10. La venuta del nostro Padrone e le ricompense — Matteo 25:14-30
Tutte le parabole che abbiamo meditato sino ad ora si occupano del comportamento dei fedeli e dei semplici professanti nell'assenza del Signore. Questa che stiamo per considerare insiste in modo ancora più particolare sulla sua assenza: «Poiché averrà di un uomo il quale, partendo per un viaggio... E partì».
Il padrone se ne è andato; cosa dobbiamo fare fino al suo ritorno? Questa è la domanda che qui si pone. Non si tratta, come nella parabola del padrone di casa, di un servizio all'interno, di dare ai domestici il vitto «a suo tempo»; ma di commerciare al di fuori coi talenti che ciascuno ha ricevuto. È il servizio individuale in questo mondo.
Un servitore e un testimone sono due cose diverse. Le dieci vergini dovevano essere testimoni dello Sposo alla sua venuta, ma il servizio consiste nell'amministrare ciò che ci ha confidato, facendolo fruttare per Lui durante la sua assenza. Il Padrone dà i suoi beni a tutti. I talenti sono tutto ciò che gli appartiene, tutto ciò che ci affida, tutto ciò che possiamo impiegare al suo servizio: doni, capacità, patrimoni, cose materiali o spirituali, poco importa il loro carattere o la qualità. Egli dà i talenti a «ciascuno secondo la sua capacità». Lui solo è il giudice, e noi dobbiamo valutarli secondo questo pensiero; è affar suo e non nostro. Il nostro dovere è d'impiegare fedelmente ciò che ci affida.
Notiamo che, nella parabola, il padrone non dà ai suoi servi nessun comandamento, nessuna direttiva speciale sul modo con cui devono agire. Quando affida loro i talenti, non dice ciò che devono farne; dopo averli dati, se ne va. È la stessa cosa oggi; il Signore è assente, essendo in cielo, e ci lascia quaggiù con la responsabilità di servirlo.
Ma lo stato dei cuori si manifesta molto presto. I servi fedeli conoscono il loro padrone e gli sono sottomessi. Se egli non li avesse amati, avrebbe potuto mostrare una tale fiducia affidando loro i suoi beni? Come si può, dopo un fatto simile, dubitare, anche solo per un momento, del suo amore? Allora essi fanno tutto il possibile per rispondere alle sue aspettative. Non viene loro in mente che i talenti siano di loro proprietà, poiché sanno di avere tra le mani i beni del padrone. E perché avrebbe dovuto lasciarli ai suoi servi se non perché li facciano fruttare? Così, essi desiderano che, quando verrà, sia soddisfatto del loro lavoro.
Questo atteggiamento lodevole dei servi fedeli deriva da quattro fatti: il Signore è il loro padrone e li ama; essi hanno fiducia in lui e lo aspettano. La sua assenza si prolungherà forse per «molto tempo» (v. 19) ma loro lo aspettano servendolo.
Possiamo noi avere tali motivi per servirlo! Quando verrà per regolare i conti con noi, avremo la ricompensa. Tuttavia, i servitori fedeli non lavorano in vista di questa ricompensa; non desiderano che una cosa: che il Padrone riceva l'interesse dei suoi talenti e ne sia soddisfatto.
Invece il servo malvagio dice: «Signore, io sapevo che tu sei uomo duro...» (v. 24); lui che aveva la pretesa di conoscere il padrone è il solo a cui questi è completamente estraneo! Egli lo giudica «un uomo duro, che miete dove non ha seminato e raccoglie dove non ha sparso», un Padrone esigente quindi. Certo, egli ha il diritto di esigere, ma è forse questo il suo carattere?
Come erano più istruiti gli altri servitori! Non conoscendolo, costui non poteva avere nessuna fiducia in lui, né alcuna intelligenza del suo scopo e dei suoi pensieri. È completamente estraneo alla grazia.
Essendo la sua vita rimasta sterile per colui che ha così oltraggiosamente misconosciuto, il malvagio servitore è gettato nelle tenebre di fuori dove c'è il pianto e lo stridor dei denti.
Vediamo ora qual è la ricompensa dei servi fedeli. Innanzi tutto, essendo stati fedeli in ciò che hanno ricevuto, essi ricevono del sovrappiù. «Toglietegli dunque il talento, e datelo a colui che ha i dieci talenti. Poiché a chiunque ha sarà dato, ed egli sovrabbonderà; ma a chi non ha, sarà tolto anche quello che ha». Il risultato immediato della nostra fedeltà è che le nostre ricchezze spirituali si accrescono con l'uso. Voglia Iddio che ognuno di noi possa farne l'esperienza!
In seguito, il Padrone indirizza queste parole ai suoi servi; «Va bene, buono e fedel servitore; sei stato fedele in poca cosa, ti costituirò sopra molte cose; entra nella gioia del tuo Signore».
Egli ci dà la preziosa certezza della sua approvazione per la quale abbiamo lavorato; ma non vuole restare nostro debitore. È «poca cosa» il nostro servizio, lo sa bene, e noi pure, ma ci offre in cambio una parte nel suo regno glorioso. A noi poveri servi vuole concedere delle grandi benedizioni facendoci partecipi della sua gioia. Ciò che fa le sue delizie diventerà nostro per l'eternità.