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 La 2a epistola di Paolo a Timoteo u

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MessaggioLa 2a epistola di Paolo a Timoteo u

La 2a epistola di Paolo a Timoteo ultima parte
La 2a epistola di Paolo a Timoteo u Presen10
Henri Rossier
3. Capitolo 3
3.1 Corruzione estrema degli ultimi tempi

Vers. 1-5. — «Or sappi questo: negli ultimi giorni verranno tempi difficili; perché gli uomini saranno egoisti, amanti del denaro, vanagloriosi, superbi, bestemmiatori, ribelli ai genitori, ingrati, irreligiosi, insensibili, sleali, calunniatori, intemperanti, spietati, senza amore per il bene, traditori, sconsiderati, orgogliosi, amanti del piacere anziché di Dio, aventi l'apparenza della pietà, mentre ne hanno rinnegato la potenza. Anche da costoro allontànati!».

Come Timoteo era stato avvertito nella prima epistola (4:1) dell'apostasia degli ultimi tempi, è adesso avvertito in questo capitolo della rovina morale che caratterizza i giorni della fine. Questi tempi difficili non sono ancora lo sconvolgimento e il crollo finale di cui parlano i profeti e che farà posto al regno di giustizia e di pace del Cristo, ma è lo stato morale che avranno, alla fine, quelli che portano il nome di Cristo, e professano ora di appartenergli. Oggi ci incombe, più che a Timoteo, di non chiudere gli occhi sullo scompiglio che sta preparandosi. Molti secoli sono trascorsi da allora. Se chiudiamo gli occhi corriamo il rischio di dire «pace e sicurezza» e portare come Lot le conseguenze dell'infedeltà generale.

La professione del cristianesimo degenererà sempre più, in modo da produrre l'orribile quadro dello stato morale del paganesimo antico da cui era uscita la Chiesa cristiana (vedere Romani 1). Ecco perché l'apostolo non definisce nemmeno più «cristiani» quelle persone, ma «uomini».

È una cosa molto seria quando è Dio che fa l'elenco di ciò che il cuore dell'uomo contiene e di quello che ne esce! Vi sono molte di queste liste diverse nella Scrittura (Matteo 15:19; Marco 7:21; Galati 5:19; Colossesi 3:5-9, 1 Timoteo 1:9; Tito 3:3), ma è raro di incontrarne quando si tratta delle manifestazioni dello Spirito nel cuore dei cristiani (vedere Galati 5:22-23; Colossesi 3:12-15!). Nel passo che ci occupa, abbiamo soprattutto il riscontro di Romani 1:24-31, dove la condizione morale del paganesimo è descritta in tal modo da far arrossire i più incalliti. Ma nel nostro passo in cui l'apostolo descrive lo stato degli uomini che professano il cristianesimo in tempi difficili si trova, cosa orribile, che questo stato è ancora peggiore che fra i pagani, ed eccone il perché: essi hanno «l'apparenza della pietà» me ne hanno rinnegata «la potenza». Questo termine «l'apparenza» o «la forma» (morfosis) si trova anche in Romani 2:20 dove è tradotto con «formula». È piuttosto il potere formativo della pietà. Costoro posseggono la verità, potenza per la quale la pietà è formata.

Quando la casa che è la Chiesa di Dio vivente è in ordine, vi si trova un segreto per produrre la pietà (1 Timoteo 3:15-16). Questo segreto è la conoscenza della verità, della verità che si trova interamente nella rivelazione della persona di Cristo, che è la potenza della pietà. Ma qui vi sono persone che posseggono «la forma della pietà», o piuttosto la sua formula; la verità sanno qual è; portano il nome di Cristo; ma che ne fanno? Si servono forse di questa conoscenza per vivere nella separazione dal male e rendere a Cristo una testimonianza fedele? Costoro non solo ignorano la potenza della verità, non solo non ne fanno uso, ma hanno rinnegato la sua potenza; negano che possa produrre la separazione dal male. Era lo stesso, benché ad un grado molto minore, dei pagani (in Romani 1:18-20); possedevano la verità del Dio creatore, «pur vivendo nell'iniquità». Nella casa di Dio il segreto della pietà era professato, conosciuto e realizzato; qui è conosciuto questo segreto che si riassume nella rivelazione della persona di Cristo, ma è rinnegato e non gli si attribuisce la potenza di produrre la pietà!

Riprendendo questo elenco, che dal punto di vista numerico è paragonabile a quello di Romani 1, si è colpiti dall'aggravante che c'è in quanto il cristianesimo è conosciuto e praticato esteriormente, lasciando quindi le anime senza alcuna scusa. In Romani 1, i pagani con la loro coscienza naturale conoscevano il bene e il male. La giusta sentenza di Dio non era loro dunque sconosciuta: sapevano che «quelli che fanno tali cose sono degni di morte», e le loro proprie leggi testimoniavano contro a loro, poiché pronunciavano un giudizio, almeno parziale, su coloro che commettevano quelle cose. Ma nel nostro passo c'è qualcosa di più della voce della coscienza per condannare il falso professante del cristianesimo; vi è la conoscenza della grazia di Dio e dei rapporti che essa stabilisce fra Dio e l'uomo; vi è lo sprezzo dei rapporti del Padre con il Figlio di cui si porta il nome; vi è l'abbandono di ogni impegno a mantenere queste relazioni condannando il vecchio uomo e ciò che da lui proviene; vi è un'esistenza volontariamente asservita a tutti gli elementi della vecchia natura peccatrice a cui molti si abbandonano, completamente indifferenti al giudizio di Dio che costoro subiranno quando sarà troppo tardi!

