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Henri Rossier
Capitolo 6: Gerico

Il popolo è finalmente giunto in presenza dell’ostacolo terribile che gli era stato posto davanti per impedirgli di prendere possesso di Canaan (Numeri 13:28).

Nulla il nemico odia di più che vederci entrare nei nostri privilegi e prendere una posizione celeste. Sa benissimo che gli esseri celesti gli sfuggono e gli rapiscono i suoi beni. Così il suo primo sforzo è di porre ostacolo alla nostra avanzata. Troviamo questo nella storia di ogni credente. Non dico che accada sempre al tempo della conversione, ma capita spesso quando si tratta di entrare nel sentiero del combattimento per realizzare la nostra vocazione celeste. Il primo oggetto che incontriamo è l’ostacolo frapposto da Satana, una fortezza in apparenza inespugnabile. Impossibile entrarvi, impossibile uscirne (v. 1). Tutto ciò è tale da spaventarci e farci tornare indietro; ed è proprio lo scopo dell’avversario, che vi riesce, purtroppo, sovente. Nessuno di noi, dico, può evitare d’incontrare un giorno o l’altro la sua «fortezza di Gerico». Non è necessario enumerare le difficoltà di ogni anima perché sono molto diverse; ma si riassumono tutte in questa parola: l’ostacolo. Se avanzo, che accadrà? Perderò la mia posizione, la mia carriera sarà compromessa, i miei amici m’abbandoneranno, i miei parenti non lo sopporteranno mai; dovrò lasciare tutti quelli che amo, separarmi da cristiani fra cui ho trovato della benedizione. Tale è l’aspetto frequente che le alte mura di Gerico rivestono per l’anima. Quanti cristiani perdono coraggio prima di combattere, e se ne tornano indietro!

Ma l’anima preparata da Dio non indietreggia dinanzi alle difficoltà. Sa di possedere un mezzo per vincerle e se ne serve. Mezzo semplicissimo, mezzo unico, poiché non ve n’è altri: la fede. «Per fede caddero le mura di Gerico, dopo essere state circuite per sette giorni» (Ebrei 11:30). La fede è la semplice fiducia in un altro, nel Signore; ed è anche l’assenza completa di fiducia in se stesso, poiché queste due cose sono inseparabili. La fede basta per far cadere l’ostacolo. Che importa se le mura s’innalzano fino al cielo? Che cosa sono esse per la fede? La fede conta sulla potenza di Dio. È questo il primo grande carattere della fede. «Affinché la vostra fede fosse fondata non sulla sapienza degli uomini, ma sulla potenza di Dio» (1 Corinzi 2:5). La cosa necessaria per il combattimento è una potenza assolutamente divina; essa sola può abbattere l’ostacolo; su essa unicamente la fede riposa.

Vedete ora come questa potenza, quando fa appello alla fede, è gelosa di non lasciar sussistere nulla che possa aver l’apparenza della sapienza umana. La scelta delle armi o dei mezzi di combattimento non è loro data dal capo dell’esercito dell’Eterno che parla con Giosuè. Non hanno nessun piano da fare, non hanno da consultarsi per trovare i mezzi per riportare la vittoria. Dio stesso ha ordinato ogni cosa. Ora, la fede si sottomette all’ordine stabilito da Dio, si serve dei mezzi ch’Egli indica e non ne inventa. Occorrono delle società, dei comitati, dei sinodi, del denaro, si dice. È all’uomo che servono tutte queste cose; ma alla fede non abbisogna niente di tutto ciò. Dio ha dei mezzi propri.

Ma perché non semplifica Egli la via? Perché tutte queste complicazioni? Perché circuire ogni giorno la città, e per sette volte il settimo giorno? Perché questo corteo e l’arca e le trombe? Cari lettori, la fede non domanda perché; non ragiona sui mezzi di Dio ma li accetta e riporta la vittoria invece d’essere battuta dal nemico. Fu lo stesso alla Pasqua, fu lo stesso al mar Rosso. La fede è dunque stupida? No, ma prima si sottomette e in seguito comprende. La fede vi dirà il perché dei sette giorni, dell’arca, del corteo, delle trombe e delle grida d’acclamazione; ma ve lo dirà dopo essersi sottomessa. Se volesse comprendere prima di sottomettersi, sarebbe l’intelligenza e non la fede.

