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 3. Terza lettera — Come si può disc

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girolamo
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070813
Messaggio3. Terza lettera — Come si può disc

3. Terza lettera — Come si può discernere la direzione dello Spirito nell’Assemblea. Segni negativi.

3. Terza lettera — Come si può disc Presen10


Diletti fratelli, vi sono due punti sui quali desidero farmi comprendere chiaramente, prima di trattare il soggetto speciale di questa lettera.

Primieramente, la differenza che esiste fra il ministerio e il culto. Adopero la parola culto nel suo senso più esteso, indicante cioè i diversi modi per cui l’uomo si rivolge a Dio; la preghiera, la confessione, e ciò che più propriamente è il culto, vale a dire, l’adorazione, l’azione di grazie e la lode. La differenza essenziale fra il ministerio e il culto, sta in questo: che nel culto l’uomo parla a Dio e nel ministerio Dio parla agli uomini per mezzo dei suoi servitori. Il nostro unico titolo, e del resto pienamente sufficiente per poter rendere culto, è quella sovrabbondante grazia di Dio, che ci ha talmente avvicinati a Lui per il sangue di Gesù, che ora noi conosciamo, ed adoriamo Dio come nostro Padre, e siamo re e sacerdoti a Dio. A questo riguardo, tutti i santi sono uguali: il più debole e il più forte, chi ha più esperienza e chi è ancora un piccolo fanciullo, hanno tutti la stessa parte a questo privilegio. Il servitore di Cristo più dotato non possiede maggior diritto ad avvicinarsi a Dio del più ignorante d’infra i santi fra cui esercita il suo ministero. Ammettere il contrario sarebbe agire come lo si è purtroppo fatto in tutta la cristianità, cioè istituire un ordine di sacerdoti fra la Chiesa e Dio. Noi abbiamo un gran Sommo Sacerdote. Il solo sacerdozio esistente attualmente a lato del suo, è quel sacerdozio condiviso ugualmente da tutti i santi. Così non posso supporre che, in un’assemblea di cristiani, quelli che Dio ha qualificato per insegnare, esortare, o predicare l’Evangelo, siano essi soli chiamati ad indicare degli inni, a pregare, a lodare Dio, a renderGli grazie.

Può darsi che Dio si serva d’altri fratelli, per indicare un inno che sia l’espressione vera dell’adorazione dell’assemblea; o per esprimere, in preghiere, i desideri reali ed i vari bisogni di quelli di cui professano essere l’organo o la bocca. E se Dio trova bene d’agire in questo modo, chi siamo noi per opporci alla sua volontà? Tuttavia ricordiamoci bene che, se questi atti di culto non possono essere il privilegio esclusivo di quelli che hanno dei doni, bisogna ch’essi siano subordinati alla direzione dello Spirito Santo: e sono tutti retti dai principi contenuti in 1 Corinzi 14, secondo cui ogni cosa dev’essere fatta con ordine e per l’edificazione.

Il ministerio (vale a dire il ministero della Parola, nel quale Dio parla agli uomini per mezzo dei suoi servitori) è il risultato del deposito speciale, nell’individuo, d’un dono o di doni, del cui uso egli è responsabile verso Cristo. Nel nostro diritto a rendere culto noi siamo tutti uguali; la responsabilità del ministerio deriva da ciò in che noi differiamo. «Avendo pertanto carismi (o doni) differenti secondo la grazia che ci è stata concessa...» (Romani 12:6). Questo passo stabilisce, da se stesso, la differenza di cui parlo, tra il ministerio e il culto.

Il secondo punto è la libertà del ministerio. Il pensiero scritturale di libertà del ministerio, non comprende soltanto la libertà nell’esercizio dei doni, ma anche per il loro sviluppo. Implica che noi riconosciamo nelle nostre assemblee la presenza e l’azione dello Spirito, a tal segno che non mettiamo ostacolo alcuno a quest’azione, per mezzo di chi Egli vuole; è dunque ben chiaro che il primo sviluppo d’un dono deve essere l’opera dello Spirito, che comincia ad agire per mezzo dei fratelli di cui dapprima non si serviva. Mi sembra che ogni principio contrario attenterebbe ai privilegi della Chiesa e ai diritti del Signore. Ma allora è evidente che, se i figli di Dio si radunano sopra un principio che lascia allo Spirito Santo la libertà d’agire per mezzo del tal fratello di indicare un cantico, per mezzo del tal altro di pregare, per un terzo di dare una parola d’esortazione o una dottrina, e se lo Spirito deve pure essere lasciato libero di sviluppare dei doni per l’edificazione del corpo, è evidente, dico, che ciò non può aver luogo senza, che sia data occasione alla precipitazione e alla propria volontà d’agire fuori della direzione dello Spirito. Da ciò l’importanza di sapere come si può distinguere fra quel che è della carne e quel che è dello Spirito.