Considerando questo elenco vi troviamo un raggruppamento delle caratteristiche del cristiano solo di nome, che si dà a tutto ciò che caratterizza il vecchio uomo, mentre il cristiano vero lo considera come crocifisso con Cristo. In primo luogo l'egoismo, vizio capitale dell'uomo senza Dio, che non avendo trovato, come il credente, un centro d'affetto al di fuori di sé (in Cristo), fa di se stesso il centro. Dall'egoismo esce l'avarizia che accumula dei beni per sé; la vanagloria che esalta l'io a detrimento degli altri; l'orgoglio che si eleva al disopra del prossimo. Ne derivano l'insubordinazione e la disubbidienza verso coloro che Dio ha stabilito perché siano onorati, comandamento al quale è aggiunta una «promessa», per sottolinearne l'importanza; l'ingratitudine verso coloro a cui dobbiamo riconoscenza; il disprezzo delle relazioni familiari; il rigettamento, infine, delle affezioni naturali che si trovano a volte persino nei bruti, senza intelligenza, ma che mancano in queste persone. Ecco allora lo spirito di vendetta, che perseguita il prossimo, senza tener conto degli impegni da cui si è vincolati; la calunnia che è usata per rovinare il prossimo; il rifiuto di esercitare un qualche controllo sulle proprie passioni. Da ciò la crudeltà che bandisce ogni sentimento di compassione, e si compiace senza motivo a far soffrire; il tradimento che si riveste di un'apparente condiscendenza per ingannare più facilmente la vittima, per abbandonarla ai suoi nemici; la temerarietà, la presunzione di saper affrontare pericoli inutili per essere esaltati agli occhi degli altri. E le voluttà che si impadroniscono dell'essere umano facendogli abbandonare persino il favore di Dio, allo scopo di godere momentaneamente delle delizie del peccato. Tutto si compendia, come abbiamo visto, in quella cosa orribile che è «l'apparenza della pietà».

Timoteo è esortato a allontanarsi da costoro. In loro non c'era nulla che potesse avere attrazione per il fedele; nulla a cui il vero cristiano potesse associarsi per piacere a Dio, o che potesse tentare di migliorare: il male era definitivo. Costoro non sono corrotti a metà, ma in loro tutto è dell'uomo vecchio; tutto è già giudicato e condannato senza rimedio. Un simile stato di cose non è forse il cristianesimo rovesciato?Nel cap. 1 vers. 15, l'apostolo era solo; tutti l'abbandonano; qui Timoteo, solo, deve schivare tutti quelli. Ma Dio gli farà dei compagni con cui invocare il Signore. Questo non vuol dire che il cristiano debba vivere da eremita nella cristianità professante, ma che deve tenersi separato da coloro che mettono in pratica simili principi e li insegnano.

Dio voglia disporre che noi tutti abbiamo questo a cuore. Non che dobbiamo isolarci in mezzo ad una professione che sfocerà nell'apostasia finale; no di certo; ma poiché troveremo fino alla venuta del Signore quelli che lo invocano di cuore puro, dobbiamo unirci a loro, avendo rotto ogni relazione con una professione senza vita, con quello spirito che, di fatto, rinnega la verità cristiana.

***

Vers. 6-7. — «Poiché nel numero di costoro ci sono quelli che si insinuano nelle case e circuiscono donnette cariche di peccati, agitate da varie passioni, le quali cercano sempre d'imparare e non possono mai giungere alla conoscenza della verità».

L'apostolo nota qui una classe speciale di professanti da cui bisogna distogliersi. Sono quelli che esercitano delle funzioni ecclesiastiche; la loro immunità clericale li mette in condizione di introdursi nelle case, di «volgere in dissolutezza la grazia del nostro Dio» (Giuda 4), cercando di convincere delle donne senza carattere, cariche di peccati, e trascinate lontano dalle vie di Dio da varie concupiscenze, di cui queste persone si servono come esca per attirarle a sé. Vediamo dove porta la mancanza del timore di Dio: alla corruzione morale. L'apostolo aggiunge, alla descrizione di queste donne impure, che esse «cercano sempre d'imparare e non possono mai giungere alla conoscenza della verità». Ciò che è ancora peggio della corruzione è pretendere di interessarsi delle cose di Dio e poi farsi istruire da tali conduttori! Mai la conoscenza della verità può uscire dagli insegnamenti sospetti di questa gente. L'anima rimane sterile, la verità resta completamente nascosta. Credendo di imparare qualcosa, queste donne ignoravano quale fosse il loro vero stato dinanzi a Dio, e correvano ad occhi chiusi verso l'abisso. Ignoravano Dio stesso, pur con la pretesa di imparare a conoscerlo.

***

Vers. 8-9. — «E come Iannè e Iambrè si opposero a Mosè, così anche costoro si oppongono alla verità: uomini dalla mente corrotta, che non hanno dato buona prova quanto alla fede. Ma non andranno più oltre, perché la loro stoltezza sarà manifesta a tutti, come fu quella di quegli uomini».

La Parola, descrivendo questi uomini corrotti della fine, non si limita a presentarci dei dottori che si servono del loro insegnamento per favorire la corruzione morale nelle donne e soddisfare così le loro proprie passioni carnali; un'altra corruzione li caratterizza: quella della mente. La loro intelligenza è pervertita; sono dottori immorali, ma anche nemici della verità, alla quale resistono; e le resistono «copiandola», e ciò è il colmo dell'iniquità. Si atteggiano a profeti e conduttori come Mosè, e pretendendo, come un tempo i maghi di Faraone (Esodo 7:8-13 e 20-22; 8:5-7), di avere la sua stessa potenza miracolosa, usano, per accreditare se stessi, una potenza occulta di menzogna che colpisce le persone estranee alla vita di Dio. Si rivestono così dell'abito del profeta per «opporsi alla verità» e renderla senza effetto sulle anime. Questa è, riguardo all'insegnamento, la seconda grande astuzia di Satana in questa epistola. Al capitolo 2:18 si trattava di dottrine che sovvertivano la fede spogliando il credente della prospettiva celeste e abbassandolo al godimento della vita terrena. Qui c'è un'aperta opposizione alla verità, con una mescolanza della potenza menzognera di Satana con la potenza di Dio. L'avversario imita la forma esteriore delle cose divine. Nell'opera dei maghi manca completamente la vera potenza. Essi poterono cambiare le loro verghe in serpenti, ma quella di Mosè li inghiottì; cambiarono l'acqua in sangue, fecero salire le rane sul paese d'Egitto, ma non ebbero poi la potenza per toglierle. Inoltre, non riuscirono a produrre né zanzare né mosche velenose. Quando si trattò di creare la benché minima cosa, furono assolutamente impotenti. Allora dissero: «Questo è il dito di Dio» (Esodo 8:19), e tutta la loro attività si arrestò. Questi uomini sono «riprovati quanto alla fede» (versione Nuova Diodati); non v'è alcuna speranza per loro. Dio li rigetta. Sono perduti, corrotti di costumi, corrotti di mente, avversari della verità.

