4. La conversione e la venuta del Signore — 1 Tessalonicesi 1 e 2:13
Ci si trova oggi in difficoltà se ci si vuol render conto dello stato reale delle anime. La cristianità è piena di persone che non approvano il razionalismo né l'incredulità moderna, che dicono di accettare come «Parola di Dio» la Scrittura e la Verità, che professano di aver ricevuto Cristo e di conoscere personalmente l'opera della croce; vanno ad ascoltare, ogni domenica, un predicatore più o meno fedele, più o meno convincente ed eloquente, rimanendo più o meno edificati e soddisfatti, e sono abili nel valutare le capacità di quelli che hanno parlato. Tutto questo, però, non prova che siano dei credenti veri.
L'apostolo Paolo dice ai Tessalonicesi: «Per questa ragione anche noi rendiamo del continuo grazie a Dio perché, quando riceveste da noi la parola della predicazione, cioè la parola di Dio, voi l'accettaste non come parola d'uomini ma, quale essa è veramente, come parola di Dio». La potenza della parola dell'apostolo, l'eccellenza della sua predicazione, il merito di colui che parlava (certamente Paolo aveva tutte le migliori qualità) non era ciò che li aveva attirati. Udendolo, essi avevano, per la fede, ricevuto la sua parola come la vera parola di Dio. Fin dal primo impatto si erano resi conto d'aver a che fare in un modo vivente con Dio e non con l'uomo.
Certamente l'Evangelo era stato accompagnato in mezzo a loro da atti di potenza (1:5), da segni che allora caratterizzavano l'azione apostolica, ma l'autorità divina della Parola era stata dimostrata in un modo ben diverso e meraviglioso poiché l'apostolo aggiunge: «La quale opera efficacemente in voi che credete».
Questa autorità era stata dimostrata dai frutti che aveva operato nei loro cuori; ed è proprio questo che manca e mancherà sempre ad un semplice professante, e che costituisce la differenza che c'è tra quelle persone di cui parlavamo all'inizio e i credenti di Tessalonica.
Il primo di questi frutti è che la Parola li aveva riempiti di gioia; non la soddisfazione passeggera d'aver udito un discorso edificante, ma la gioia dello Spirito Santo (1:6). Così, essendo per loro Parola di Dio, la loro fede l'aveva affermata come tale, e lo Spirito Santo che la comunicava li aveva riempiti di gioia nell'udirla (*).
_____________________
(*) Parlo qui soltanto delle verità contenute in questo capitolo, poiché si sa che lo Spirito di Dio, agendo nei cuori, vi produce per prima cosa il pentimento.
¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯
I santi di Tessalonica non si erano però fermati a questo punto. Immediatamente questa Parola aveva operato in loro un secondo frutto, la conversione. Essi si erano «convertiti dagli idoli a Dio»; avevano abbandonato la loro religione per servire Colui che avevano imparato a conoscere attraverso la sua Parola. il Dio vivente e vero (in contrasto con gli idoli bugiardi), «e per aspettare dai cieli il suo Figliuolo, il quale Egli ha risuscitato dai morti; cioè Gesù che ci libera dall'ira a venire»!
In questo modo lo scopo della conversione era raggiunto. Quali servitori del vero Dio, essi si erano immediatamente messi ad aspettare dai cieli il Signore Gesù; non come giudice, notiamolo bene, ma come Salvatore, come Colui il cui carattere è di liberarci dall'ira a venire. Dal momento della loro conversione questi credenti, benché ancora ignoranti su molti punti, avevano una speranza, quella della prossima venuta di Cristo.
L'ira di Dio non poteva in alcun modo nuocergli, poiché la venuta del Signore li avrebbe messi al riparo.
Caro lettore, lo scopo della tua conversione, ciò che costituisce il primo passo del cammino cristiano, è raggiunto? Hai abbandonato i tuoi vecchi «idoli», che avevi quando eri nella carne, per servire il vero Dio e aspettare dai cieli il suo Figlio? Se non lo hai fatto, se non aspetti dai cieli Gesù, quale nome bisogna dare al tuo cristianesimo?