Detesto l’abuso che troppo sovente si fa d’espressioni come «il ministerio della carne» e «il ministerio dello Spirito»; tuttavia esse racchiudono una verità molto importante, quando si adoperano giustamente. Ogni cristiano ha in sé due sorgenti di pensieri, di sentimenti, di motivi, di parole e di azioni, e queste due sorgenti sono chiamate nella Scrittura: «la carne» e «lo Spirito». La nostra azione nelle assemblee dei santi può derivare dall’una o dall’altra di queste sorgenti. È dunque di somma importanza di saperle distinguere bene; è importante per coloro che agiscono nelle assemblee, sia abitualmente, sia occasionalmente, di giudicarsi a questo riguardo; è cosa essenziale per tutti i santi, poiché siamo esortati a «provare gli spiriti»; e questo può talvolta porre l’assemblea sotto la responsabilità di riconoscere ciò che è a Dio, e di segnalare respingendolo, ciò che potrebbe procedere da un’altra sorgente.

Desidererei ora attirare la vostra attenzione sopra alcuni dei segni principali per cui possiamo distinguere la direzione dello Spirito dalle pretese e dalle contraffazioni della carne. E innanzi tutto vorrei menzionare parecchie cose che non sono per noi un’autorizzazione a partecipare alla direzione delle assemblee dei santi.

1° Non si è autorizzati ad agire, semplicemente perché vi è libertà d’agire. La cosa è talmente evidente che non è affatto necessario di dimostrarla; e tuttavia abbiam bisogno che ci venga ricordata. Il fatto che nessun ostacolo formale si oppone all’azione di ogni fratello nell’assemblea, dà la possibilità a coloro che hanno appena la capacità di saper leggere, di occupare una gran parte del tempo leggendo capitolo dopo capitolo e indicando inno dopo inno. Ogni fanciullo che sa leggere potrebbe fare altrettanto; e, in verità, pochi fratelli fra noi sarebbero incapaci di dirigere le assemblee, se si richiedesse soltanto la capacità di saper leggere bene dei capitoli e degli inni. È abbastanza facile di leggere un capitolo; ma è tutt’altra cosa di discernere quello che conviene leggere e il momento adatto per leggerlo. Non è neppur difficile d’indicare un inno; ma è impossibile d’indicarne uno che racchiuda ed esprima realmente l’adorazione dell’assemblea, senza la direzione dello Spirito Santo. Ve lo confesso, fratelli miei che qualche tempo fa (non ultimamente, grazie a Dio) dopo che si erano letti cinque o sei capitoli e cantato altrettanti cantici attorno alla tavola del Signore, e pregato o reso grazie forse soltanto una volta, io mi domandavo se eravamo stati radunati per annunziare la morte del Signore, ovvero per perfezionarci nella lettura e nel canto. Benedico Dio sinceramente dei progressi fatti d’allora a questo riguardo; tuttavia è bene che ci ricordiamo del continuo che la libertà d’agire nelle assemblee non ci autorizza ad agirvi a nostro piacimento.

2° Non si è sufficientemente autorizzati ad agire in tale o tal altro momento, perché nessun altro fratello lo fa. Il silenzio per se stesso può diventare una forma come qualsiasi altra; ma vale ancor meglio il silenzio piuttosto che dire o fare qualcosa semplicemente per romperlo. So bene quanto ci si senta a disagio pensando alle persone presenti che non sono dell’assemblea, e forse neppure convertite. Quando un tale stato di cose è frequente o è abituale, può darsi che sia un serio appello di Dio a ricercare donde ciò può provenire; però questo non può mai autorizzare un fratello a parlare, a pregare o ad indicare un inno, con l’unico scopo di fare qualche cosa.