Ma l'apostolo dice: «Non andranno più oltre». È ciò che accadde ai maghi dell'Egitto. Dovettero riconoscere il dito di Dio, ma era troppo tardi. E come la loro follia fu manifesta a tutti, per l'incapacità di creare o di far cessare le piaghe, sarà lo stesso di questi falsi dottori corrotti: verrà il momento in cui la loro impostura sarà conosciuta e manifesta agli occhi di tutti.
3.2 La risorsa divina è la Scrittura

Vers. 10-13. — «Tu invece hai seguito da vicino il mio insegnamento, la mia condotta, i miei propositi, la mia fede, la mia pazienza, il mio amore, la mia costanza, le mie persecuzioni, le mie sofferenze, quello che mi accadde ad Antiochia, a Iconio e a Listra. Sai quali persecuzioni ho sopportate; e il Signore mi ha liberato da tutte. Del resto, tutti quelli che vogliono vivere piamente in Cristo Gesù saranno perseguitati. Ma gli uomini malvagi e gli impostori andranno di male in peggio, ingannando gli altri ed essendo ingannati»

Dopo aver fatto questo quadro oscuro del male, l'apostolo si rivolge al fedele Timoteo. «Ma tu,... tu invece», gli dice; egli ripete tre volte questa parola (cap. 3:10-14; 4:5). L'apostolo fa così risaltare il contrasto fra il vero discepolo e quei riprovati. Che felice condizione è quella di un fedele testimone come Timoteo! Dio stesso gli rende testimonianza, per bocca dell'apostolo, che egli ha pienamente capito ciò che gli è stato insegnato e ha seguito l'esempio di Paolo. Ed eccoci di nuovo in presenza di una lista, lista di una vita secondo Dio, d'un servizio e di una testimonianza che gli sono graditi. Percorriamo la lista precedente per distogliercene con orrore, e guardiamo a questa, per imitarla fedelmente: «Tu hai tenuto dietro» (Diodati: «hai ben compresa» — Vedere anche 1 Timoteo 4:6, dove la stessa parola è tradotta: «imparata» nelle Nuova Riveduta). Che bella ed incoraggiante testimonianza è resa a Timoteo! Egli aveva seguito da presso, capito e tenuto dietro a ciò che l'apostolo aveva insegnato, e anche alla condotta di Paolo che illustrava questo insegnamento.

Ma qual era il suo insegnamento, la «sua dottrina»? Come in Galati 2:20, era la fine del vecchio uomo e una vita nuova in Cristo. È particolarmente di questa dottrina che egli parla qui, offrendo un contrasto assoluto con tutto ciò che precede in questo capitolo. Da questo insegnamento conseguiva una condotta. Egli viveva nel giudizio completo del vecchio uomo e nella potenza del nuovo uomo. Il suo scopo era di vivere Cristo e di raggiungerlo. La sua fede s'elevava al di sopra delle difficoltà, la sua pazienza (o meglio: la sua perseveranza, Colossesi 1:2), gliele faceva attraversare con coraggio e sopportare; il suo amore dominava tutto e lo spingeva nel servizio dell'evangelo perché era l'amore di Cristo. Ma c'era qualcosa di più, di cui tutta questa epistola ci dà una testimonianza. L'apostolo aveva attraversato delle persecuzioni e delle sofferenze di ogni sorta, e in quelle sofferenze per l'evangelo aveva mostrato la costanza (o la pazienza) che sopporta ogni cosa. Ad Antiochia di Pisidia, lui e Barnaba avevano subito le persecuzione (Atti 13:50); ad Iconio, poco mancò che fossero lapidati, avendo Giudei e pagani contro di loro (Atti 14); a Listra, Paolo era stato realmente lapidato (Atti 14:19)... Alla fine della sua carriera rivede le sue prime tappe, tristi ricordi per gli altri, ma benedetti ricordi per lui perché, fin dai primi passi del suo ministero presso i pagani, aveva sofferto per Cristo senza interruzione, e il Signore lo aveva liberato da tutte quelle prove. Se non gli era mancato l'aiuto al principio, gli mancherà ora, alla fine? Ecco qual era la risorsa dell'apostolo. In questa certezza trionfante stava il segreto della sua forza. Non s'aspettava nulla da sé, nulla dalle circostanze, nulla dagli uomini. L'onnipotenza del Signore, in grazia, gli bastava. Del resto, «tutti quelli che vogliono vivere piamente in Cristo Gesù saranno perseguitati» (vers. 12).

La vera pietà, in contrasto con la forma di pietà del versetto 5, s'attacca al Signore Gesù. È impossibile che questa vera pietà eviti lo sprezzo e l'odio del mondo, e possiamo sovente domandarci con umiliazione se a questo ci espone abitualmente la nostra testimonianza.

Gli uomini descritti al principio di questo capitolo come «malvagi e impostori» andranno di male in peggio. L'apostolo li ha mostrati come seduttori e sedotti essi stessi, come opposti al bene e progredendo in questa opposizione mescolata di inganni. Il male crescerà di più in più in questi due sensi, fino alla vigilia del giudizio. È lo stesso al capitolo 2:16: i discorsi vani e profani conducono sempre più avanti nell'empietà. Tale è il risultato della mancanza di pietà nella vita dell'uomo; si peggiora sempre. Mentre la vera pietà che ha trovato il suo tutto nel Signore, non incontra che persecuzioni, ma riceve anche in questo mondo molto più di tutto di ciò che ha perduto per Lui, e nel secolo futuro la vita eterna (Marco 10:28-30).

***

Vers. 14 e 15. — «Tu, invece, persevera nelle cose che hai imparate e di cui hai acquistato la certezza, sapendo da chi le hai imparate, e che fin da bambino hai avuto conoscenza delle sacre Scritture, le quali possono darti la sapienza che conduce alla salvezza mediante la fede in Cristo Gesù».

