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 Habacuc 3

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girolamo
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MessaggioHabacuc 3

Habacuc 3
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Henri Rossier
Capitolo 3. La preghiera di Habacuc

«Preghiera del profeta Habacuc. Sopra Scighionoth» (v. 1)

La conclusione di tutto quello che il profeta ha udito dalla bocca dell'Eterno si riassume in una preghiera che è supplica, ringraziamento e lode, prodotti da una fede che è pienamente certa che l'Eterno manterrà le sue promesse. Questa preghiera è composta da quattro parti:
Versetto 2. Prima parte

«O Eterno, io ho udito il tuo messaggio e son preso da timore; o Eterno. dà vita all'opera tua nel corso degli anni! Nel corso degli anni falla conoscere? Nell'ira ricordati d'aver pietà!» (v. 2).

All'inizio del libro Habacuc si lamentava che Dio non dava ascolto al suo grido. Ma l'Eterno, nei suoi insegnamenti, gli ha mostrato che ha ascoltato, che dà sempre ascolto. Gli ha spiegato, con una comprensione paterna, quanto siano giusti i giudizi che fa cadere sul suo popolo e sui nemici del suo popolo; ma gli ha anche insegnato che il giusto non e senza risorsa per attraversare i giudizi, perché vivrà per la sua fede. Gli ha infine dichiarato ch'Egli sarà glorificato e personalmente esaltato in un tempo futuro, e che il mondo intero sarà ripieno della conoscenza della sua gloria.

Ora il profeta può dire: «Ho udito il tuo messaggio». Non «tu hai dato ascolto», perché la sua prima rimostranza era frutto della debolezza della sua fede; ma «ho udito», ho la conoscenza dei tuoi pensieri; li ho afferrati per fede!

Di fronte all'annuncio dei tuoi giudizi, dice il profeta, ho avuto paura. Giudizi terribili che producono nei cuori un salutare terrore. Ma ora ho da domandarti una cosa che desidero tanto: Dà vita all'opera tua in grazia verso il tuo popolo! Nel corso degli anni, prima del tempo della fine di cui hai parlato (2: 3), opera in grazia fra noi!

La liberazione dall'Egitto costituiva il principio degli anni (*), in cui l'Eterno aveva manifestato la sua opera in favore del suo popolo, e il profeta desidera che Dio le dia vita, la ravvivi ora, prima di introdurre, alla fine degli anni, la liberazione milleniale. Egli sa che questo è il tempo dell'ira; ragione di più per fare appello alla misericordia divina, poiché, proprio quando i suoi giudizi si scatenano sul mondo noi siamo chiamati a contare sull'opera della grazia. La preghiera profetica di Habacuc sarà esaudita quando Israele sarà vivificato, quando si formerà un residuo credente di cui il profeta stesso è figura e tipo.

_____________________
(*) Gli Israeliti furono liberati dall'Egitto e partirono alla volta del paese di Canaan il giorno successivo alla celebrazione della Pasqua; e l'Eterno aveva detto a Mosè: «Questo mese sarà per voi il primo dei mesi: sarà per voi il primo dei mesi dell'anno» (Esodo 12: 2).
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Versetti da 2 a 15. Seconda parte

La seconda parte della preghiera comprende i versetti da 3 a 15. Essa descrive le liberazioni d'un tempo e l'intervento futuro dell'Eterno in favore del suo popolo.
1. Prima suddivisione - versetti da 3 a 6

Questa prima suddivisione descrive l'uscita dall'Egitto. «Iddio viene da Teman, e il santo viene dal monte di Paran. La sua gloria copre i cieli, e la terra è piena della sua lode. Il suo splendore è pari alla luce; dei raggi partono dalla sua mano; ivi si nasconde la sua potenza. Davanti a lui cammina la peste, la febbre ardente segue i suoi passi» (v. 3-5).

Questi versetti ci mostrano l'Eterno che esce dall'Oriente, da Teman e dal monte di Paran che domina il deserto omonimo; esce, cioè, dal territorio di Edom per venire in soccorso al suo popolo e liberarlo dalla schiavitù dell'Egitto, annientando le nazioni che l'opprimono o si oppongono a lui (*).

