8. La venuta del Padrone di casa — Matteo 24:45-51
Dopo la venuta del Figlio dell'uomo ecco la venuta del Padrone di casa. Questo passo non ci parla del mondo propriamente detto, né d'Israele, ma della casa di Dio, come fu stabilita e organizzata dopo la partenza del Signore. Composta da tutti coloro che gli appartengono per la fede, essa avrebbe dovuto essere il modello della «dispensazione di Dio» (1 Tim. 1:4) in questo mondo. Questa casa doveva contenere la professione cristiana nella sua realtà, e non la professione senza vita, frutto dell'infedeltà della Chiesa. Tuttavia, tale quale essa è oggi, la cristianità riconosce ancora il Signore come suo Padrone; Egli quindi la tratterà secondo ciò che essa professa di essere.
La casa di Dio ospita dei servi responsabili, stabiliti dal padrone per compire il loro ministerio. Come hanno risposto alla fiducia che il Padrone riponeva in loro? La Parola di Dio ce lo dichiara: «Vi fu un malvagio servitore (*) che diceva in cuor suo: Il mio padrone tarda a venire».
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(*) È utile ricordare che in questa parabola il servitore corrisponde non a una singola persona ma ad una collettività di cristiani.
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Il servo infedele comincia ad abbandonare l'attesa del Padrone. La sua intelligenza forse accetta ancora la verità della sua prossima venuta, ma il suo cuore la rinnega. Questo è molto serio! Il primo passo del declino è l'abbandono dell'idea della venuta immediata del Signore. Il servo non dice: Il mio padrone non verrà, ma semplicemente: Tarda a venire; questo dimostra che la venuta del Signore non è più una realtà per il suo cuore.
La conseguenza della sua infedeltà è che «comincia a battere i suoi conservi» assumendo nella casa del suo Signore delle funzioni che Egli non gli aveva affidato.
Egli domina sui suoi compagni di servizio e li tratta con durezza, secondo la sua fantasia, come se fosse lui più importante di loro. Non è forse questa l'immagine di coloro che si arrogano un'autorità nella casa di Dio dove solo il Signore ha il diritto di dominare?
Poi si mette a mangiare e a bere con gli ubriaconi, cioè si allea con un mondo inebriato di quelle concupiscenze che Satana presenta (1 Tess. 5:7). Non è detto, come in Luca 12:45, che quest'uomo si ubriaca, benché un tale rilassamento porti a questo, presto o tardi; ma egli si associa a ciò che Dio odia, e perde il suo carattere di servo, anche se esteriormente lo mantiene.
Ma vi è anche nella casa del padrone, un servo fedele e prudente. Egli sa che il suo Signore lo ha stabilito sui domestici della sua casa, non perché s'innalzi, ma per servire gli altri e dar loro «il vitto a suo tempo». Questo servo, assolvendo al suo compito, desidera che il padrone, arrivando, lo trovi «così occupato».
Beata speranza! Poiché ciò che importa al Signore è il modo con cui i suoi servi si comportano nella sua casa in rapporto con la sua venuta. Sì, beato il servitore fedele: la sua costanza al servizio degli altri, servendo il suo Padrone e aspettandolo, gli fa ottenere una ricompensa alla quale senza dubbio non pensava: il Padrone «lo costituirà su tutti i suoi beni»!
Il malvagio servitore vedrà apparire il suo Signore «nel giorno che non se l'aspetta, e nell'ora che non sa». La sua mancata vigilanza e la sua dimenticanza della venuta del Padrone saranno la causa del suo giudizio. Sarà flagellato, lui che aveva stimato che si poteva separare la «professione» dalla «vita». Egli avrà «la sorte degl'ipocriti», poiché un ipocrita è uno che si riveste d'un carattere religioso di cui non ha la realtà.
«Ivi sarà il pianto», segno d'un dolore senza fine, «e lo stridor dei denti», un'eterna e impotente rabbia d'aver perso l'occasione, rabbia che non sarà addolcita da alcun sentimento di tenerezza, poiché, avendo disprezzato l'amore, i dannati non lo comprenderanno mai.