3° Inoltre, le nostre esperienze e il nostro stato individuali, non sono delle guide sicure riguardo all’azione che possiamo avere nelle assemblee dei santi. Può darsi che un inno sia stato di grande dolcezza all’anima mia, o che l’abbia udito cantare altrove con un grande godimento della presenza del Signore; ma per ciò debbo forse concludere che io sia chiamato ad indicare quest’inno nella prima riunione a cui assisterò? Può darsi, ch’esso non sia affatto in rapporto con lo stato attuale dell’assemblea. Forse non sarebbe neppure l’intenzione dello Spirito se si cantasse un inno. «C’è tra di voi qualcuno che soffre? Preghi. C’è qualcuno d’animo lieto? Canti degli inni» (Giacomo 5:13). Un inno deve esprimere i sentimenti di quelli che sono radunati; altrimenti, cantandolo, essi non saranno sinceri. E chi potrà far trovare un tale inno se non Colui che conosce lo stato attuale dell’assemblea? E la stessa cosa è della preghiera: se alcuno prega nell’assemblea, è come l’organo delle richieste e dell’espressione dei bisogni di tutti. Potrei avere dei pesi miei particolari da gettare sul Signore, per mezzo della preghiera, che non converrebbe affatto menzionare nell’Assemblea. Se agissi in questo modo, non vi sarebbe probabilmente altro effetto che quello di abbassare tutti i miei fratelli allo stesso livello mio. D’altro lato, può accadere che l’anima mia sia perfettamente felice nel Signore; ma se l’assemblea non lo è, soltanto identificandomi col suo stato, sarò reso capace di presentare le sue richieste a Dio. Vale a dire che, se sono diretto dallo Spirito a pregare nell’assemblea, non dovrà essere come nella mia cameretta, ove non c’è altri che il Signore ed io, e dove i miei propri bisogni e le mie proprie gioie formano il soggetto speciale delle mie preghiere e delle mie azioni di grazie; ma bisognerà ch’io sia reso capace di fare al Signore le confessioni, e di presentargli i rendimenti di grazie e le richieste che s’accordano con lo stato di coloro di cui divento il portavoce, rivolgendomi così a Dio. Uno dei più grandi sbagli che possiamo fare, è quello di pensare che l’io e quel che si rapporta all’io, debba guidarci nel dirigere le assemblee dei santi. Una parte della Scrittura può avermi grandemente interessato, e posso averne approfittato; ma non ne segue ch’io debba leggerla alla tavola del Signore o in altre riunioni dei santi. Può darsi anche che un qualche soggetto particolare m’occupi o mi preoccupi, e che sia per il bene dell’anima mia; ma potrebbe anche non essere affatto il soggetto su cui Dio vuole che l’attenzione dei santi in generale sia attirata. Notate questo: io non nego che non possiamo essere stati occupati specialmente di soggetti di cui sarebbe la volontà del Signore che noi occupassimo anche i santi. Forse ne è sovente, od ordinariamente così nei servitori di Dio; ma ciò che non temo di affermare, è che, in se stesso, il fatto che siamo stati occupati in questo modo non è una direzione sufficiente. Possiamo avere dei bisogni che i figli di Dio in generale non hanno, e similmente i loro bisogni possono non essere i nostri.

Permettetemi d’aggiungere che lo Spirito non mi dirigerà mai ad indicare degli inni perché esprimono le mie vedute particolari. Può accadere che, su certi punti d’interpretazione, i santi che si radunano insieme non siano interamente dello stesso parere. In questo caso, se alcuni di loro scelgono degli inni allo scopo d’esprimere la loro propria opinione — per quanto buoni e veri siano d’altronde questi inni — è impossibile che gli altri membri dell’assemblea li cantino di cuore; e, invece d’armonia, ne risulta disaccordo. In una riunione di culto, gli inni che lo Spirito di Dio farà scegliere saranno l’espressione dei sentimenti comuni a tutti. In ogni tempo, ma in ogni caso nell’assemblea, studiamoci «di conservare l’unità dello Spirito con il vincolo della pace»; e ricordiamoci che il mezzo di pervenirvi è di camminare «con ogni umiltà e mansuetudine, con pazienza, sopportandovi gli uni gli altri con amore».

Lasciate ch’io vi rammenti qui che, nel canto, nella preghiera, nel culto in una parola, chiunque sia l’organo o il portavoce dell’assemblea, è l’assemblea che parla a Dio; per conseguenza il culto non sarà vero, sincero se non nella misura in cui non oltrepasserà, bensì esprimerà fedelmente lo stato di quest’assemblea. Benedetto sia Dio, che può, per mezzo del suo Spirito, fare udire una nota più alta (e lo fa sovente) che vibra immediatamente in tutti i cuori, e dà così al culto ,un tono più elevato. Ma se l’assemblea non è in stato di rispondere subito a questo diapason di lode, nulla è più penoso che d’udire un fratello esprimere ardenti espressioni di azioni di grazie e d’adorazione, mentre gli altri cuori sono tristi, freddi e distratti. Chi esprime il culto dell’assemblea deve avere con sé i cuori dell’assemblea; altrimenti non si è nel vero. D’altro lato, poiché è Dio che ci parla nel ministerio, questo non è, come il culto, limitato dal nostro stato; può sempre essere ad un grado più elevato. Se un fratello adoperato nel ministerio parla realmente, come l’oracolo di Dio, ci presenterà sovente delle verità che non abbiamo ancora ricevute, o ce ne ricorderà altre che han cessato d’agire con potenza sulle nostre anime. Quanto è evidente che in tutti i casi, bisogna che lo Spirito di Dio sia quel che dirige!

Sarà bene ch’io lasci per un’altra lettera ciò che distingue la direzione positiva dello Spirito. Fin qui non ho presentato che la parte negativa di questo soggetto.

Rimango, diletti fratelli, il vostro affezionato in Cristo.



William Trotter
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