_____________________
(*) In Deuteronomio 33: 2, l'Eterno viene dal Sinai, da Seir e dal monte di Paran per liberare il suo popolo e dargli la legge. In Giudici 5: 4, il cantico di Debora celebra, come quello di Habacuc, l'intervento dell'Eterno per annientare i nemici del suo popolo. Il salmo 18: 7-19 è analogo, ma ha in vista soprattutto i nemici della nazione. Il Salmo 68 assimila la liberazione dall'Egitto a quella del popolo alla fine dei tempi. Il Salmo 77 trae, dalla liberazione dall'Egitto, la sicurezza che l'Eterno libererà il suo popolo dalla grande tribolazione della fine. Così, anche qui le liberazioni passate sono garanzia dell'intervento dell'Eterno nelle tribolazioni future.
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«Egli si ferma e scuote la terra; guarda e fa tremare le nazioni; i monti eterni si frantumano, i colli antichi s'abbassano; le sue vie son quelle d'un tempo» (v. 6). Le nazioni che cercarono di opporsi a Israele furono disperse; la potenza antica dell'Egitto fu rapidamente distrutta. Le colline eterne, le autorità stabilite da Dio stesso e che, quindi, avrebbero dovuto avere una durata illimitata, si abbassarono, un tempo, davanti a Colui che veniva dal suo monte santo per liberare il suo popolo.

Il profeta aggiunge: «Le sue vie sono quelle d'un tempo». Che sicurezza questo pensiero dà alla fede! Ciò ch'Egli ha fatto in passato lo farà nell'avvenire; non c'è in Lui variazione né cambiamento alcuno. Che si tratti di castighi o di liberazioni, le sue vie di santità e d'amore si ripetono e si svolgono, sempre le stesse, fino a raggiungere la cima delle colline eterne (Gen. 49: 26).
2. Seconda suddivisione - versetti da 7 a 15

In questa parte c'è la similitudine tra la liberazione profetica futura e quella antica dall'Egitto, che ne era pallida immagine. «Io vedo nell'afflizione le tende di Etiopia; i padiglioni del paese di Madian tremano» (v. 7). Il profeta contempla avvenimenti non ancora verificatisi ma che, nella visione, egli considera già avvenuti: Le contrade di Cus a occidente e a Nord, e quelle d'Arabia a Oriente e a Sud, tremeranno davanti all'Eterno. La liberazione passata, quando Israele uscì d'Egitto, non è nulla in confronto a questa liberazione futura!

«O Eterno, t'adiri tu contro i fiumi? È egli contro i fiumi che s'accende l'ira tua, o contro il mare che va il tuo sdegno, che tu avanzi sui tuoi cavalli, sui tuoi carri di vittoria?» (v. Cool. S'Egli abolisce i confini delle nazioni e colpisce l'insieme confuso dei popoli, il suo scopo non è soltanto il giudizio. Bisognerà che i castighi abbiano il loro corso fino alla fine, che i colpi predetti dalla Parola di Dio s'abbattano sui popoli, che le autorità al governo siano prese da spavento, che tutto il mondo levi grida d'angoscia, elevando inutilmente mani supplichevoli in mezzo al diluvio che gli cadrà addosso (v. 10). Nulla potrà arrestare il combattimento ingaggiato dall'Eterno contro i malvagi fino alla loro totale disfatta. E avverrà come ai giorni di Giosuè, in cui il sole e la luna si fermarono nella loro dimora fino a che la nazione non si fosse vendicata dei suoi nemici (v. 11; Giosuè 10: 12). La collera divina non risparmierà nemmeno «il paese», cioè Israele. Questo popolo incredulo e apostata riceverà la sua parte di castigo, come le altre nazioni.

Ma la salvezza di Israele sarà il risultato di tutta questa esplosione di calamità. «Tu esci per salvare il tuo popolo, per liberare il tuo unto; tu abbatti la sommità della casa dell'empio, e la demolisci da capo a fondo» (v. 13). Non è meraviglioso? Questo piccolo popolo, rappresentato per di più da un residuo in apparenza insignificante, è a tal punto l'oggetto delle cure di Dio che, per salvarlo, Egli sconvolgerà il mondo intero. Perché Israele è il suo unto. Dio l'ha suggellato col suo Spirito; l'ha comprato a gran prezzo e vuole averlo compagno della sua storia, vicino a lui, al centro del governo, dove la giustizia eterna regnerà. Se il vero Israele è poca cosa a occhio umano, sarà il «tesoro riposto» di Cristo nel giorno della sua potenza.

