6. La venuta del Signore e la risurrezione dei santi — 1 Tessalonicesi 4:13-18
I Tessalonicesi, benché fossero giovani nella fede, avevano ricevuto fin dal principio un gran numero di verità importanti.
Questa prima epistola fa continuamente allusione a ciò che già conoscevano. «Voi sapete» è un termine tipico di tutte le lettere apostoliche per designare la conoscenza cristiana; e lo troveremo spesso in questi capitoli. Così, i Tessalonicesi sapevano molto bene che «il giorno del Signore verrà come viene un ladro nella notte» (5:2). Quanto ai tempi e ai momenti di cui la profezia parla, non avevano bisogno di ricevere ulteriori insegnamenti, ma su un punto particolare erano «nell'ignoranza»: non sapevano ciò che sarebbe successo, alla venuta del Signore, di coloro che si erano «addormentati». Quando uno dei loro fratelli veniva loro tolto, dalla morte, erano profondamente afflitti e sembra non avessero, per i santi addormentati, la stessa speranza che avevano per loro stessi (v. 13) viventi.
Possiamo pensare che non avessero alcun dubbio sulla beatitudine delle anime di quelli che si erano addormentati nel Signore; non sarebbero stati dei credenti se avessero messo questo in dubbio. Ma loro, che si rallegravano ad ogni istante al pensiero di essere rapiti presso il Signore senza passare per la morte, credevano che i santi che morivano subissero una perdita. Forse pensavano che coloro che sarebbero stati rapiti dal Signore alla sua venuta avrebbero preceduto, con dei corpi mutati e incorruttibili, quelli che erano morti in Cristo, i quali li avrebbero forse raggiunti più tardi, alla risurrezione dei giusti.
Lo stato dell'anima dopo la morte non era nei loro pensieri lo stato definitivo; essi stimavano che i fratelli deceduti fossero privati di un vantaggio, e che loro avrebbero raggiunto la perfezione molto prima.
Queste sono le conclusioni che si possono trarre dalla lettura attenta di questi passi. Del resto, i timori causati dall'ignoranza mostravano come il primo amore fosse vivo nei loro cuori, poiché erano più addolorati dalla presunta perdita dei loro fratelli deceduti, che occupati del loro proprio guadagno.
Su tutti questi punti l'apostolo dà l'insegnamento chiaro e preciso della Parola di Dio. Comincia col mostrare che la sorte dei santi addormentati non la si può separare da quella di Cristo. «Poiché, se crediamo che Gesù morì e risuscitò, così pure, quelli che si sono addormentati, Iddio, per mezzo di Gesù, li ricondurrà con lui» (v. 14).
Gesù Cristo è entrato nel dominio della morte, ma per vincerla; è uscito in risurrezione da quel luogo di cui ha infranto le porte. Ha fatto questo per noi, e lo ha fatto in modo così completo che ormai il nostro passato, il nostro presente e il nostro avvenire son legati al suo.
Siamo morti con Lui e risuscitati con Lui; resta ancora, se ci addormentiamo, la risurrezione dei nostri corpi. In quale momento questo avverrà? Ecco ciò che i Tessalonicesi dovevano imparare. L'apostolo mostra loro, innanzitutto, che i santi addormentati Dio li ricondurrà con Cristo, perché non potevano essere separati da Lui alla sua venuta, come non lo erano stati nella sua morte e nella sua risurrezione.
In seguito, per parola del Signore, Paolo svela il mistero che non era ancora stato loro rivelato; cioè che, alla venuta del Signore, i viventi non precederanno in alcun modo quelli che si sono addormentati. La risurrezione di questi ultimi avverrà in quello stesso momento e in primo luogo; in seguito ci sarà la trasmutazione dei viventi.
La prima risurrezione si lega quindi alla venuta del Signore per prendere i suoi. È in quel momento che la vittoria di Cristo sulla morte sarà confermata e che Egli ne raccoglierà in abbondanza i frutti. Per mezzo della risurrezione di Cristo, la morte è stata vinta e annullata (2 Tim. 1:10).
Con la risurrezione di «quelli che sono di Cristo, alla sua venuta», la morte sarà «sommersa nella vittoria. Allora sarà provato in modo palese che in virtù dell'opera del Salvatore essa non ha conservato alcun potere sui corpi dei santi. La sua preda le sfugge senza che possa trattenerla. Tuttavia la morte, quest'ultimo nemico, sarà distrutta (1 Cor. 15:26) solo al momento in cui ogni cosa sarà posta sotto i piedi di Cristo, ed Egli rimetterà il regno nelle mani di Dio Padre. Allora, alla soglia dei tempi eterni, la morte e l'Ades saranno gettati nello stagno di fuoco (Apoc. 20:14) per sempre.