Al versetto 10, Paolo incoraggiava Timoteo esprimendogli la sua soddisfazione nel vedere che egli aveva seguito esattamente l'esempio che l'apostolo gli aveva dato. Che gioia e che consolazione vedere il suo caro figlio percorrere lo stesso sentiero di fedeltà, d'abnegazione, di sofferenza, di testimonianza. Qui, al versetto 14, l'apostolo esorta Timoteo a perseverare e dimorare nelle cose che ha imparate, mentre i malvagi vanno di male in peggio. Quando si tratta della verità divina, non vi è da raggiungere nessuno sviluppo; essa resta immutabile. Possiamo crescere nella sua conoscenza, ma essa stessa ha un carattere eterno; a noi basta «dimorare» in essa. Timoteo aveva già imparato queste cose davanti a molti testimoni ed era capace di insegnarle ad altri (in contrasto con quelli che «imparano sempre») poiché era stato pienamente convinto di quelle cose sapendo da «chi le aveva imparate». Questo è di grande importanza. Timoteo le aveva ricevute direttamente dalla bocca dell'apostolo ispirato; e noi pure le riceviamo direttamente dagli scritti ispirati di questo stesso apostolo. Non è che Dio non ci insegni per mezzo dei suoi servitori, sebbene non ispirati, ma dobbiamo controllare il loro insegnamento con la Parola stessa; se non lo facciamo, diventiamo facilmente preda di dottrine errate che eviteremo se invece di mettere la nostra fiducia nell'uomo che ce le presenta le passiamo al vaglio della Parola.

Dio non solo aveva avuto cura di mettere Timoteo in rapporto col portatore ispirato della sua Parola, ma lo aveva, fin dall'infanzia, nutrito delle «sacre Scritture» (Giovanni 7:15). Queste sacre Scritture sono tutto il contenuto dell'Antico Testamento. Come ci è insegnato nei Proverbi (4:1-9), egli poteva attingervi la sapienza «a salvezza», cioè essere preservato, salvato degli innumerevoli tranelli messi sui passi del credente, in questi tempi pericolosi della fine. Ma occorre che le cose imparate nella Parola siano state ricevute per la fede. Cristo è l'oggetto della pietà (vers. 12) come è l'oggetto della fede (vers. 15). Quest'ultimo versetto si basa sull'Antico Testamento (così come un bambino può leggere) e afferma che esso è sufficiente per rendere «savio a salvezza» chi vi entra in contatto per la fede che è in Cristo Gesù.

***

Vers. 16 e 17. — «Ogni Scrittura è ispirata da Dio e utile a insegnare, a riprendere, a correggere, a educare alla giustizia, perché l'uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona».

Vi sono molti mezzi adoperati da Dio, come l'educazione cristiana, il contatto coi suoi servitori, la conoscenza delle sacre lettere, cioè della Bibbia, per preparare fin dall'infanzia l'uomo di Dio al suo servizio; ma la risorsa suprema per tutta la sua vita, e sempre più fondamentale man mano che la decadenza e la rovina si aggravano, è la Scrittura, tutta la Scrittura. Timoteo aveva afferrato per fede la verità che ha Cristo per oggetto. Le Scritture che contengono questa verità potevano fornirgli tutti gli elementi per il suo ministero rendendolo compiuto per ogni buona opera.

Notate che il termine adoperato qui non è la «la Parola», ma la Scrittura. Questa osservazione riduce al nulla l'idea razionalista che la Parola di Dio sia «contenuta» nella Scrittura e che ciò che è ispirato sia la Parola, non la Scrittura. Nella Bibbia questo termine «la Scrittura», (o «le Scritture»), ha lo stesso significato, lo stesso valore, lo stesso senso, la stessa potenza, la stessa ispirazione divina di «la Parola», o «la Parola di Dio». Leggete Romani 3:10; 4:3; 10:11; Luca 24:27,45,46; Giovanni 5:47; 6:45; 10:35; 2 Pietro 3:16. Quest'ultimo passo, come quello che esaminiamo adesso, considera specialmente le Scritture dal punto di vista della completa rivelazione del Nuovo Testamento. Paolo stesso qualifica i suoi propri scritti come Scritture profetiche (Romani 16:26).

Al versetto 16, l'apostolo incomincia dunque con lo stabilire l'ispirazione divina di ogni Scrittura, e abbiamo visto ciò che la Parola stessa intende dire con questo vocabolo. L'apostolo non ci presenta qui il compito della Scrittura ispirata per portare la luce divina nell'anima, per convincere di peccato, per far conoscere la salvezza a dei peccatori perduti; essa mette in risalto la risorsa suprema e assoluta che la Scrittura offre all'«uomo di Dio», in un tempo in cui la Chiesa, la Casa di Dio, è in rovina, affinché egli sia perfettamente compiuto per glorificare Dio in tutto il suo cammino.

Vediamo in dettaglio quel che ci è presentato in questo passo. Prima di tutto non c'è una sola parte della Scrittura (ogni) che non sia utile. Poi essa è utile:

   ad insegnare, vale a dire a stabilire la dottrina nella mente di colui che è messo in rapporto con la Parola;
   a riprendere, cioè a parlare alla coscienza, a colpirla, in modo che il credente abbia una base ferma per i suoi rapporti con Dio;
   a correggere: la Scrittura esercita una disciplina educatrice, come ci è mostrato nei Proverbi;
   ad educare alla giustizia. Troviamo di nuovo qui il grande soggetto dei Proverbi. Si tratta di farci conoscere e seguire un sentiero da cui il peccato sia escluso, un cammino al riparo da cadute, e caratterizzato dalla giustizia pratica quaggiù.

Nell'ultimo versetto troviamo le conseguenze dell'insegnamento delle Scritture per l'uomo di Dio, vale a dire per il credente chiamato a rappresentare Dio in questo mondo (*): egli sarà completo «e ben preparato per ogni opera buona». Prima di applicarli agli altri, l'uomo di Dio comincia ad applicarli a se stesso gli insegnamenti della Parola; è una verità capitale per l'esercizio del suo ministero. Senza questa applicazione individuale nessun risultato può essere ottenuto. La Parola ci forma perché noi siamo dei modelli, le manifestazioni viventi (1 Timoteo 1:16) dei suoi risultati, quando siamo chiamati ad esercitare il ministero.

