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 1a Epistola ai Tessalonicesi cap 4

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girolamo
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190415
Messaggio1a Epistola ai Tessalonicesi cap 4

1a Epistola ai Tessalonicesi cap 4
1a Epistola ai Tessalonicesi cap 4 Presen10
John Nelson Darby

Il Dispensatore, 1889-1890
["Studi sulla Parola", "Etudes sur la Parole", "Synopsis of the Bible"]
Poi l’apostolo si occupa dei pericoli a cui erano esposti i Tessalonicesi per le loro antiche abitudini — abitudini che erano ancora quelle della società che li attorniava, e che erano in diretta contraddizione con la gioia celeste e santa di cui Paolo parla. Già aveva loro mostrato il cammino cristiano — come dovevano camminare e piacere a Dio; egli stesso, quando era fra loro, aveva camminato in questa via (capitolo 2:10), ed ora può esortare i Tessalonicesi ad una simile condotta con tutto il peso che gli dava il suo proprio cammino, nello stesso modo che poteva felicitare l’accrescimento dell’amore secondo l’affezione ch’egli stesso aveva per loro (paragonare Atti 26:29). È questo che dà autorità alle esortazioni ed a tutta la parola d’un operaio del Signore.

L’apostolo si preoccupa qui in special modo della purezza, poiché i costumi dei pagani erano talmente corrotti che fra loro l’impurità non era nemmeno considerata come peccato. Può sembrarci strano che un’esortazione simile a quella che Paolo fa qui ai Tessalonicesi, sia stata necessaria a cristiani così viventi come quelli di Tessalonica; ma noi non teniamo abbastanza conto, nel nostro modo di giudicare, delle abitudini nelle quali si è stato allevato e che fanno come parte della nostra natura e della corrente dei nostri pensieri. Ma i motivi che troviamo, mostrano su qual nuovo piede ci pone il cristianesimo, per ciò che riguarda la moralità più ordinaria. Il corpo, per il cristiano, non è che un vaso da impiegarsi a volontà per il servizio al quale noi vorremmo farlo servire: invece di lasciarsi trascinare dalla concupiscenza, si deve possedere questo vaso, poiché si conosce Dio; non dobbiamo ingannare il suo fratello in queste cose, perché il Signore ne fa vendetta. Dio ci ha chiamati a santità (vers. 7), noi abbiamo a fare con Lui. Se si sprezza il suo fratello profittando della debolezza del suo carattere per soverchiarlo nei suoi diritti a tale riguardo, si sprezza, non l’uomo, ma Dio, che ne tiene conto. In tale caso, si sprezza lo Spirito dato da Dio, in sé stesso e nel suo fratello nel quale pure dimora. Colui al quale si fa torto non è solo il marito d’una donna, ma è la dimora dello Spirito Santo, e si deve tener conto di lui come essendo la dimora dello Spirito. Quale elevazione dà all’uomo il cristianesimo! — e ciò in rapporto con le nostre migliori affezioni.

Riguardo all’amore fraterno, questo nuovo movente della loro vita, non era necessario d’esortare i Tessalonicesi: Dio stesso li aveva insegnati, e servivano d’esempio a tutti; l’apostolo vuole soltanto che essi abbondino ancora di più, camminando quietamente e lavorando, affinché non siano debitori a nessuno e che il Signore sia glorificato anche a questo riguardo.

Tali sono le esortazioni dell’apostolo ai Tessalonicesi. Ciò che segue è una nuova rivelazione positiva per la loro consolazione e loro incoraggiamento.

Abbiamo visto che i Tessalonicesi aspettavano sempre il Signore; la Sua venuta era la loro immediata e prossima speranza in rapporto con la loro vita giornalior. Erano stati convertiti «per aspettare dai cieli il Figlio suo» (cap. 1:10). Ora, per mancanza d’istruzione, sembrava loro che i santi morti non sarebbero rapiti con loro. L’apostolo rischiara questo punto e distingue tra la venuta di Gesù per prendere i suoi, ed il suo giorno («il giorno del Signore» cap. 5:2), che è un giorno di giudizio per il mondo. Esorta i Tessalonicesi di non affliggersi quanto a coloro che erano morti in Gesù, come fanno quelli che non hanno speranza per i morti. Ora il motivo che dà Paolo per non affliggersi così, è una commovento prova dello stretto legame che esiste tra d’una parte l’intera vita spirituale del Figlio di Dio e d’altra parte l’aspettazione di Gesù che deve ritornare personalmente per farlo entrare nella gloria celeste. L’apostolo consolando i Tessalonicesi al riguardo dei loro fratelli morti di recente, non dice già ch’essi li avrebbero raggiunti nel cielo; ma li mantiene nel pensiero che dovevano sempre aspettare il Signore, durante tutta la loro vita, affinché li trasformasse secondo il suo glorioso sembiante (parag. 2 Corinzi 5, e 1 Corinzi 15). Per far comprendere ai Tessalonicesi che quelli che erano morti prima che il Signore venisse avrebbero ugualmente avuto parte a questo avvenimento glorioso, occorse una speciale rivelazione.

