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 Riabilitazione

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Riabilitazione
(Giovanni 21:1-19)
Riabilitazione Presen10
Charles Henry Mackintosh

Il Messaggero Cristiano, luglio 1981
Meditando con cura questi versetti, rileviamo tre tappe nella riabilitazione d'un'anima caduta in fallo: innanzi tutto la riabilitazione della coscienza, poi quella del cuore, ed infine quella della posizione.

La prima riabilitazione, quella della coscienza, è di grande importanza. Il valore di una coscienza sana, pura e irreprensibile, è inestimabile. Un cristiano non può andare avanti con una macchia sulla coscienza. Egli deve custodire il tesoro di una coscienza purificata, senza contaminazione.

È chiaro che così era la coscienza di Pietro nella scena commovente del Mare di Tiberiade, benché fosse prima incorso in una caduta vergognosa e grave. Aveva rinnegato con giuramento il suo Signore; ma ora era riabilitato. Uno sguardo di Gesù aveva spezzato il suo cuore, e fatto scaturire lacrime amare. Non sono state però queste lacrime il fondamento della riabilitazione della sua coscienza. Solo l'inalterabile e instancabile amore di Gesù, la divina efficacia del suo sangue e la sua potente azione come avvocato hanno dato alla coscienza di Pietro quella libertà così chiara e commovente nella scena che abbiamo davanti.

Vediamo, alla fine di quest'Evangelo di Giovanni, il Signore risorto. Egli vigila presso ai suoi poveri discepoli, deboli ed esitanti sul loro cammino; e si presenta a loro sotto diversi aspetti, rispondenti ai loro bisogno, e si manifesta ai loro cuori nella sua perfetta grazia. V'era una lacrima da asciugare, una difficoltà da superare, uno spirito incredulo da correggere? Gesù era lì, presente un tutta la pienezza della sua grazia, così estesa, così varia nella sua azione. Egli si occupa sempre dei nostri bisogni. È così che, quando i discepoli con Pietro se ne vanno a pescare nella notte senza prendere nulla sino al mattino, il Signore ha l'occhio su di loro. Egli è a conoscenza di tutto: l'oscurità, i loro vani sforzi, le loro reti vuote. E sulla spiaggia accende un fuoco e prepara da mangiare. Era il medesimo Gesù morto sulla croce per togliere i loro peccati, ora risorto, che stava sulla riva per occuparsi di loro, per radunarli attorno a sé e provvedere ai loro bisogni.

«Avete voi del pesce?», dice loro. Egli mette in evidenza l'inutilità dei loro sforzi durante quella notte di lavoro, poi aggiunge: «Venite a far colazione», commovente espressione del tenero amore del nostro Salvatore risuscitato che provvede a tutto e pensa ai suoi.

Ma è particolarmente bello il segno di una coscienza completamente riabilitata in Simon Pietro: «Allora il discepolo che Gesù amava disse a Pietro: È il Signore! E Simon Pietro, udito che era il Signore, si cinse il camiciotto, perché era nudo, e si gettò nel mare». Egli s'affretta a lasciare la barca e gli altri discepoli per arrivare più presto vicino al suo Signore. Non ha detto a Giovanni e ai suoi condiscepoli: Voi siete a conoscenza del peccato vergognoso che ho commesso; è vero che dopo ho veduto il Signore (*) ed Egli mi ha certamente perdonato; comunque penso sia meglio, dopo un così grave errore, che me ne stia in disparte e che voi vi presentiate prima di me. Un simile pensiero non lo sfiora neppure; anzi, egli si tuffa in mare per raggiungere il suo Salvatore risuscitato; nessuno ne ha diritto più di lui, povero Pietro, così colpevole e così debole.

Ormai v'è in lui una coscienza perfettamente riabilitata, una coscienza senza macchia alcuna, riscaldata dai raggi del sole dell'amore divino. La fiducia di Pietro in Cristo è senza nube, e possiamo dire che era gradita al Signore. L'amore vuole espandersi, non lo dimentichiamo; nessuno pensi d'onorare Gesù rimanendo lontano da Lui, col pretesto della propria indegnità. Se a colui che ha avuto una caduta o una ribellione può sembrare difficile ritrovare la fiducia nell'amore di Cristo, possa quest'anima avere una visione chiara sul fatto che un peccatore che si avvicina a Gesù è il benvenuto, per quanto grande sia stato il suo peccato.

«Tornate, o figliuoli traviati, io vi guarirò dai vostri traviamenti!». Qual'è la risposta a quest'appello pressante?