_____________________
(*) Vedere lo studio sulla Prima Epistola a Timoteo cap. 6 vers. 11.
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Tale è la suprema risorsa nei tempi difficili, e notiamolo, è con essa che questa lettera finisce propriamente. L'ultimo capitolo svilupperà ancora le forme di male in quelli che avrebbero dovuto assistere l'apostolo, le esortazioni a Timoteo di mantenersi testimone fedele, il modo in cui Paolo considera la fine della propria testimonianza, ma non ci parlerà più di risorse poiché egli ha stabilito la risorsa suprema nei versetti 16 e 17 di questo capitolo.
4. Capitolo 4
4.1 Supplica di Paolo: Timoteo deve insegnare la sana dottrina, come l'apostolo l'aveva fatto sino alla fine

Vers. 1-2. — «Ti scongiuro, davanti a Dio e a Cristo Gesù che deve giudicare i vivi e i morti, per la sua apparizione e il suo regno: predica la parola, insisti in ogni occasione favorevole e sfavorevole, convinci, rimprovera, esorta con ogni tipo di insegnamento e pazienza (Nuova Diodati: esorta con ogni pazienza e dottrina».

Questo scongiuro ci dimostra quanto stia a cuore all'apostolo il soggetto che tratta. È la parte culminante delle esortazioni rivolte a Timoteo; nessun'altra è importante come questa. Lo scongiuro è fatto in presenza di Dio e di Gesù Cristo, e contiene il pensiero dell'immensa solennità di questa pazienza. Il Signore ci è qui presentato sotto due aspetti:

   Come Giudice, giudicherà vivi e morti. Questo prossimo giudizio è il motivo urgente della supplica di Paolo. Infatti, dalla formazione della Chiesa, il Signore ha comandato ai suoi discepoli di «annunziare al popolo e di testimoniare che egli è colui che è stato da Dio costituito giudice dei vivi e dei morti» (Atti 10:42).
   Come distributore di ricompense ai suoi servitori, l'apostolo ce lo mostra qui al tempo della sua apparizione e del suo regno (tornerà su questo argomento al versetto Cool. È soprattutto la ricompensa dei suoi servitori alla sua apparizione, che occupa qui il pensiero di Paolo. Quando Egli regnerà, tutti i suoi nemici saranno stati messi sotto i suoi piedi, e non sarà più necessario combattere per l'evangelo, poiché la vittoria sarà prima riportata da Cristo su tutto ciò che si è opposto ai suoi disegni di grazia (1 Corinzi 15:25).

Per cosa l'apostolo scongiura Timoteo? Mentre, al capitolo 3:14, Timoteo era esortato a «dimorare» (o «perseverare») nelle cose imparate, qui è scongiurato a predicarle ad annunziarle fuori. Timoteo aveva cominciato col ricevere queste verità per se stesso. E siccome ora il vaso era colmo, e a questo scopo era stato riempito, doveva vuotarsi a profitto degli altri. Il tempo stringeva, la venuta del Signore era vicina. Occorreva insistere a tempo e fuori di tempo, senza aspettare come in Efesini 5:16 e Colossesi 4:5, delle occasioni per afferrarla. Bisognava riprendere (1 Timoteo 5:20), toccare la coscienza, provocare il pentimento in quelli che, fino allora, erano stati indifferenti. Occorreva sgridare quelli che s'erano lasciati trascinare dalla corrente del mondo. Bisognava esortare quelli che si perdevano di coraggio o diventavano timidi in presenza del traboccare del male. Questo lavoro esigeva grande pazienza, dolcezza ed anche fermezza, unico mezzo per convincere senza sollevare opposizioni. Timoteo doveva inoltre appoggiarsi esclusivamente sulla dottrina, contenuta in quella Scrittura ispirata di cui l'apostolo aveva parlato.

***

Vers. 3-4. — «Infatti verrà il tempo che non sopporteranno più la sana dottrina, ma, per prurito di udire, si cercheranno maestri in gran numero secondo le proprie voglie, e distoglieranno le orecchie dalla verità e si volgeranno alle favole».

L'ora era solenne, il tempo stringeva, poiché stava per giungere un'epoca in cui le anime non avrebbero più sopportato il sano insegnamento della Parola di Dio (1:13), in cui ogni predicazione sarebbe risultata senza alcun effetto. Inoltre, si sarebbero accumulati dei dottori secondo le loro proprie concupiscenze andando dietro alle immaginazioni dei loro cuori. Al capitolo 2:18 erano i falsi dottori che trascinavano quelle persone dietro i loro errori mortali; qui sono essi stessi che, facendo un passo di più nel male, vogliono quei dottori, li scelgono, se li stabiliscono secondo le concupiscenze dei loro propri cuori. Di conseguenza, le loro orecchie non avrebbero più potuto sopportare la verità, dal momento che questa non ha più nessun gusto per loro, e si sarebbero volti a delle favole di invenzione umana (poiché bisogna pur credere a qualche cosa), le quali avrebbero sostituito la Scrittura. Come potremmo disconoscere che oggi quell'epoca non è più futura, ma è già venuta?

***

Vers. 5. — «Ma tu sii vigilante in ogni cosa, sopporta le sofferenze, svolgi il compito di evangelista, adempi fedelmente il tuo servizio».

In contrasto con questa gente, Timoteo doveva manifestare tutti i caratteri di un vero testimone, da cui le parole: «Ma tu», che abbiamo già incontrato con la stessa intenzione al capitolo 3:10 e 14.