I fratelli che si erano addormentati avevano, per così dire, una parte simile a quella che ha avuto Cristo. Egli è morto, ed è risuscitato; — così ne sarà di loro; e lo Spirito di Dio assicura i Tessalonicesi che, quando Cristo verrà in gloria , condurrà coloro che si erano addormentati, nello stesso modo che condurrà gli altri credenti (cioè coloro che non saranno morti) con Lui.
Là sopra, l’apostolo dà degli schiarimenti più dettagliati sulla venuta del Signore, schiarimenti che aveva ricevuto per speciali rivelazioni. I viventi non precederono coloro che si sono addormentati in Gesù; il Signore stesso verrà come capo della sua celeste armata, dispersa per un tempo, allo scopo di raccoglierla presso presso di Lui. Egli fa l’appello; l’arcangelo con la sua potente voce fa mettere i chiamati in fila, e la tromba suona. I morti in Cristo risusciteranno i primi, cioè prima che i viventi partano; poi «noi viventi che saremo rimasti», andremo insieme con loro nelle nuvole a incontrare il Signore nell’aria; e così saremo sempre con il Signore (vers. 16-17).

È in questo modo che il Signore è salito al cielo, ed in tutto noi dobbiamo essere simili a Lui —circostanza importante qui. Tramutati o risuscitati, andremo tutti insieme nelle nuvole. Egli stesso è salito al cielo; e così saremo sempre con Lui.

In questa parte del passo (dopo il vers. 15) dove l’apostolo spiega i particolari della nostra ascensione verso Cristo nell’aria, non si tratta della venuta di Gesù sulla terra, ma del fatto che noi ce ne andiamo come Egli se n’è andato, per essere insieme con Lui; allo scopo di poter poi ritornare tutti, essere ricondotti insieme con Lui. L’apostolo in ciò che dice riguardo ai santi non va più lontano della rivelazione della nostra riunione per sempre con Cristo: non si tratta qui né di giudizio, né d’apparizione, ma della nostra associazione celeste con Cristo, nel fatto che noi ce ne andiamo dalla terra, precisamente come se n’è andato Egli stesso. Ciò è molto prezioso. C’è però questa differenza tra Lui e noi: Egli se ne andò di pien diritto — salì — mentre per quanto riguarda i Suoi, la Sua voce chiama i morti i quali escono dalla tomba; ed i vivi essendo tramutati, se ne vanno insieme con loro. È un atto solenne della potenza di Dio, che mette il suggello sulla vita del cristiano e sull’opera di Dio, e mette i cristiani nella gloria di Cristo quali compagni celesti del Salvatore. Privilegio glorioso — preziosa grazia! Se usciamo da quest’associazione con Gesù nei luoghi celesti, noi distruggiamo il carattere proprio della nostra gioia e della nostra speranza.

Altre conseguenze, che sono il risultato della Sua manifestazione, fanno seguito alla nostra riunione con Lui; ma questo adunamento è la nostra parte e la nostra speranza. Noi lasciamo la terra come Gesù, e saremo sempre con Lui.

È con queste parole che l’apostolo vuole che i cristiani si consolino l’un l’altro. Se i fedeli vengono a morire, addormentandosi in Gesù, verranno con Lui quando sarà manifestato; e per ciò che riguarda la parte che devono avere con Lui, essi se ne andranno come Lui — sia risuscitati, sia, tramutati — per essere sempre col Signore.

Tutto quello che viene dopo il rapimento dei fedeli riguarda il governo della terra, che è pure un soggetto importante, perché è una parte della gloria di Cristo. Anche noi partecipiamo a questo governo, ma non è la parte che ci compete specialmente, poiché la nostra parte è d’essere con Lui, simili a Lui, ed anche, quando il momento sarà venuto, è di andarcene nello stesso modo di Lui, da un mondo che Lo ha rigettato, che ci ha rigettati, e che deve essere giudicato.

Lo ripeto: abbandonare questa speranza, come speranza che ci è propria, equivale a perdere la nostra parte specifica. Tutto è compreso nelle parole: «e così saremo sempre con il Signore» (vers. 17). L’apostolo ha spiegato come tutto ciò accaderà.