«Eccoci, noi veniamo a te, perché tu sei l'Eterno, il nostro Dio» (Geremia 3:22).

L'amore del cuore del Signore non è mutevole. Noi cambiamo, ma Egli è il medesimo, ieri, oggi e in eterno. La fiducia di Pietro è stata una gioia per Cristo. Senza dubbio, una caduta o una ribellione sono una cosa dolorosa, ma lo diventano ancora di più quando si aggiunge dell'incredulità sull'amore infinito di Gesù e sul desiderio ch'Egli ha di ricondurci in comunione con Lui.

Caro lettore, hai avuto una caduta? Ti sei smarrito? Sei stato ribelle? Hai perduto il dolce sentimento del favore divino, la felice coscienza di essere accetto a Dio? Se è così, devi semplicemente ritornare: «Tornate», è la parola che Dio rivolge ai ribelli. Torna, giudica te stesso con piena fiducia nell'amore infinito di Gesù. Non rimanere in disparte nell'incredulità; non misurare il cuore di Gesù con la misura dei tuoi propri pensieri. Lascia ch'Egli dica ciò che ha nel suo cuore per te. Satana ti suggerisce i pensieri più oscuri perché il suo intento è di mantenerli in una fredda indifferenza, distante dal prezioso Salvatore che ti ama di un amore eterno. Pensa al sangue di Cristo, all'Avvocato, e avrai la risposta ai suggerimenti del tuo terribile nemico, oltre che ai ragionamenti infedeli del tuo proprio cuore. Non permettere, quindi, che passi una sola ora senza che sia regolata la tua questione con Cristo; il suo amore è «forte come la morte».

Ma anche il cuore dev'essere riabilitato come la coscienza. Capita sovente nella storia d'un'anima che, benché la sua coscienza sia pura, relativamente a certi atti, il movente che li ha prodotti non è stato raggiunto. Gli atti sono evidenti in superficie, nella nostra vita giornaliera, ma le radice restano nascoste in profondità, nel nostro cuore; forse non le conosciamo né noi stessi né gli altri; ma non è così di Dio davanti al quale tutte le cose sono nude e scoperte, e al quale avremo da rendere conto.

Queste radici debbono essere raggiunte, messe a nudo, o giudicate, per essere retti davanti Dio. Abramo ha deviato dal retto cammino perché aveva nel suo cuore una radice d'incredulità, quando andò in Egitto con Sara. La sua condotta lo ha fuorviato. Riabilitato nella sua coscienza, egli tornò all'altare di Bethel senza però che la radice fosse stata tolta, e lo mostrò più tardi con Abimelec (Genesi 12:10-20; 20:1-14)

Tutto questo è molto pratico e serio; l'esempio di Pietro e quello di Abramo sono un'avvertimento. Ma notate il modo delicato con cui il nostro prezioso Signore agisce per raggiungere i moventi profondi del suo caro servitore. Durante il pasto Egli non fa allusione alcuna al passato e non esprime nulla che avrebbe potuto in qualche modo raffreddare il cuore del suo discepolo e la sua coscienza riabilitata. È una delicatezza che commuove. È il modo con cui Dio agisce verso tutti i suoi. Ed è con la fiducia di una coscienza riabilitata che Pietro si getta ai piedi del suo Signore risorto.

Ma, «quando ebbero cenato», Gesù prende da parte Pietro per fargli discernere, nell'intimità, la radice che ha fatto germogliare il suo fallo. Questa radice era la fiducia in se stesso che lo ha indotto ad elevarsi al disopra degli altri discepoli: «Quando anche tutti fossero scandalizzati, io però non lo sarò». Questa radice non era ancora stata scoperta, e non doveva sussistere. È solo dopo il pranzo che Gesù dice a Pietro: «Simone, figlio di Giona, m'ami tu più di costoro?». Una simile domanda ha raggiunto sino in fondo al cuore di Pietro. Egli aveva rinnegato il suo Signore per tre volte ed ora il Signore lo provoca. La radice deve essere estirpata affinché sia realizzato un effetto permanente. Non è sufficiente avere la coscienza purificata. Perché vi sia un risultato permanente occorre un giudizio morale interiore completo. Sovente questo non è compreso né realizzato, ed avviene così che la radice spunta nuovamente e produce dei frutti che spandono i loro semi; sono tristi risultati che si sarebbero potuti evitare se la radice fosse stata giudicata e tolta.