Qui non si parla certo della Chiesa, sposa dell'Agnello, le cui benedizioni sono molto al di sopra di quelle di Israele, come il cielo è al di sopra della terra. L'Antico Testamento ci parla della «sposa giudea» perché Cristo, l'Eterno, suo Messia e suo Re, si interessa di lei, la contempla con compiacimento, e porterà a compimento per lei tutte le sue antiche promesse delle quali non s'è mai pentito. Se per un tempo ha dovuto ripudiarla come una moglie infedele, la riceverà di nuovo, in un prossimo futuro, dopo averla purificata col fuoco del giudizio, attraverso questa tribolazione che fa tremare di paura il cuore del profeta. Ritroviamo il pensiero espresso al v. 13 nel meraviglioso passo di Isaia, dove si vede l'Eterno venire da Edom, e marciare nella grandezza della sua forza. È stato solo a calcare nello strettoio per schiacciare i popoli nel suo furore, «poiché», dice, «il giorno della vendetta, che era nel mio cuore, e il mio anno di redenzione sono giunti» (Isaia 63: 1-6).

Allora sarà abbattuta «la sommità della casa dell'empio», allusione al Caldeo che aveva edificato la sua casa sull'iniquità (2: 9), ma anche all'«empio» della fine la cui casa sarà distrutta fino alle fondamenta.

Al v. 14 c'è il conflitto finale. Le nazioni vengono «come un uragano» per distruggere quel povero residuo afflitto e senza forza, per «divorarlo». Ma quando Cristo apparirà sarà ridotta al nulla la formidabile potenza delle nazioni sollevate da Satana contro a Lui e al suo popolo.

Il cap. 19 di Apocalisse ci presenta il quadro sublime di questa scena di guerra, facendola vedere però, a differenza dell'Antico Testamento, sotto l'aspetto celeste.
Versetto 16. Terza parte

«Ho udito, e le mie viscere fremono, le mie labbra tremano a quella voce; un tarlo m'entra nelle ossa, e io tremo qui dove sto, a dover aspettare in silenzio il dì della distretta, quando il nemico salirà contro il popolo per assalirlo» (v. 16).

È come il riassunto di quel che precede. Come al v. 2, Habacuc aveva udito e s'era spaventato alla prospettiva dell'ira di Dio, ma aveva interceduto per il popolo. Adesso, tutta la scena della fine è passata davanti ai suoi occhi; si è ricordato dei castighi eseguiti anticamente sul paese d'Egitto e su tutti i nemici di Israele, allorché Dio voleva redimere il suo popolo. Il suo sguardo profetico s'è poi posato sui castighi della fine e ha compreso che avevano in vista la salvezza del popolo di Dio. Ma questo non gli impedisce di tremare, di sentirsi un tarlo nelle ossa, come Daniele davanti alla grande visione, quando il suo viso «mutò colore fino a rimanere sfigurato» (Dan. 10: Cool; era una preparazione necessaria per ricevere le comunicazioni profetiche e per entrare nei pensieri di Dio. Così l'angelo rassicura Daniele: «O uomo grandemente amato, non temere! La pace sia teco! Sii forte, sii forte» (v. 19). È lo stesso in questa breve scena; Habacuc trema e passa per un completo giudizio di se stesso, aspettando in silenzio il dì della distretta.
Versetti da 17 a 19. Quarta parte

«Poiché il fico non fiorirà, non ci sarà più frutto nelle vigne; il prodotto dell'ulivo fallirà, i campi non daran più cibo, i greggi verranno a mancare negli ovili, e non ci saranno più buoi nelle stalle; ma io mi rallegrerò nell'Eterno, esulterò nell'Iddio della mia salvezza. L'Eterno, il Signore, è la mia forza; egli renderà i miei piedi come quelli delle cerve, e mi farà camminare sui miei alti luoghi» (v. 17-19).

Ecco la magnifica espressione della fede del profeta, fede che è andata crescendo dall'inizio delle sue conversazioni con l'Eterno. Se al v. 16 egli aspettava una benedizione futura, questa poteva anche tardare; e la sua fede rispondeva alla parola: «Se tarda, aspettala» (2: 3). Egli dunque l'aspettava con la certezza che sarebbe stata preceduta dalla distretta, ma che nella tempesta scatenata ci sarebbe per lui un rifugio assicurato, un piccolo santuario, dove potrebbe trovare il riposo della presenza di Dio. Ora questa speranza gli basta. Il riposo verrà quando la distretta sarà passata; e lui lo sa. Ma che fare oggi? Oggi è un tempo di angoscia, che corrisponde alla situazione attuale del popolo giudeo. Il fico, la vite, l'ulivo, simboli di quel popolo, sono senza frutto per Dio. Grano, pecore, buoi, tutto manca; non si può nemmeno fare un sacrificio che metta Israele in relazione con Dio.

