Il carname e le aquile Matteo 24:28; Luca 17:37
di Roberto Bracco
I due versi hanno fra loro una piccola differenza; nell’Evangelo di Matteo leggiamo “ove sarà il carname…”, mentre nell’Evangelo di Luca troviamo scritto “ove sarà il corpo…”.
Carname è una parola che esprime chiaramente l’idea del cadavere, mentre corpo può anche riferirsi ad un organismo vivente. In Matteo 14:12 veramente la stessa parola è riferita direttamente ad un cadavere.
Crediamo che la frase di Gesù poteva essere un proverbio della Palestina ben conosciuto dai discepoli, come crediamo che l’immagine che sorge da queste parole può essere soltanto una: “Un campo di battaglia dopo il combattimento”.
E’ cessato il rumore, le grida, l’incrociar delle armi, ed è rimasto soltanto lo spettacolo orrendo di sangue, corpi morti, membra sparse. Intorno a quell’orribile tavola di morte incominciano a stringersi le fiere della terra ed i rapaci del cielo: è il giudizio finale, la fine terribile di quei corpi di combattenti caduti nel fango.
Quest’immagine sembra essere la risposta alla domanda dei discepoli che quasi terrorizzati dalle parole del Maestro chiedono: “Dove, Signore?”. Essi desiderano conoscere la località nella quale si manifesteranno i giudizi divini e Gesù con la risposta proverbiale asserisce che non in un posto stabilito geograficamente, bensì in un luogo delimitato dalle condizioni morali e spirituali piomberanno gli strumenti della distruzione.
Non qui o lì, non in questa città o in un’altra città, ma dove ci sarà il carname, i corpi dei vinti, degli uccisi; dove ci sarà la morte, la putrefazione, il sangue, lì si raduneranno le aquile o, come hanno tradotto altri, forse più giustamente, gli avvoltoi.
Non sembra possibile fare un’applicazione diversa da quella del “giudizio” e non sembra possibile vedere nelle aquile o negli avvoltoi una figura diversa di quella degli strumenti dell’ira divina come appare anche in Osea 8:1 e Proverbi 30:17. Gesù aveva detto: “…se quei giorni non fossero abbreviati niuna carne scamperebbe…”, quindi aveva già suggerita l’idea del “carname in disfacimento, in putrefazione” e perciò la frase conclusiva appare come una chiusura logica di quello che è stato detto precedentemente.
D’altronde se, come crediamo, la frase del Maestro era soltanto una citazione di un proverbio popolare, quale altro significato poteva avere sulla bocca degli israeliti?
Voler vedere nel “carname” o nel “corpo” la figura di Cristo o la figura della chiesa o la figura dello Spirito Santo, come alcuni hanno affermato, e voler vedere nelle aquile i “credenti” che si raccolgono intorno all’oggetto del richiamo, significa soprattutto dare un significato che non poteva essere espresso dal proverbio popolare e perciò noi crediamo che le parole di Gesù vogliono soltanto riferirsi alla manifestazione finale del giudizio divino che sarà attuato sopra quelle persone e sopra quei luoghi, vinti dalla morte e dalla putrefazione conseguenti al peccato (Apoc. 20:10,15; Matteo 13:30; Matteo 22:13).
Cristo infatti ha illustrato i giudizi che piomberanno sopra gli uomini, non sopra tutti gli uomini, ma sopra quelli che hanno rifiutato Iddio, che si sono ribellati all’amore e alla misericordia di Dio. I giudizi si manifesteranno in maniera distruttiva, potremmo dire vorace, fino a consumare tutti gli increduli e tutti i superbi proprio come gli avvoltoi consumano il carname con i loro rostri e i loro artigli.
I discepoli vogliono sapere dove si manifesteranno queste scene terrificanti di distruzione ed il Maestro con la sua risposta chiarisce che il giudizio ha un carattere universale, come anche la salvezza ha un carattere che la pone fuori del limite delle nazioni e dei popoli.