E qui sarà bene di aprire una parentesi per paragonare il nostro passo con 2 Corinzi 5, vers. 1 e seguenti. Abbiamo già notato come un fatto, che questa parte del capitolo 4 dell’epistola ai Tessalonicesi è una nuova rivelazione che ha ricevuto l’apostolo, ma qui nei Corinzi apparisce la portata di questo fatto e mi sembra dimostrare che ha molta importanza. La vita del cristiano si lega talmente al giorno (cioè alla potenza della vita di luce della quale Cristo vive), e Cristo che è già nella gloria, è in un modo così reale la vita del fedele, che questi non pensa ad altro che a passare nella gloria per questa potenza di Cristo che lo tramuterà (vedere 2 Corinzi 5:4). Abbisognò una rivelazione accessoria e nuova per spiegare (ciò che l’intelligenza dei Tessalonicesi non aveva ancora afferrato) come i morti non avrebbero mancato al corteo celeste di Gesù in quel giorno. La stessa energia doveva essere applicata ai loro corpi morti ed ai corpi mortali dei viventi, e tutti insieme dovevano salire nel cielo; ma la vittoria sulla morte essendo già riportata, e Cristo secondo la potenza della risurrezione essendo già la vita del cristiano, ciò che era naturale secondo questa potenza, è che il cristiano passasse, senza subir la morte, nella pienezza della vita presso Gesù. Questo era talmente il pensiero naturale della fede, che abbisognava una rivelazione speciale e, come ho detto, accessoria, per spiegare come i morti avrebbero anche avuto la loro parte alla gloria del ritorno di Cristo. Per noi, ora, questo secondo lato della verità è così abitualmente afferrato come è facile a comprenderlo.

È la prima parte della verità, quella afferrata dai Tessalonicesi, che ci manca; essa appartiene ad una fede molto più vivente che non lo sia la nostra, una fede che realizza meglio la forza della vita di Gesù e la sua vittoria sulla morte. Certamente i Tessalonicesi avrebbero dovuto riflettere che Cristo era morto e risuscitato, e non avrebbero dovuto permettere che la forza abbondante della gioia che realizzava la loro parte in Cristo nascondesse loro la certezza della parte di coloro che si addormentano in Lui. Ma si vede — e Dio ha permesso che i Tessalonicesi cadessero in questo sbaglio, affinché noi lo vedessimo — come mai la vita che i Tessalonicesi possedevano, non fosse disgiunta dalla posizione del Capo trionfante sulla morte. L’apostolo non indebolisce mica questa fede e questa speranza; anzi, affinché i Tessalonicesi si consolino con questa considerazione, aggiunge che il trionfo di Cristo avrebbe la stessa potenza per coloro che si sono addormentati, come per i viventi, e che Dio addurrebbe i primi con Gesù in gloria come lo farebbe per gli ultimi; e mostra loro, quale sorte comune a tutti, che essi sarebbero tutti insieme con Lui.

Dio dà anche a noi questa verità, la rivelazione di questa potenza. Egli ha permesso che migliaia di cristiani si addormentassero, perché (sia benedetto il suo Nome) ne aveva altre migliaia da chiamare; ma la vita di Cristo non ha perduto la sua forza, né la verità la sua certezza. Noi l’aspettiamo come viventi, perché Egli è la nostra vita; in caso morissimo prima ch’Egli venga a cercarci, lo vedremo in risurrezione; ed il tempo s’avvicina.

Notate ancora che questa rivelazione al riguardo di coloro che dormono, imprime un’altra direzione alla speranza dei Tessalonicesi, perché essa stabilisce con grande esattezza la differenza tra la nostra dipartita da questo mondo per raggiungere il Signore, ed il nostro ritorno con Lui; e non solo questo, ma della nostra partenza ne fa la cosa principale per il cristiano, pur confermando e rischiarando ciò che tocca il nostro ritorno con Lui. Dubito che i Tessalonicesi comprendessero meglio il ritorno dei santi con Gesù che non la nostra partenza da quaggiù per raggiungerlo; essi erano stati insegnati fin dalla loro conversione ad aspettare Gesù dal cielo. Il grande ed essenziale principio già era stabilito per il loro cuore, la persona di Gesù era l’oggetto della loro aspettazione; ed in tal modo erano staccati dal mondo.

Forse avevano qualche idea vaga che dovevano comparire con Lui in gloria, ma ne ignoravano il come. Dovevano essere pronti ad ogni istante per la sua venuta; ed essi sarebbero glorificati insieme con Lui al cospetto dell’universo. Ecco ciò che sapevano. È il compendio della verità.

