ritiene che questa lettera descriva la “Chiesa apostolica”, già al suo tramonto. Come per la Chiesa di Efeso, le caratteristiche storiche dominanti di quell'epoca erano la dottrina apostolica, la condotta avveduta e la fatica zelante per il Signore, ma tuttavia anche l'incostanza del cuore. Quando l'amore per Cristo cominciò a declinare nei fedeli, tanto più essi presero a servirlo per un senso di semplice dovere. Secondo loro erano graditi a Dio in conformità a quanto essi avessero fatto per lui. Da questa falsa motivazione al legalismo non c'era che un passo.
Uno dei contrassegni più importanti di una fede vitale sta nella purezza delle motivazioni. Se ricordiamo quanto Cristo ci ha amato, non potremmo rispondergli altrimenti, se non ricambiando il Suo amore.
Conclusione.
Non solo bisogna servire il Signore fedelmente ma bisogna anche conservare il nostro amore intatto per Lui.