L'apostolo in seguito rivela loro che il Signore stesso scenderà dal cielo dando il segnale del radunamento dei santi e della loro partenza con «voce d'arcangelo» e con la «tromba di Dio». La partenza avverrà quando tutti saranno radunati (i morti in Cristo risuscitati essendo i primi all'appuntamento); allora, tutti insieme partiremo ad incontrare il Signore sulle nuvole, e «così», dice Paolo, «saremo sempre col Signore». Che consolazione deve aver riempito il cuore dei Tessalonicesi all'udire queste cose!
Ciò che essi avevano ancora da imparare, noi adesso lo conosciamo per mezzo della Parola di Dio. Davanti ad una rivelazione così chiara, i credenti dei giorni nostri dovrebbero aspettare giornalmente il Signore. Purtroppo non è così. L'attesa del Signore non può essere una cosa attuale se la Persona attesa non ha della realtà per l'anima. Potremmo noi tutti dire, come l'apostolo: «Noi viventi, i quali saremo rimasti fino alla venuta del Signore» (4:15-17)? Questa venuta era per lui così attuale e così vicina da non riuscire a vederla realizzarsi al di là della durata della sua vita umana.
Il credente che realizza la sua speranza non aspetta la morte; «Perciò» dice «desideriamo non già d'essere spogliati, ma d'essere sopravvestiti» (2 Cor. 5:4). A Pietro occorreva una rivelazione speciale per fargli sapere che doveva passare per la morte (2 Pietro 1:14).
Se si è dimenticata la venuta del Signore si perde di vista l'immensa importanza della risurrezione. Ci si abitua, non dottrinalmente, forse, ma (e questo è ancora più grave) col pensiero, a considerare lo stato dell'anima dopo la morte come lo stato di perfezione definitiva per il credente. Si dice di un defunto: «Ci ha preceduto presso il Signore», e non si ha altra speranza che quella di raggiungerlo dopo la morte.
I Tessalonicesi non erano afflitti in modo particolare dalla perdita dei loro cari; ma credevano che quelli che si erano addormentati facessero essi stessi una perdita, poiché non sarebbero stati presenti alla venuta del Signore. Erano afflitti al pensiero che loro stessi avrebbero preceduto i santi addormentati e sarebbero stati, prima di loro, simili a Cristo. Ora imparavano da questa lettera di Paolo non che i loro fratelli li avevano preceduti, ma che li precederanno alla venuta del Signore.
La morte non era per loro la fine della vita cristiana e il solo cammino per entrare nella beatitudine celeste. Per molti cristiani che credono che la perfezione sia lo stato dell'anima separata dal corpo, la venuta del Signore è la morte, e il grido: «Vieni, Signore Gesù» significa essere in punto di morte.
«Ci hanno preceduti nel cielo dove li raggiungeremo»; questo pensiero, in fondo, è estraneo alla rivelazione cristiana, benché appropriato alla conoscenza d'un santo dell'Antico Testamento (2 Sam. 12:23). La Scrittura ci mostra qui che non ci incontreremo nel cielo, ma che noi, trovati ancora in vita quaggiù, saremo rapiti coi santi risuscitati, per andare «insieme» dal Signore. Che in quel beato momento ci riconosceremo gli uni gli altri non ne dubito (i discepoli riconobbero sul monte santo Mosè ed Elia benché non li avessero mai visti); ma la «consolazione» non consiste in questo, che pur tuttavia preoccupa così tanto molti credenti; essa consiste nel fatto che andremo insieme ad incontrare il Signore, e che saremo sempre con Lui.
Perdere di vista la venuta del Signore come speranza dell'anima, significa perdere moltissimo: è perdere di vista la sua Persona; è considerare la morte come la fine del credente; è considerare lo stato dell'anima dopo la morte come quello definitivo; è dimenticare la risurrezione d'infra i morti o meglio rinviarla al giorno della risurrezione dei morti e del giudizio. Quanti tesori persi! Eppure è una verità a cui tutto si collega, e senza la quale non c'è speranza, né vera consolazione, né sicurezza; mentre, per chi aspetta il Signore, la sua venuta è il segnale della risurrezione, del radunamento dei santi, d'una totale vittoria sulla morte!