Non dovrebbero, oggi, le anime nostre, sentire questa fame e questa distretta spirituale? Debolezza estrema della testimonianza cristiana; professione senza vita e senza rapporto con Dio... «Ma io», aggiunge il profeta. Questo giusto che vive per la sua fede ha afferrato la salvezza promessa come un bene presente. Ma non è nella salvezza che si rallegra; egli ha una gioia ben più grande; egli possiede l'Eterno, l'Iddio della sua salvezza. Questo Dio che non gli nasconde nulla, che lo tratta da amico, che gli rivela i suoi pensieri più segreti, sulla cui misericordia egli può contare quando tutto viene a mancare, l'Iddio le cui benedizioni sono eterne.

È così che Dio «nella notte concede canti di gioia» (Giobbe 35: 10). Habacuc è in piena comunione col suo Signore; ha compreso, fin dal principio, che l'Eterno «ha gli occhi troppo puri per sopportare la vista del male»; ed ora si rallegra in Lui, gusta le perfezioni della sua persona e comprende il suo amore.

Ma l'Eterno è anche la sua forza, quando lui, il profeta, non ha forza alcuna. «Beati quelli che hanno in Te la loro forza» (Salmo 84: 5). Grazie a Lui, in tempi d'estrema debolezza, in tempi in cui nessuna delle cose promesse è già ottenuta, i nostri piedi sono resi come quelli delle cerve; possiamo salire sui nostri «alti luoghi» e percorrerli con passo leggero, rapido, libero. I luoghi celesti sono nostri, sono un dominio che ci è stato assegnato. Cos'è la distretta per chi possiede il Signore, la sua forza e la sua gioia, e gode di tutte le benedizioni spirituali nei luoghi celesti?

Il libro si conclude con queste parole: «Al capo dei musici. Per strumenti a corda». È straordinario che in tempi così calamitosi Habacuc ritrovi il culto come nei bei giorni di Davide e di Salomone. Egli rimette il suo canto al capo dei musici perché sia cantato con cetre e violini, realizzando così, anticipatamente, la lode futura d'Israele nel tempio restaurato.

Anche noi, con la certezza che nulla valgono le cose della terra, siamo spinti verso il Signore, e quando gustiamo le ricchezze insondabili di Cristo ci mettiamo ai suoi piedi e lo adoriamo. Il culto e l'adorazione dei figliuoli di Dio possono essere realizzati anche in mezzo alle rovine della cristianità.
Conclusione

Habacuc occupa un posto a parte fra i profeti, sebbene Geremia, pur abbracciando un orizzonte più vasto, gli rassomigli nelle esperienze personali. Prima si ribella contro la violenza che regna nel suo popolo, e grida «Fino a quando?». Ma quando l'Eterno gli annunzia il castigo che Israele subirà per mano dei Caldei, il suo cuore è afflitto profondamente per il suo popolo. Allora, come Mosè, fa da intercessore prendendo in mano la causa di Israele davanti all'Eterno. Dio gli risponde che castigherà anche le nazioni di cui prima si è servito contro Israele; ma Habacuc impara una lezione personale, valevole in ogni tempo e in ogni circostanza: «Il giusto vivrà per la sua fede»! Il principio della fede è il solo sul quale ci si possa appoggiare anche in tempi calamitosi.

Da allora la sua fede investiga il perché dei castighi divini, considera le liberazioni passate, realizza le liberazioni future, attraversa le miserie presenti con un gioia pura che si attacca alla persona del Salvatore, e con il godimento delle benedizioni celesti ed eterne. Arricchito di tali benedizioni, l'uomo di fede ha trovato accesso al «santuario», e vi entra per rendere culto al suo Dio.

Il cammino della fede è meraviglioso perché ci eleva al di sopra di tutti gli ostacoli, al di sopra delle nostre stesse esperienze, e fissa i nostri sguardi sulle cose che non si vedono, poiché le cose che si vedono son solo per un tempo, quelle che non si vedono sono eterne!

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