«Sii vigilante in ogni cosa». Questa epistola ci ha già mostrato più di una volta che tale è la parte di un cristiano fedele, in un tempo in cui la casa di Dio è diventata una gran casa contenente gli elementi più disparati. I pericoli che corrono i figli di Dio in mezzo a questo stato di cose, l'indifferenza crescente verso la verità, la defezione di coloro sulla cui fedeltà si era creduto di poter contare, le calunnie destinate a rovinare moralmente i veri testimoni, gli assalti contro la Parola di Dio, lo stato delle chiese trascinate nella corrente del mondo... tante erano le cause di sofferenza per l'apostolo; e dovrebbero esserlo per noi che siamo giunti alla fine dei secoli. Timoteo è esortato a sopportare queste afflizioni. Non lo aveva forse fatto il Signore? E l'apostolo non aveva forse seguito fedelmente questo divino modello? (1:8,12; 2:2,9,12; 3:11; 4:5).

«Svolgi il compito di evangelista». Non dobbiamo concludere che non era propriamente il dono di Timoteo, ma l'evangelizzazione doveva essere menzionata, anche se la funzione assegnata a Timoteo era di condurre la casa di Dio. Lo stato di questa casa esigeva che la predicazione rivestisse il carattere dell'evangelizzazione. Vi era in quell'ambiente un gran numero di anime, oggi sono la maggior parte, del tutto estranee alla grazia e che dovevano essere condotte a Cristo per mezzo dell'evangelo. Occorreva convincere quelli che del cristianesimo avevano solo più una professione senza vita.

«Adempi fedelmente il tuo servizio». Vedremo (v. 7) che l'apostolo l'aveva compiuto; e desiderava che il suo figlio nella fede facesse lo stesso. Non dobbiamo forse noi pure prendere a cuore quest'esortazione, noi che siamo così vicini al tempo in cui non sarà più possibile a quei professanti tornare indietro, poiché un accecamento mandato da Dio come castigo impedirà loro di prevedere la rovina improvvisa che cadrà loro addosso. In quel tempo, sarà detto: «Chi è ingiusto continui a praticare l'ingiustizia» (Apocalisse 22:11).

***

Vers. 6-8. — «Quanto a me, io sto per essere offerto in libazione, e il tempo della mia partenza è giunto. Ho combattuto il buon combattimento, ho finito la corsa, ho conservato la fede. Ormai mi è riservata la corona di giustizia che il Signore, il giusto giudice, mi assegnerà in quel giorno; e non solo a me, ma anche a tutti quelli che avranno amato la sua apparizione».

Al momento della sua dipartita, l'apostolo ripassa tutta la sua carriera. La riassume in tre punti:

   «Ho combattuto il buon combattimento». Non si tratta qui della vittoria da riportare sul Nemico, come in Efesini 6 e in tanti altri passi, ma del combattimento di cui gli angeli e gli uomini sono spettatori. È il combattimento dell'atleta del capitolo 2:5; il buon combattimento della fede e per la fede di 1 Timoteo 1:18 e 6:12, Giuda 3, 1 Corinzi 9:25. Si trattava di dimostrare a tutti che cosa fosse la fede che ci porta alla vittoria finale sul mondo, superando tutti gli ostacoli. È lo stesso combattimento di Filippesi 1:16-30, la difesa dell'evangelo che i Filippesi avevano sostenuta.
   «Ho finito la corsa». La nostra corsa ha un gran nuvolo di testimoni; ci circondano e l'hanno essi stessi terminata (Ebrei 12:1). Era ciò che l'apostolo desiderava per sé parlando agli anziani di Efeso (Atti 20:24), e ciò che egli realizza qui. Era giunto al termine della carriera, toccando già con la mano la vita eterna (afferrandola, come è detto in 1 Timoteo 6:12).
   «Ho conservato la fede»; si trattava del «buon deposito» che era stato affidato a Timoteo (1 Timoteo 6:20) e che l'apostolo esorta a serbare, e di cui poteva dire che egli stesso aveva serbato. La «fede» è l'insieme delle verità benedette affidate al fedele, e di cui nessuna doveva essere abbandonata, né trascurata. Quanto è importante oggi «conservare la fede»!

Così tutta la vita cristiana — di cui i giochi olimpici erano il simbolo — la lotta per la fede, la corsa della fede, la difesa della fede, era stata adempiuta fedelmente dall'apostolo fino al termine della sua carriera.

Ed ora che tutto ciò era terminato, vi era ancora davanti a lui la corona di giustizia, riserbata a tutti quelli che come lui conserveranno la fede. Questa corona è incorruttibile (1 Corinzi 9:24-26). È il giusto giudice che la dà, Colui il cui carattere è la giustizia. Egli presiederà alla cerimonia e distribuirà le ricompense «in quel giorno», giorno dell'apparizione del Signore che l'apostolo attendeva (2 Timoteo 1:12, 18; 2 Tessalonicesi 1:10). La venuta (parousia) del Signore in grazia per rapire i suoi non manifesterà la fedeltà dei servitori; è alla sua apparizione che sarà messo in piena luce e ricompensato ciò che essi avranno fatto e sofferto per lui. Allora l'apostolo non sarà solo. Tutti quelli che desiderano essere approvati dal Signore, dopo aver riportato la vittoria, tutti quelli che non temono di affrontare le difficoltà purché alla distribuzione dei premi il Signore esprima loro la sua soddisfazione, tutti questi amano la sua apparizione. Per loro, lo scopo del combattimento e il movente della corsa non è la ricompensa, ma la gloria e la soddisfazione di Colui che ha ordinato tutto questo.

Qui termina il soggetto principale di questa epistola che potrebbe esser così intitolata: Le diverse responsabilità e le risorse del fedele in mezzo alle rovine della cristianità professante.
4.2 L'apostolo chiamo Timoteo a sé. Notizie personali e saluti

Vers. 9-13. — «Cerca di venir presto da me, perché Dema, avendo amato questo mondo, mi ha lasciato e se n'è andato a Tessalonica. Crescente è andato in Galazia, Tito in Dalmazia. Solo Luca è con me. Prendi Marco e conducilo con te; poiché mi è molto utile per il ministero. Tichico l'ho mandato a Efeso. Quando verrai porta il mantello che ho lasciato a Troas da Carpo, e i libri, specialmente le pergamene».

Torniamo ora alle circostanze dell'apostolo, che ci rappresentano chiaramente l'ultima fase della Chiesa responsabile, mostrata in succinto e vista in anticipo, come profeticamente, negli ultimi avvenimenti della vita di Paolo.