Ma ancora, la fede avanza nella dipendenza da Dio che dice: «Io do in tua mano Gerico, il suo re e i suoi prodi guerrieri». Poi è messa alla prova. Ci vuole della pazienza; il popolo deve camminare così per sei giorni. Bisogna in seguito che la pazienza abbia la sua opera compiuta (vedere Giacomo 1:4): «Il settimo giorno, farete il giro della città sette volte».

Notate poi altri caratteri benedetti di questa fede di gran prezzo. Essa ci associa a Cristo, ci dà parte e comunione con Lui. Dio dispone il suo popolo attorno all’arca nel combattimento. Non è più, come al Giordano, l’arca che precede il popolo, ma qui gli uomini armati precedono l’arca con i sacerdoti; e la retroguardia chiude la marcia. Però quest’associazione con Cristo non ha mai per scopo né per risultato d’esaltare l’uomo o dargli dell’importanza; essa esalta Cristo e lo mette avanti. L’arca stessa formava il corpo d’esercito propriamente detto, il centro indispensabile, la forza di resistenza; e il popolo attorno ad essa lo proclamava altamente. Senza l’arca non vi sarebbe stato né combattimento né vittoria.

La fede rende sempre testimonianza a Cristo. «I sette sacerdoti che portavano le sette trombe squillanti davanti all’arca dell’Eterno sonavano le trombe». Era una testimonianza perfetta resa alla potenza dell’arca in presenza del nemico.

La fede è zelante per esaltare Cristo e rendergli testimonianza, zelante per il servizio che è nello stesso tempo il combattimento. «Giosuè si levò la mattina di buon’ora» (v. 12); si levarono «la mattina allo spuntar dell’alba» (v. 15). Notiamo qui come lo zelo dell’uno provoca e incoraggia lo zelo degli altri. Ritorneremo su ciò. Ad ogni modo vediamo che, pur associandoci a Lui, è Cristo solo che riporta la vittoria.

A che sarebbero servite delle armi o delle macchine da guerra contro la fortezza di Gerico? A nulla. È Dio che fa tutto, vuole che la potenza e la vittoria siano interamente sue, e senza alcuna mescolanza con l’importanza dell’uomo. Generalmente, quando si tratta di dar battaglia, i cristiani ammettono che la potenza sia di Dio, ma vogliono mescolarvi qualche cosa di loro stessi e si ha per risultato che il successo non è la vittoria completa, come a Gerico. Dio rivendicava per sé questo onore; non che rifiutasse di servirsi di strumenti umani, ma bisognava che fosse Lui ad adoperarli, affinché l’uomo non potesse elevarsi ai suoi propri occhi. Considerate il modo d’agire di Dio: sceglie degli strumenti senza forza e senza valore in se stessi, oppure, se hanno qualche valore agli occhi degli uomini, comincia con lo spezzarli, come fece per Saulo da Tarso. Poi dice: Quest’uomo mi è un vaso eletto, ora può essermi utile!

Come abbiamo notato più su, il modo di procedere dei cristiani nel combattimento è troppo sovente l’opposto di quello di Dio. Essi mettono avanti i loro mezzi e le loro risorse. Dicono: Abbiarno trovato un metodo eccellente, siamo bene organizzati. Se consideriamo l’opera umana vi troveremo sempre questa deplorevole mescolanza.

Se Israele avesse detto: «Benissimo, sia pure la potenza di Dio; ma consultiamoci per trovare i mezzi per rovesciare le mura di Gerico», che cosa avrebbero visto il settimo giorno? Non una sola pietra delle mura sarebbe caduta!

Ma qui, la potenza del nemico crolla; il popolo vota allo sterminio la citta maledetta. Di più, la sua fede, la sua attività in testimonianza e la sua vittoria mettono in libertà altre anime. Tale sarà sempre il risultato quando saremo impegnati nel combattimento dell’Eterno. Rahab, ancora prigioniera, è liberata e introdotta fra il popolo di Dio, e può da allora in poi godere gli stessi privilegi dei vincitori.

Notate ancora un particolare. La fede non fa alcun compromesso col mondo, non ne riceve e non ne prende niente. Dio proibisce al popolo di toccare le cose di Gerico; è l’interdetto. L’Eterno, sì, può rivendicare queste cose per glorificarsi per mezzo di esse; gli appartengono, ma non appartengono ai figli d’Israele, che non possono toccarli fuorché per metterli «nel tesoro dell’Eterno».

Tale è, cari lettori, il combattimento della fede. Voglia Dio che ripassiamo queste cose nei nostri cuori, affinché siamo vincitori nella lotta contro il nemico!
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