Giosue Capitolo 2: Rahab
Henri Rossier
Nella seconda parte del cap. 1 abbiamo visto due classi di persone chiamate ad attraversare il Giordano per entrare nel paese della promessa, figura dei luoghi celesti: il popolo, e le due tribù e mezzo il cui carattere morale non è all’altezza della loro vocazione, ma che prendono parte al combattimento per assicurare ad Israele il possesso della sua eredità.
Rahab e la sua casa ci presentano una terza classe di persone: i Gentili che per la fede condividono, con l’antico popolo di Dio, il godimento delle promesse. Rahab la meretrice era una pagana; apparteneva per nascita a quella vasta classe di cui parla l’epistola agli Efesini: «Voi, Gentili di nascita (cioè pagani) chiamati i non circoncisi da quelli che si dicono i circoncisi perché tali sono, per mano d’uomo, in quel tempo eravate senza Cristo, esclusi dalla cittadinanza d’Israele, ed estranei ai patti della promessa, non avendo speranza ed essendo senza Dio nel mondo». Inoltre Rahab era una persona degradata fra i Gentili stessi.
Ma la parola di Dio giunge al suo orecchio: «Noi abbiamo udito», dice alle spie. Era una parola che stabiliva la grazia e la liberazione per gli Israeliti, il giudizio per loro. La fede in questa parola la pone immediatamente, nella sua coscienza, sotto il peso del giudizio: «Non appena l’abbiamo udito, il nostro cuore si è strutto» (v. 11).
Come il suo popolo, essa è piena di paura; ma mentre il popolo aveva perduto ogni coraggio, questo timore in lei era il principio della sapienza, poiché era il timore dell’Eterno. Il timore la fa guardare a Dio e immediatamente essa acquista la certezza («io so», v. 9) che questo Dio è un Dio di grazia per il suo popolo nel quale cercherà rifugio. La fede non è l’immaginazione umana che ama illudersi e vede le cose sotto la luce che le piace. Non è la mente umana che architetta le sue conclusioni su delle possibilità o delle probabilità; dice semplicemente «io so», perché ha udito quel che l’Eterno ha detto.
Rahab guarda a Dio. È sotto la minaccia del giudizio, ma vede che Dio s’interessa del suo popolo. E dice fra sé: affinché Dio mi sia propizio, bisogna ch’io sia con questo popolo. Così, quando le spie si presentano, Rahab, per la fede, le riceve «in pace» (Ebrei 11:31); e mentre «il mondo» le cerca ovunque per sbarazzarsi della testimonianza di Dio, essa le stima e le mette al sicuro, poiché sono per lei il mezzo adoperato da Dio per farla sfuggire al futuro giudizio. Non solo Rahab crede al Dio d’Israele, ma come disse qualcuno, s’identifica coll’Israele di Dio.
La sua fede riceve una risposta immediata. Ella non ha bisogno, per acquistarne la certezza, di vedere Gerico circondata dall’esercito dell’Eterno; non sarebbe fede, che è certezza di cose che si sperano e convinzione di cose che non si vedono.
Notate quanto la risposta è completa e degna di Dio. Ella aveva detto: «Giuratemi... che ci preserverete dalla morte». I messaggeri rispondono: «Siamo pronti a dare la nostra vita per voi». La sua fede trova in altri (come noi in Cristo) il garante per sostituzione che la morte non la colpirà.
Non è tutto. Un cordone di filo scarlatto, simbolo della morte d’un essere senza apparenza e che avrebbe poi detto: «Io sono un verme e non un uomo», le basta come pegno e garanzia. Come il sangue dell’agnello pasquale messo sulla porta della casa allontanava il giudizio dell’angelo distruttore, così il cordone scarlatto sospeso alla finestra d’una casa che «era sulle mura», garantirà la casa e tutti coloro che vi si trovano, quando le mura crolleranno al suono delle trombe dell’Eterno.
Ancora un punto: I garanti della salvaguardia di Rahab sono dei testimoni viventi.
È lo stesso per noi: Cristo è il testimone vivente davanti a Dio dell’efficacia perfetta, in redenzione, del suo sangue versato alla croce per noi. «Non mediante il sangue di becchi e di vitelli, ma mediante il proprio sangue, è entrato una volta per sempre nel santuario, avendo acquistata una redenzione eterna».
Caro lettore, che bella fede è quella di Rahab! Non aspetta, secondo la raccomandazione delle spie, che il popolo sia entrato nel paese (v. 18), per legare il cordone alla finestra; appena son partiti, ella si affretta a metterlo, testimoniando così di aver creduto. La sua fede non tarda, parla ormai ad alta voce; dalla sua finestra proclama Cristo, e l’efficacia della sua opera per salvare la più miserabile delle peccatrici.
Infine, Rahab non è soltanto un esempio di fede, ma anche un esempio delle opere della fede. «Parimente, Rahab, la meretrice, non fu anch’ella gustificata per le opere quando accolse i messi e li mandò via per un altro cammino?» (Giacomo 2:25). È impossibile che vi sia fede senza le opere. Vi sono opere morte, che non sono il prodotto della fede e vi è una fede morta, che non produce opere. Ma le opere di Rahab non possono essere che il frutto della fede. Offrire il proprio figlio in olocausto come fece Abrahamo, agire come Rahab, spezzare un vaso prezioso per versare un profumo di gran prezzo, sono degli atti che il senso umano riprova, e di cui il mondo biasima e punirebbe gli autori; ma ciò che li rende approvati da Dio è che la fede ne è il movente, una fede disposta a sacrificare tutto per Dio e ad abbandonare tutto per il suo popolo.
Così Rahab ha avuto la sua ricompensa: un posto d’onore le è riserbato nel numero di coloro che, fra il popolo terreno di Dio, formano il lignaggio del Messia (Matteo 1:5).