L’abbandono di Cristo sulla croce
William Joseph Lowe
È come Dio o come uomo che
Cristo è stato abbandonato, quando sulla croce ha gridato: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» (Matteo 27:46; Salmo 22:1). Nel Salmo 22:6, Egli dice: «Ma io sono un verme e non un uomo».
È evidente, secondo le Scritture, che il Signore Gesù
Cristo «spogliò sé stesso, prendendo forma di servo, divenendo simile agli uomini; trovato esteriormente come un uomo, umiliò sé stesso» (Filippesi 2:7-8; Ebrei 2:9). La morte è entrata nel mondo per mezzo di un uomo che ha peccato, e la risurrezione dei morti è stata introdotto da un uomo, Gesù
Cristo, che è chiamato «il secondo uomo» (1 Corinzi 15:21, 47). Non si può risuscitare se non si è passati per la morte. Abbiamo dunque qui una testimonianza molto chiara, riguardo all’umanità di
Cristo riguardo alla morte, e ve ne sono altri esempi in Romani 8:3.
Ma, d’altra parte, bisogna non perdere di vista la divinità del Signore. Era la Parola «fatta carne» che ha abitato un tempo tra noi e «la Parola era Dio» (1 Giovanni 1:1, 14). Diventando uomo, non ha eliminato la Sua divinità. «Prima che Abraamo fosse, io sono» Egli disse e i Giudei compresero molto bene che con queste parole Egli affermava la propria divinità nel modo più evidente, al punto che presero delle pietre per lapidarLo (pensavano avesse bestemmiato). Accadde la stessa cosa, quando disse: «Io e il Padre siamo uno» (Giovanni 8:58,59; 10:30, 31, 33).
È impossibile separare in
Cristo l’umanità e la divinità. Nella Sua natura, era Dio ed è anche diventato uomo quando entrò in questo mondo. Comprendiamo dunque che nella Sua morte, Egli possa essere visto sotto diversi aspetti, come vediamo nei quattro vangeli. Nei primi due, Matteo e Marco, ci viene mostrato «abbandonato» sulla croce. Perché lì si vuole evidenziare l’espiazione. In Matteo,
Cristo è presentato come «figlio di Davide, figlio di Abraamo» (Matteo 1:1), di conseguenza viene considerata soprattutto la Sua umanità.
Ma in Marco, Egli è «il Figlio di Dio» (Marco 1:1), il perfetto servo di Dio, il Figlio amatissimo in cui trovava il piacere (v. 11). Troviamo dunque soprattutto la Sua divinità e troviamo dunque anche una risposta alla domanda.
Le Scritture sono ancora più esplicite su questo punto: Matteo e Marco, i due solo evangelisti che riferiscono le parole di
Cristo: «Perché mi hai abbandonato?» sono anche i soli che danno la testimonianza del centurione riguardo alla morte di Gesù: «Veramente, costui era Figlio di Dio» (Matteo 27:51, Marco 15:39). Inoltre Marco sottolinea il fatto con quest’espressione: «Veramente, quest’uomo era Figlio di Dio!» evidenziando molto chiaramente che la morte del Signore era un atto deliberato, e non l’effetto dell’asservimento della nostra razza decaduta al peccato e alla morte. Il Signore aveva preso volontariamente su Lui i nostri peccati, perciò rese lo spirito al Padre di Sua volontà; lasciò la vita da solo (Marco 15:37-39; paragonare con Giovanni 10:17-18) «Gesù, emesso un gran grido, rese lo spirito.» Questo fatto colpì talmente il centurione da fargli dire «Quest’uomo era il Figlio di Dio!»
Infine non dimentichiamo che la redenzione ottenuta dal Signore era una «redenzione eterna», infinita nel suo valore. Era necessario un sacrificio all’altezza di questa redenzione, quello dell’Agnello di Dio, preconosciuto fin dalla fondazione del mondo (1 Pietro 1:18-20). Tramite il Suo sangue, il Figlio di Dio si è acquistato la Chiesa (Atti 20:28): così la vita e l’incorruttibilità hanno potuto essere messe in luce nel Vangelo (2 Timoteo 1:10).
L’espressione: «Ma io sono un verme e non un uomo» mostra il profondo grado di abbassamento a cui il Signore della gloria ha voluto sottoporsi.