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Henri Rossier
Capitolo 13 (Insieme ai capitoli 15-19)
13.1 Divisione del paese

Farò menzione di questo capitolo insieme ai capitoli 15-19, riservando il 14 come soggetto d’una meditazione speciale.

Tutti i nemici sono vinti, ma non tutti sono sterminati. Ve ne saranno sempre fino alla venuta del Signore. «L’ultimo nemico che sarà distrutto sarà la morte» (1 Corinzi 15:26). Ma per Israele si trattava di impadronirsi dei loro possedimenti. Finché i nemici sono in possesso di qualche bene che appartiene al popolo di Dio, questo non ne può avere un completo godimento; e per di più, il nemico, restando in mezzo ad esso, gli sarà continuamente un’occasione di caduta.

Se il nemico non è annientato, non tarderà a rialzare il capo, e a sedurre il popolo. Tale fu il laccio per gli Israeliti stabiliti in pace nella loro terra. È detto delle tribù di Ruben, Gad e mezza Manasse: «Ma i figli d’Israele non cacciarono i Ghesuriti e i Maacatiti; e Ghesur e Maacath abitano in mezzo a Israele fino al dì d’oggi» (13: 13). Di Giuda è detto: «Quanto ai Gebusei che abitavano in Gerusalemme, i figli di Giuda non li poterono cacciare; e i Gebusei hanno abitato coi figli di Giuda in Gerusalemme fino al dì d’oggi» (15:63). E d’Efraim: «Or essi non cacciarono i Cananei che abitavano Ghezer; e i Cananei hanno dimorato in mezzo a Efraim fino al dì d’oggi, ma sono stati soggetti a servitù» (16:10). Infine di Manasse: «Or i figli di Manasse non poterono impadronirsi di quelle città; i Cananei erano decisi a restare in quel paese» (17:12). Confrontate anche con Giudici 1:17-36. C’è forse stata una certa misura di fedeltà nel rendere quei Cananei inoffensivi, ma non una sola tribù fu all’altezza della sua vocazione. Che ne risultò? Tutti i principi mondani che Israele aveva combattuti non tardarono, sotto tale influenza, a penetrare in Israele. Vediamo nei libri dei profeti che le concupiscenze, la fiducia nelle loro proprie forze e la ricerca di alleanze colle nazioni faceva parte della vita del popolo. Ma oltre a ciò, l’idolatria dei Cananei li pervertì come una cancrena, e finirono col prostituirsi a tutti gli dèi dei Gentili.

La corruzione, la menzogna, l’ingiustizia, lo sprezzo di Dio, la violenza, la ribellione aperta, tutte le cose, insomma, che costituivano «l’iniquità degli Amorrei», e per le quali il giudizio di Dio li aveva colpiti, divennero triste prerogativa del popolo di Dio. Infine, Israele stesso, cosa orribile, prende il loro posto e diviene, esso stesso, quell’armata che Satana conduce all’assalto contro il Signore quando rigettano e crocifiggono il Cristo, il Figlio di Dio!

Dio userà con loro molta pazienza; manderà loro caldi appelli, dei giudizi parziali seguiti da liberazioni momentanee, poi nuovi appelli. «Che più si sarebbe potuto fare alla mia vigna di quello che io ho fatto per essa?» (Isaia 5:4). Ma infine il giudizio definitivo cade su loro; essi sono trasportati di là da Babilonia e sono dispersi fra le nazioni. Ma ecco, una cosa meravigliosa si presenta. Se l’uomo responsabile è arrivato alla fine della sua storia, che termina col giudizio, Dio non è giunto al termine delle sue risorse. «I doni e la vocazione di Dio sono senza pentimento». Per poterli benedire, Dio li condurrà a se in una condizione del tutto nuova; li farà partecipare al beneficio della nuova nascita, secondo che è scritto: «Io torrò dalla vostra carne il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne». Egli agirà sulle loro coscienze per ricondurli, e scriverà le sue leggi nei loro cuori; darà loro la conoscenza del perdono dei peccati e della relazione benedetta con se stesso. Allora, tutte le benedizioni perdute saranno ritrovate in una proporzione mille volte più grande. Questo è ciò di cui Osea 14 ci offre il quadro commovente, dove si vede Israele che, dopo essersi rivolto al Signore per chiedergli le benedizioni del nuovo patto, esclama: «Perdona tutta l’iniquità, ed accetta questo bene, e noi t’offriremo l’offerta di lode delle nostre labbra» (Osea 14:2; versione letterale). Il residuo d’Israele rigetterà ogni alleanza col mondo, ogni fiducia nella forza dell’uomo, ogni falso dio, e nel suo isolamento imparerà a conoscere la miseiicordia di Dio da cui dipende tutta la sua benedizione. «L’Assiria non ci salverà, noi non monteremo più su cavalli, e non diremo più: Dio nostro, all’opera delle nostre mani; poiché presso di te l’orfano trova misericordia» (Osea 14:3).