Ora l’apostolo, unitamente alla verità generale della venuta del Signore, sviluppa qui parecchi punti:

Dice che i Tessalonicesi sarebbero là con Gesù alla Sua venuta: ciò, io credo, non dava che un po’ più di precisione a ciò che avevano già imparato, e non è che lo sviluppo della verità che possedevano, ma aggiunge un preziosissimo dettaglio alle loro conoscenze. Alla fine del capitolo 3 troviamo la verità (ancora vaga del resto nel cuore dei Tessalonicesi, poiché, per quanto concerne i morti in Cristo, essi li credevano privi di questo privilegio) chiaramente espressa, che tutti i santi verranno con Gesù: punto capitale quanto al carattere delle nostre relazioni con Lui. Così Gesù era aspettato: i santi saranno insieme con Lui al Suo avvenimento, verranno tutti con Lui: ciò fissava, e rendeva esatte le idee dei Tessalonicesi sopra punti che erano già più o meno da loro conosciuti.
Ciò che segue è una nuova rivelazione motivata dal loro sbaglio su coloro che si sono addormentati. Avevano bensì il pensiero che i cristiani che sarebbero pronti, sarebbero glorificati con Cristo quando verrebbe in questo mondo; ma i morti erano pronti? Non erano presenti per partecipare alla manifestazione gloriosa di Gesù sulla terra; poiché non dubito che fosse quest’idea vaga che possedeva lo spirito dei Tessalonicesi. Essi pensavano che Gesù ritornerà in questo mondo, e che Coloro che l’aspettano avrano parte a tale gloriosa manifestazione in questo mondo. Or i morti, lo dice l’apostolo, sono nella stessa posizione di Gesù morto. Dio non l’ha lasciato nel sepolcro, e coloro che sono come Lui, Dio li ricondurrà anche con Lui quando Egli ritornerà in gloria sulla terra. Ma questo non è tutto: la venuta di Gesú in gloria sulla terra non è la cosa principale: i morti in Cristo risusciteranno, poi, con i viventi, andranno incontro al Signore nell’aria prima della Sua apparizione e del suo ritorno sulla terra in gloria e così saranno sempre col Signore.
Questa è la principale cosa, la parte dei cristiani, cioè di dimorare eternamente con Cristo, e nel cielo. La parte dei fedeli è in alto, è Cristo stesso, quantunque debbano apparire con Lui nella gloria; poi, per il mondo, l’avvenimento di Cristo sarà il giudizio.

Abbiamo fatto queste considerazioni, come ho detto, tra parentisi, come infatti vanno considerati tra parentesi i versetti 15-18, unendo il versetto 14 al versetto primo del capitolo 5. Così il giorno del capitolo 5 si lega col ritorno di Gesù con tutti i suoi, descritto nel capitolo 4 versetto 14. I versetti da 15 a 18 spiegano il modo con cui i fedeli vengono riuniti a Gesù affinché li riconduca con Lui.

In questo passo importante troviamo dunque il cristiano che vive nell’aspettazione del Signore come cosa che si lega alla sua vita giornaliera e la completa. Quindi la morte non è per il cristiano che un accessorio che può avvenire e che non lo priva della sua parte quando il Signore ritornerà. L’aspettazione propria del cristiano è affatto distinta da tutto ciò che segue la manifestazione di Gesù e che è in rapporto col governo di questo mondo.

Il Signore stesso viene per prenderci con Lui; non manda al Suo posto i ministri della sua potenza; ma con piena autorità sulla morte di cui è stato vincitore, e con la tromba di Dio, riunisce i suoi che sono morti, facendoli uscire dalla tomba; e questi unitamente ai viventi tramutati, vanno al suo incontro nell’aria. La nostra dipartita dal mondo rassomiglia perfettamente a quella di Gesù; lasciamo il mondo a cui non apparteniamo per andare nel cielo; una volta là, abbiamo raggiunto la nostra posizione: simili a Cristo, siamo sempre con Lui. Ma quando apparirà avrà con Lui anche i suoi, e questo è la vera consolazione per il caso di morte di un cristiano. La morte non affievolisce per nulla l’aspettazione quotidiana di Gesù; il modo con cui l’apostolo considera qui la morte, conferma quest’aspettazione. Il morto non è spogliato dei suoi diritti morendo, addormentandosi in Gesù; sarà invece il primo oggetto dell’attenzione del Signore quando verrà per chiamare i suoi. Però il punto di partenza dei suoi per raggiungerlo, è la terra; i morti saranno risuscitati — è la prima cosa — per essere pronti a partire con gli altri; ed allora da questa terra, tutti insieme partiranno per essere con Cristo nel cielo. Questo punto di vista è importantissimo per conoscere il vero carattere di quel momento in cui tutte le nostre speranze saranno compiute.
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