Se hanno fatto queste cose al legno verde… Luca 23:31
di Roberto Bracco
Questo verso dell’Evangelo di Luca non dovrebbe essere incluso fra i punti controversi della scrittura perché non ha in se nulla di misterioso e nulla di equivoco, ma invece siamo costretti a considerarlo d’incerta interpretazione a causa dell’uso errato che si è fatto e si fa di esso.
Generalmente infatti circola nelle chiese sotto forma proverbiale per esprimere un concetto che può essere reso con le seguenti parole: “Gesù era il legno verde, noi suoi discepoli siamo il legno secco perché siamo venuti dopo lui e quindi abbiamo attraversato l’azione del tempo. Gesù è stato perseguitato, imprigionato, condannato, oltraggiato quando l’inferno ed il mondo non erano ancora organizzati completamente contro il cristianesimo. Noi che siamo venuti dopo siamo “fatalmente destinati” a subire l’ira organizzata del mondo e dell’inferno in una maniera ancora più dura e più pesante di quella subita dal Maestro. In conclusione: “Quello che hanno fatto a Lui lo faranno “in misura maggiore” a noi credenti, a noi suoi discepoli”.
Noi non siamo d’accordo con questa interpretazione che, d’altronde, è in contrasto con il contesto, cioè con il passo dell’Evangelo nel quale il versetto è contenuto; quindi sosteniamo quella che è l’interpretazione più comune e più logica.
L’evangelista Luca descrive in questo capitolo il tragico episodio che precede la crocifissione: Gesù sulla via del Golgota. E’ un corteo doloroso quello che si snoda per la strada che da Gerusalemme sale fino alla collina del teschio; non c’è soltanto il mite Agnello di Dio sanguinante ed esausto dopo la notte insonne e dopo la flagellazione crudele, non ci sono soltanto i due condannati, che sono stati aggiunti per compiere una sola esecuzione, non ci sono soltanto i sacerdoti soddisfatti e i soldati, forse eccitati dal particolare servizio, ma c’è anche una folla, una “moltitudine di popolo” che è uscita dalla città per assistere al triste spettacolo.
Nel mezzo di questa folla l’elemento femminile è largamente rappresentato e fa notare la propria presenza a causa di quell’emotività che è propria delle donne in generale e delle donne orientali in particolare. Le “donne”, è scritto, facevano cordoglio e lo lamentavano.
Possiamo domandarci: Chi erano queste donne? Queste “figliuole di Gerusalemme” come le chiama Gesù nel suo breve discorso?
E’ logico che siano le donne di quella medesima popolazione che ha gridato: “Sia crocifisso, sia crocifisso”. Le donne di quella città sopra la quale Gesù ha pianto; di quella città che non ha riconosciuto e ha respinto la visitazione di Dio. In quella circostanza il Maestro aveva detto: – Ti sopraggiungeranno giorni, nei quali i tuoi nemici ti faranno degli argini attorno e ti circonderanno e ti assedieranno d’ogni intorno. E atterreranno te e i tuoi figliuoli dentro di te; e non lasceranno in te pietra sopra pietra…”. Luca 19:41.
Esse non hanno accettato il Redentore ed ora piangono; sono state pronte ad esaltarlo e sono state pronte a rinnegarlo; hanno forse desiderato averlo re sopra loro, e altrettanto fortemente hanno desiderato vederlo condannato.
Si sono lasciate entusiasmare dalle parole di Gesù e poi si sono lasciate influenzare e convincere dalle parole dei sacerdoti e degli anziani che volevano la morte di Gesù. (Matteo 27:20).
In quel pianto c’è soltanto emotività superficiale che Gesù non può raccogliere come un omaggio sincero di amore e di fede. Le parole del Maestro quindi si rivolgono non ai discepoli, non ai credenti, ma alle donne di quella città sanguinaria che “uccideva i profeti e lapidava i messaggeri di Dio…” (Matteo 23:37). “Piangete per voi e per i vostri figliuoli” perché voi, proprio voi, sembra quasi dire Gesù, avete chiesto che il mio sangue “ricadesse sopra voi e sopra i vostri figliuoli” (Matteo 27:25).