Se tutti quelli dell'Asia si erano allontanati da lui al momento della sua cattura e della sua seconda carcerazione, quanto gli era ancor più doloroso vedersi abbandonato da Dema, suo collaboratore nell'opera (Colossesi 4:14; Filemone 24) insieme a Luca che resta ora l'unico suo compagno. Ma ecco la causa di quell'abbandono: Dema aveva amato il presente secolo, cioè questo mondo. Forse ambiva nel mondo qualche posizione che le sue relazioni con Paolo avrebbero potuto compromettere; non sappiamo, ma è certo che, abbandonando l'apostolo, egli era in assoluta contraddizione con lo scopo dell'opera di Cristo per i suoi (Galati 1:4). Dema aveva lasciato Roma all'epoca di questo ultimo imprigionamento di Paolo e se n'era andato a Tessalonica. La persecuzione menzionata in 2 Tessalonicesi era allora senza dubbio cessata. Quali erano i motivi di Crescente e di Tito? Una cosa sembra certa, che non era stato l'apostolo a mandarli, come per Tichico (vers. 12). Questi motivi non ci sono noti; forse erano in rapporto con l'opera del Signore. È ciò che si può arguire dal silenzio di Paolo; ma per noi una seria lezione scaturisce da questi fatti. Possiamo avere validi motivi che ci spingono, per ciò che riguarda la nostra attività cristiana; ma diffidiamo dei motivi che ci fanno evitare il pericolo e delle difficoltà quando si tratta dell'opera. Non era forse di prima necessità, un motivo prevalente su tutti gli altri, stare al fianco dell'apostolo davanti al tribunale? Non era forse la stessa cosa per i discepoli al tempo della condanna del loro Signore? Si possono avere dei motivi molto plausibili d'attività nell'opera e tuttavia non essere all'altezza di una reale devozione per Cristo. L'atteggiamento di Maria, che non la metteva affatto in rilievo, era superiore a quello di Marta; eppure, chi avrebbe potuto dire che Marta non dovesse servire il Signore in quel modo?

«Solo Luca è con me». Dal giorno in cui aveva unito la sua sorte a quella dell'apostolo (Atti 16:10), sembra che Luca non l'abbia più lasciato; servizio disinteressato, dimostrato dal fatto che Luca non parla mai di se stesso, mentre è l'apostolo che parla di lui (Colossesi 4:14; Filemone 24). Quanto la defezione di Dema sarà stata dolorosa anche per Luca! Ma con che onore fu ricompensata la sua fedeltà quando a lui, che non era un apostolo, fu affidata la redazione ispirata di due dei libri principali del Nuovo Testamento: un'Evangelo e gli Atti degli apostoli!

«Prendi Marco e conducilo con te; poiché mi è molto utile per il ministero». Che commovente raccomandazione! Marco, un tempo trascinato da Barnaba lontano dall'apostolo, è di nuovo richiamato dall'apostolo stesso. Ed ora, riabilitato e ristorato, ritrova pubblicamente la comunione con Paolo e di conseguenza col Signore (Atti 15:35-38). Ma già i Colossesi avevano ricevuto ordini a suo riguardo che lo riabilitavano presso l'assemblea (Colossesi 4:10). Anche questo fatto ci dà un ammaestramento molto utile. Un atto, giudicato da tutti e che getta una luce sfavorevole sopra un fratello, non deve portare un giudizio durevole sul suo carattere. Paolo ce ne dà la prova nel modo in cui apprezza Marco. La sua attitudine al servizio non era stata messa in discussione dal fatto che questo servizio era stato prima disatteso.

C'erano delle partenze che non potevano incorrere in alcuna disapprovazione: quella di Tichico, per esempio. Se l'apostolo lo aveva mandato ad Efeso, era per i bisogni di un servizio approvato dal Signore. Tichico entra in scena dopo il tumulto di Efeso (Atti 20:4); è della provincia d'Asia, fratello diletto, fedele servitore, mandato dall'apostolo per confortare l'assemblea di Efeso, dove Paolo aveva tanto sofferto (Efesini 6:21-22); fu mandato pure ai Colossesi (4:7-9) per consolare i loro cuori; e ancora mandato dall'apostolo in (Tito 3:12). Tichico era dunque un fratello particolarmente dotato per portare dei fedeli messaggi, per incoraggiare, per raffermare. Potremmo chiamarlo il consolatore delle assemblee. Preziosa funzione, soprattutto in un tempo di declino!

Come in tutte le altre «Scritture», l'apostolo era ispirato anche quando parlava del suo mantello, dei libri, delle pergamene. Questa semplicità è molto notevole in uno scritto come questo. Egli aveva bisogno di tutelarsi dal freddo, e questo ci dice qualcosa del rigore della sua seconda prigionia; gli occorrevano un materiale durevole per scrivere; «i libri», erano delle porzioni della Parola (Daniele 9:2). Le circostanze della sua vita di ogni giorno erano così dirette dallo Spirito Santo.

***

Vers. 14-18. — «Alessandro, il ramaio, mi ha procurato molti mali. Il Signore gli renderà secondo le sue opere. Guàrdati anche tu da lui, perché egli si è opposto violentemente alle nostre parole. Nella mia prima difesa nessuno si è trovato al mio fianco, ma tutti mi hanno abbandonato; ciò non venga loro imputato! Il Signore però mi ha assistito e mi ha reso forte, affinché per mezzo mio il messaggio fosse proclamato e lo ascoltassero tutti i pagani; e sono stato liberato dalle fauci del leone. Il Signore mi libererà da ogni azione malvagia e mi salverà nel suo regno celeste. A lui sia la gloria nei secoli dei secoli. Amen».

È possibile, benché non sia affatto provato, che questo Alessandro, il fabbro di rame, sia quello menzionato in 1 Timoteo 1:20 insieme a Imeneo per aver pronunziato delle bestemmie. La sua grande malvagità verso l'apostolo potrebbe derivare dal fatto che questi l'aveva «consegnato a Satana», e anche a causa della sentenza finale e terribile da lui pronunciata: «Il Signore gli renderà secondo le sue opere», poiché quell'uomo non s'era pentito. Timoteo è pure esortato a guardarsi da lui perché aveva grandemente contrastato alle parole di Paolo, che erano «la parola della predicazione», di cui egli dice che era veramente la Parola di Dio (1 Tessalonicesi 2:13). Se questi due Alessandro sono un unico personaggio il passo acquista una particolare solennità. Altri pensano, ma è meno probabile, che questo Alessandro sia quello di Atti 19:33.