Notate ancora, in questo capitolo, la cura minuziosa che lo Spirito di Dio prende nel definire il luogo ed i limiti per ciascuna tribù, affinché ognuna ne prenda conoscenza, e si rende esattamente conto della sua parte di eredità. Lo stesso avviene per l’individuo ora. Dio ha dato a ciascuno di noi un posto ben definito e una funzione nel corpo di Cristo. Ogni membro di Cristo deve averne coscienza e agire in conseguenza, affinché l’energia di vita, che scende dal Capo nelle membra, trovi in queste degli strumenti ben disposti per la sua opera, e che vi contribuiscano tutti insieme sotto un comune impulso: «Il capo, Cristo, dal quale il corpo ben collegato e ben connesso mediante l’aiuto fornito da tutte le giunture, trae il proprio sviluppo nella misura del vigore d’ogni singola parte, per edificar se stesso nell’amore» (Efesini 4:16).
13.2 La parte di Levi

Notate infine la parte della tribù di Levi (13:14,33). Secondo l’ordine del Signore, né Aaronne (Numeri 18:20), né i sacerdoti, né la tribù di Levi (Deuteronomio 10:9), potevano avere una eredità in Israele. La loro eredità era: da una parte, «l’Eterno, Dio d’Israele», dall’altra, i sacrifici del Signore fatti col fuoco. Lo stesso è per noi, suo popolo celeste. Noi non abbiamo alcuna parte quaggiù, ma il nostro privilegio è di restare davanti a Dio e servirlo; e ancora di più, possedere Lui stesso, e avere comunione con Lui, nei luoghi celesti. Ma la parte che abbiamo nel Figlio è anche i «sacrificii offerti mediante il fuoco all’Eterno», vale a dire Cristo, secondo tutta la perfezione della sua opera e della sua persona davanti a Dio; Cristo, uomo perfetto, focaccia di fior di farina, unta d’olio e coperta d’incenso; Cristo vittima, olocausto, sacrificio per il peccato, tutto ciò in cui Dio trova le sue delizie in eterno. Noi abbiamo comunione col Padre e col suo Figlio, Gesù Cristo!

Cristo stesso, nostro modello, il levita puro, il Servo perfetto, fece le stesse esperienze benedette durante la sua vita quaggiù. Se i suoi occhi si portano sulla terra, Egli dice: «L’Eterno è la parte della mia eredità e il mio calice»; se nel cielo, aggiunge: «La sorte è caduta per me in luoghi dilettevoli; una bella eredità mi è pur toccata!» (Salmo 16:5-6).

Infine, diletti, ciò che è la nostra parte attuale è pure la nostra in futuro; per i sacerdoti della tribù di Levi quella benedizione si realizzerà anche quando Israele godrà in pace della gloria millenniale sotto il regno del Messia.

Parlando di quel tempo benedetto, Ezechiele dice: «E avranno una eredità: Io sarò la loro eredità; e voi non darete loro alcun possesso in Israele: Io sono il loro possesso» (Ezechiele 44:28) e continua mostrando che le offerte del Signore saranno la loro porzione in quei tempi gloriosi.

Aprite ora l’Apocalisse al cap. 4 e 5. Quella scena celeste non ci dice le stesse cose? La comunione perfetta con Dio e con l’Agnello sarà la parte della nostra eredità per i secoli dei secoli.
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