Esortiamoci gli uni gli altri a giudicare i nostri moventi profondi, costi quel che costi. A volte è molto difficile riconoscerli; sono profondi e molteplici: l'orgoglio, la vanità, l'avarizia, l'ambizione; questi caratteri, sui quali è sempre utile esercitare la censura, sono alla base dell'azione. Occorre uno spirito di giudizio di sé e un occhio attento e vigile, sempre teso a questo scopo. Possiamo piangere sui nostri errori occasionali, ma dobbiamo mantenere del continuo la vigilanza nei nostri combattimenti interiori tra la carne e lo spirito. Dio e lo Spirito Santo ci siano d'aiuto in questa lotta!

La preparazione morale della nostra posizione e del nostro cammino sono una coscienza interamente purificata e un cuore giudicato in profondità. L'amore perfetto di Gesù ha fatto scomparire ogni timore della coscienza di Pietro e la domanda del Signore fatta per ben tre volte ha svelato quello che si trovava nel suo cuore. Ora, Gesù gli dice: «Quand'eri più giovane ti cingevi da te e andavi dove volevi, ma quando sarai vecchio stenderai le tue mani, e un altro ti cingerà e ti condurrà dove non vorresti. Or disse questo per significare con quale morte glorificherebbe Dio. E dopo aver così parlato, gli disse: Seguimi» (v.18 e 19).

In queste due ultime parole troviama chiaramente esposto il cammino del servitore di Cristo. Il Signore dà al suo discepolo la più dolce assicurazione del suo amore e della sua fiducia. Nonostante la grave caduta, Egli lo incarica di curarsi di ciò che ha di più caro in questo mondo: il suo gregge.

«Pasci i miei agnelli». «Pasci le mie pecore»; e dopo queste brevi parole traccia a Pietro la sua strada, chiara e definita: «Seguimi». Per seguire Gesù bisogna avere sempre gli occhi fissi su lui, non perdere di vista l'impronta dei suoi passi e posarvi i nostri piedi. E se, come Pietro, siamo tentati di guardarci attorno per considerare ciò che altri fanno, per imitarli, diamo ascolto a questa parola: «Che t'importa? Tu, seguimi». È questo che dev'essere sempre alla base del nostro pensiero. Una gran quantità di cose possono venire a distrarci e ad impedirci di seguire questo cammino. Il diavolo può fare il suo possibile per farci guardare qua e là, per dirci che quella data cosa si farebbe meglio là e non dove siamo, oppure si insinua per farci imitare un altro servitore.

V'è un gran pericolo, oggi, di voler camminare nel cammino degli altri. Ciò che ci manca è una volontà sottomessa. Lo spirito del vero servitore è di fare tutto secondo il pensiero del Padrone. Egli sta in piedi e attende. È più facile essere occupati che attendere. Quando Pietro era giovane «andava dove voleva»; ma, divenuto vecchio, sarà condotto dove non vuole.

Che benedizione poter dire con tutto il cuore: Ciò che tu vuoi, come tu vuoi, dove tu vuoi, quando tu vuoi. Non la mia, ma la tua volontà sia fatta!

«Seguimi». Preziosa parola! Sia essa scolpita nel nostro cuore! La nostra corsa sarà fatta con fermezza e il nostro servizio effettivo. Non saremo né distratti né sviati dai pensieri e dalle opinioni degli uomini. Forse pochi ci comprenderanno e approveranno il nostro lavoro; poco importa; il Maestro sa come stanno le cose. Siamo soltanto sicuri di quello ch'Egli ci ha chiesto, e facciamolo con fedeltà.

Possa esservi uno spirito di comunione e di dipendenza tra i servitori del Signore! Possiamo noi distinguere e realizzare meglio la volontà del Maestro a nostro riguardo! Era Lui che aveva prestabilito il cammino di Pietro, di Giovanni, di Giacomo nell'opera sua, di Paolo nella sua missione. Così è stato in ogni tempo. Ai Ghersoniti l'Eterno aveva affidato un incarico, ai Merariti un altro e se avessero mescolato i loro sforzi, il loro lavoro non avrebbe avuto buon esito. Il Tabernacolo poteva essere trasportato e disposto nel luogo stabilito perché ogni individuo eseguiva il compito che gli era stato affidato. Oggi Dio ha degli operai diversi nella sua casa e nella sua vigna. Vi sono degli scavapietre, degli intagliatori, dei muratori, dei decoratori. Ognuno ha il suo proprio lavoro da eseguire e l'edificio cresce per mezzo del lavoro comune perché ognuno ha fatto il lavoro a cui era stato chiamato. Che il nostro orecchio non ascolti altre voci di quella del Signore che dice: «Tu, seguimi».
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