Paolo, liberato all'inizio della sua prima prigionia, poi ripreso, ricondotto a Roma e imprigionato, era comparso davanti al tribunale per una prima difesa nella quale nessuno gli era stato vicino, ma tutti lo avevano abbandonato. Non era forse accaduto lo stesso al suo Signore e Maestro? (vedere Matteo 26:56; Marco 14:50). E quale contrasto con l'inizio della carriera di Gesù, quando i suoi discepoli avevano lasciato ogni cosa per seguirlo (Luca 5:11)!

L'abbandono in cui l'apostolo fu lasciato ci addolora, ma mi domando se quello del Signore ci commuove nella stessa misura; sarà così solo se realizziamo la perfezione della sua umanità, della sua santità e del suo amore divino. Quanto a Paolo, così simile al suo Salvatore, nessuno era stato al suo fianco per difendere la sua causa, per rendersi garante del suo carattere, delle sue intenzioni, della sua condotta. Ma che contrasto fra quel che domanda per i suoi fratelli, tanto codardi nella loro condotta, e ciò che proferisce contro Alessandro! «Ciò non venga loro imputato!» Paolo intercede per loro, come fece il Signore per il popolo, come fece Stefano per quelli che lo lapidavano. Non è questo il trionfo della grazia?

Nondimeno, in questa prima difesa Paolo non era solo. «Il Signore però mi ha assistito (Nuova Diodati: mi è stato vicino) e mi ha reso forte», egli dice. Se il suo cuore soffriva di essere umanamente solo, la sua forza aumentava perché il Signore, sorgente di ogni misericordia e di ogni forza, era con lui. «Beati quelli che trovano in te la loro forza... lungo il cammino aumenta la loro forza» (Salmo 84:5,7). Il Signore adempiva i suoi disegni di grazia fino alla fine e onorava il suo apostolo facendo di lui lo strumento di questi disegni. Il «messaggio era proclamato» (o meglio, secondo la Nuova Diodati: «la predicazione era portata a compimento») per mezzo suo. Egli era d'esempio al suo caro Timoteo, al quale aveva detto: «Adempi fedelmente il tuo servizio» (v. 5). Non restava ormai più nulla da aggiungere alla sua predicazione. Migliaia d'altri l'avrebbero ripresa, dopo la sua morte, ma non v'era più alcun soggetto nuovo da presentare; tutto quello che venne aggiunto più tardi, non soltanto non ha alcun valore, ma è in opposizione col pensiero di Dio (ovviamente non facciamo qui allusione agli scritti che compongono il Nuovo Testamento la cui stesura non era ancora completa al tempo della 2a epistola a Timoteo). Occorreva inoltre, come il Signore aveva detto al suo servitore, che tutte le nazioni udissero la predicazione del Vangelo (Atti 26:17-18).

L'apostolo aggiunge: «E sono stato liberato dalle fauci del leone». Il leone ruggente che si aggirava attorno a lui fu questa volta ridotto al silenzio, per tornare subito dopo a compiere la sua opera micidiale sul corpo dell'apostolo diletto che seguiva così, sino alla fine, le orme del suo Maestro (Salmo 22:21); ma Satana non poté impedire nemmeno per un solo istante che la predicazione fosse pienamente compiuta.

Questo ritorno del Nemico, di cui la Parola non ci parla, non aveva alcuna influenza sulla fiducia e sulla gioia trionfante dell'apostolo. Egli sapeva che, se il Signore non lo liberava dal martirio, lo avrebbe liberato sino alla fine «da ogni azione malvagia» e lo avrebbe salvato nel suo regno celeste. In tal modo la sua attività glorificò Dio sino all'ultimo momento, e se egli fu tolto da questo mondo, lo fu per godere eternamente del regno celeste (*) che il Signore avrebbe stabilito alla sua apparizione con tutti i santi. «A lui sia la gloria nei secoli dei secoli. Amen!» dice l'apostolo pensando alla gloria futura di Cristo per il cui regno sarà conservato.

_____________________
(*) Il «regno celeste» si riferisce alla parte celeste del millennio, come anche Ebrei 12:28 che parla di un «regno che non può essere scosso», ovvero è immutabile, eterno (n.d.t.).
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***

Vers. 19-22. — «Saluta Prisca e Aquila e la famiglia di Onesiforo. Erasto è rimasto a Corinto; Trofimo l'ho lasciato ammalato a Mileto. Cerca di venire prima dell'inverno. Ti salutano Eubulo, Pudente, Lino, Claudia e tutti i fratelli. Il Signore sia con il tuo spirito. La grazia sia con voi».

Timoteo doveva salutare Prisca (o Priscilla) ed Aquila. Questi cari compagni dell'apostolo erano ritornati ad Efeso, dove Timoteo poteva vederli, cacciati da Roma da qualche nuovo editto (Atti 18:1-3,26; 1 Corinzi 16:19; Romani 16:3; 2 Timoteo 4:19). Sembra che Onesiforo non fosse ritornato nella sua famiglia. Erasto, quando Paolo fu nuovamente preso, rimase a Corinto, ma non è per questo biasimato. Paolo aveva lasciato Trofimo (Atti 20:4; 21:29) malato a Mileto, e questo comprova che la seconda epistola a Timoteo è stata scritta dopo la prima prigionia di Paolo e al tempo di una sua seconda carcerazione. Questo fatto mostra pure che la potenza miracolosa degli apostoli era esercitata al servizio del Signore e non per i loro interessi particolari. La raccomandazione di venire prima dell'inverno è commovente e fa pensare al mantello lasciato in Troade. Eubulo, Pudente, Lino e Claudia sono nominati solo qui. Tutto quello che è stato detto sul loro conto da molti commentatori non merita di essere preso in considerazione.

«La grazia sia con voi».
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