Piangete per voi perché se il legno verde è stato bruciato, non potrà essere risparmiato il legno secco.
Forse è utile ricordare che nel linguaggio figurativo degli israeliti il legno verde era il simbolo del “giusto” di colui che ha vita, che porta frutto, che non è adatto per il fuoco, mentre il legno secco era la figura dell’empio, di colui cioè che non ha più vita, che non porta frutto e che è riservato “soltanto” al fuoco (Ezech. 21:3,8; Matteo 3:10; Giov. 15:6).
Se il giusto Agnello di Dio a causa dei peccati commessi dal mondo, ha subito il peso di una condanna e di una morte crudele ed ignominiosa, che cosa verrà su quella nazione, su quella città che dopo averlo rifiutato come Messia, dopo averlo respinto come Salvatore, lo ha condannato come eretico e lo ha ucciso come micidiale?
Gerusalemme appare sotto il peso di tutti i peccati della sua storia, di tutte le infedeltà e le ribellioni consumate contro a Dio e davanti a Dio e, aggiunto a questi, appare sotto il peso schiacciante del peccato terribile commesso nel condannare e nell’uccidere il Santo. (Matteo 23:35).
L’ira che si è accumulata sopra Gerusalemme ha raggiunto proporzioni terrificanti e Gesù parla dell’immane uragano che si sta per scatenare sopra quel popolo; le sue parole sono terribilmente chiare: “…i giorni vengono che altri dirà: Beate le sterili; e beati i corpi che non hanno partorito e le mammelle che non hanno lattato. Allora prenderanno a dire ai monti: Cadeteci addosso; ed ai colli: Copriteci…”. (Luca 23:29-30).
Chi ha letto le descrizioni storiche dell’atroce e lungo assedio di Gerusalemme e, soprattutto, chi si è fermato a considerare la capitolazione di quella città di fronte agli eserciti di Tito nell’anno 70, non può fare a meno, di fronte alle terribili descrizioni di miseria, fame, sangue, crudeltà ed orrori, di ricordare le profezie di Gesù ed il suo breve discorso alle figliuole di Gerusalemme.
Il male produce sempre e inevitabilmente conseguenze della stessa natura e se qualche volta avviene, perché i misteriosi piani divini siano adempiuti, che queste conseguenze colpiscano anche coloro che non hanno prodotto o provocato il male, più comunemente e più naturalmente avviene che le conseguenze, in tutta la loro potente e dolorosa manifestazione, ricadano sopra coloro che sono stati autori diretti del male.
Perciò Gesù non voleva parlare della futura condizione della chiesa e della sorte riservata ai discepoli, ma voleva soltanto sottolineare la tragica condizione che attendeva Gerusalemme, la città ribelle. Le figliuole di Gerusalemme non avevano ormai molta ragione per piangere di lui che era giunto al termine del suo ministero glorioso, ma avevano mille motivi per piangere per loro stesse e per le loro famiglie che stavano per essere colpite dalla più terribile bufera della loro storia.
Con la spiegazione di questo verso non abbiamo voluto negare che la chiesa cristiana deve essere perseguitata. Gesù stesso ha detto: “Se il mondo vi odia, sappiate, che egli mi ha odiato prima di voi…se hanno perseguito me, perseguiteranno ancora voi…” (Giov. 15:18, 20).
Però vogliamo ribadire il concetto che ogni verità cristiana deve essere illustrata con il verso o con i versi che parlano di essa perché quando noi vogliamo illustrarla e sostenerla con uno o più passi della scrittura che esprimono un argomento diverso, commettiamo un duplice errore: alteriamo il senso della parola di Dio e respingiamo l’insegnamento che è realmente contenuto nei versi della Bibbia; perciò dobbiamo cercare diligentemente il significato di ogni verso affinché tutta la Bibbia possa parlare un linguaggio comprensibile alla nostra mente e al nostro cuore.